Sembrava troppo facile che il presidente della prossima Commissione europea venisse deciso in una serata, e infatti non è stato così. Troppi interessi in gioco, troppe variabili da considerare, alla faccia del “chi vince le elezioni diventa presidente” ripetuto a oltranza nelle scorse settimane. La “cena informale” tra i capi di Stato e di governo si è conclusa con un bel niente di fatto, e per Jean-Claude Juncker è fumata nera, almeno per oggi.
Ufficialmente Herman Van Rompuy, Presidente del Consiglio europeo, inizierà adesso le consultazioni con i presidenti dei nuovi gruppi politici del Parlamento europeo per trovare un accordo sul nuovo numero uno del Berlaymont (l’edificio principale della Commissione europea). Un compito tutt’altro che facile visto il frammentato parlamento uscito dalle urne del 22-25 maggio. Una cosa è certa: i tempi si allungano rispetto a quella che doveva essere una nomina lampo per Jean-Claude Juncker, il candidato del partito europeo che ha vinto le elezioni, ovvero i popolari.
Juncker non ha ricevuto l’appoggio dei 28 leader nazionali. Almeno non ancora. Alcuni lo hanno osteggiato apertamente, altri non hanno detto sì, altri ancora non lo hanno appoggiato come avevano promesso. Tra i contrari tout court, il Premier ