Il Consiglio informale dell’Unione europea ha dato mandato al presidente dell’Unione Herman Van Rompuy di avviare le consultazioni con il nuovo Parlamento di Strasburgo che porteranno alla nomina del prossimo presidente della Commissione, cioè il “governo” europeo. Il primo ad annunciarlo, su twitter, è stato il presidente Maltese Joseph Muscat, mentre i leader si riunivano in conferenza stampa. “Avrò riunioni con Jean-Claude Juncker“, ha affermato Van Rompuy citando il candidato proposto dal Ppe, sottolineando che questo operato è del tutto “in linea con il ruolo” che ricopre e che gli è assegnato dai trattati. “Devono esserci consultazioni fra Consiglio e Parlamento sulla presidenza della Commissione”.
“Siamo tutti d’accordo che bisogna fissare le priorità e un’agenda per gli anni a venire”, ha aggiunto, “ma ci sono alcuni punti su cui siamo tutti d’accordo”. Per esempio un’agenda su crescita, competitività e lavoro, una risposta forte al cambiamento climatico e una spinta per un’unione energetica. “Discuteremo di questa agenda a giugno, aspetto input dagli Stati membri e ne ho già ricevuti da sei”, ha concluso.
“La discussione di oggi è andata nella direzione giusta”, ha affermato il premier italiano Matteo Renzi lasciando il consiglio. “Nelle prossime settimane dobbiamo verificare se questo atteggiamento produrrà passi in avanti significativi”. La decisione adottata dai leader europei è un modo per prendere tempo e mediare tra le diverse istanze emerse alla vigilia sui nomi dei futuri presidenti della Commissione. Le consultazioni, infatti, saranno avviate con i nuovi gruppi parlamentari che non si insedieranno prima della settimana prossima.
“Il gruppo più importante ora al Parlamento è il Ppe, avrei preferito fosse il Pse e ne avrei difeso il candidato, ma ora spetta al Ppe fare proposte” di nomi, ha affermato il presidente francese Francois Hollande al termine del vertice, affermando che Van Rompuy dovrà “fare una proposta a fine giugno”. Anche Matteo Renzi, vincitore delle elezioni del 25 maggio non solo in Italia, dato il pso acquisito dal Pd nel gruppo socialista, è arrivato a Bruxelles deciso a giocare una propria partita.
“Se vogliamo salvare l’Europa dobbiamo cambiare l’Europa”. Questo, secondo quanto riportano le agenzie, il messaggio consegnato dal presidente del Consiglio Matteo Renzi ai partner dell’Unione Europea durante la cena informale tra i capi di Stato e di Governo in corso a Bruxelles. Il capo del governo si è detto “consapevole” di “guidare il partito che ha ottenuto il miglior risultato assoluto come numero di votanti e governare il paese che ha la maggiore affluenza” alle urne. “Con questa forza – ha sottolineato Renzi, dopo aver ricevuto molti messaggi di congratulazioni dai colleghi Ue per il risultato elettorale – vi dico che anche chi ha votato per noi ha chiesto di cambiare l’Europa”. Quanto alle nomine (visto che si è già levata una bufera di nomi di papabili) “nomina sunt consequentia rerum, dicevano gli antichi. Prima mettiamoci d’accordo su cosa fare e poi decidiamo su chi la fa”.
Nel vertice che ha dovuto prendere del terremoto elettorale che ha scosso Francia e Gran Bretagna, Renzi si è presentato come l’unico leader che può arrivare con il sorriso. L’unico “vincitore” tra tanti capi di governo ammaccati dal voto euroscettico convocati per un summit informale con il compito di decidere le priorità per trovare il successore di Josè Manuel Barroso, il democristiano portoghese che ha guidato l’Europa nei dieci anni del suo declino. Il presidente del Consiglio, che in tarda mattinata si era incontrato con Napolitano al Quirinale, è poi trattenuto a Roma da altri impegni istituzionali. Arriva a Bruxelles in ritardo sulla tabella di marcia e salta così l’appuntamento con gli altri leader socialisti nella sede del Pse dove alle 16 erano arrivati, tra gli altri, il presidente francese François Hollande, il vicepremier tedesco Sigmar Gabriel, il premier belga Elio Di Rupo, oltre allo stato maggiore del Pse, con il presidente Borislav Stanichev ed il candidato alla presidenza Martin Schulz. Lo aspettavano per congratularsi direttamente: il suo Pd è diventato il più grande partito socialista d’Europa, il più “pesante” dell’intero gruppo S&D. Gabriel è pronto al brindisi “con prosecco italiano”. Il leader dei laburisti olandesi, Dietrick Samson, parla del “grande successo di Renzi” come “molto buono per l’Italia e per l’Europa”. Stanichev definisce il risultato del Pd “impressionante” e, visto com’è andata di là delle Alpi, osserva che è sempre utile imparare dai buoni risultati”.
La linea dei socialisti è chiara. L’hanno illustrata il capogruppo uscente al Parlamento europeo, Hannes Swoboda, e lo stesso Schulz: sostegno alla candidatura di Juncker, purché i popolari presentino un programma puntato sulla crescita, sulla lotta alla disoccupazione e all’evasione fiscale e orientato ad un maggiore controllo del settore finanziario.
Hollande e Renzi sono le due facce della medaglia socialista. Ma il messaggio finale è comune. Il francese trasforma la sconfitta in un “mandato” a lottare per una Ue diversa. “Voglio che la Ue cambi” dice Hollande. Mentre il sorridente Renzi ricorda che “vogliamo un’Europa che parli il linguaggio dei cittadini”. E che è venuto a Bruxelles “a rappresentare uno dei più grandi paesi della Ue”.
Ma il punto è proprio il gioco per la nomina del presidente di commissione. Il Ppe ha vinto le elezioni europee ma è tutt’altro che scontato che il suo candidato arrivi alla guida dell’esecutivo europeo: la corsa di Jean Claude Juncker alla testa dell’esecutivo europeo inizia ora, e per la meta non basta né il sostegno accordato oggi da tutti i gruppi politici del Parlamento Ue né l’endorsement della Merkel che suona più come un atto dovuto che come un sostegno realmente convinto a quell’ex premier lussemburghese che criticò aspramente le sue ricette a base di austerità prima di dimettersi dalla presidenza dell’Eurogruppo. Gli ostacoli sono diversi: dal premier britannico David Cameron che sta già arruolando altri leader per bloccare il candidato Ppe, alla partita su tutte le altre nomine europee che vanno fatte entro l’anno e che vanno calibrate con quella del presidente della Commissione.
Oggi è quindi solo l’avvio formale del cammino che poterà alla nomina della nuovo Barroso: come previsto dalle regole del Trattato di Lisbona, la Conferenza dei Presidenti dei gruppi politici uscenti del Parlamento Ue si è riunita per valutare l’esito delle elezioni ed ha affidato a Juncker il compito di tentare “per primo” di formare la “richiesta maggioranza” che lo sostenga. Questo perché non basta l’accordo tra i capigruppo, da quello del Ppe Joseph Daul, quello dell’S&D Hannes Swoboda, a Nigel Farage dell’Ukip, ma serve anche la maggioranza assoluta del nuovo Parlamento europeo. Per ottenerla, Juncker dovrà presentare un programma che piace a tutti.
Ma la partita si gioca su due fronti, e il secondo è quello del Consiglio: il vertice informale avrebbe dovuto sulla carta “prendere atto” dei risultati delle elezioni e appoggiare Juncker, ma nella pratica molti Paesi non sono d’accordo, vogliono scegliere un altro nomi. “Oggi discuteremo come condurre le consultazioni con il Pe e daremo a Van Rompuy il mandato per farlo, anche in collaborazione con Juncker”, aveva anticipato la cancelliera Merkel al suo arrivo, spiegando che Junker è “il nostro candidato di punta” ma bisognerà trovare “ampie maggioranze”, perché “sappiamo che nessuno dei gruppi politici da solo ha la maggioranza”. Un modo per dire che il nome di Juncker non è poi così scontato.
Apertamente contraria e con la necessità di far pesare la sua voce per dimostrare polso ai tanti euroscettici di casa sua è la Gran Bretagna, che cerca una sponda in Svezia, Ungheria, Olanda, che pure vorrebbero un altra soluzione. Cameron ha anche evocato la possibilità di un mini-vertice in Svezia a giugno con Merkel e l’olandese Mark Rutte per trovare un accordo. Difficile che lo faccia senza l’Italia, che dopo le elezioni ha un peso ben diverso e di certo farà sentire la sua voce su tutte le nomine, cioè anche quella del presidente del Consiglio europeo e dell’alto rappresentante della politica estera. Carica presa di mira dal “perdente” Martin Schulz, merce di scambio con il Ppe per avere il sostegno dei socialisti a Juncker. I leader dei 28 Stati e il Parlamento hanno comunque tempo fino a ottobre per trovare un accordo sul prossimo presidente della Commissione, che deve avere la maggioranza assoluta del Parlamento e quella qualificata del Consiglio.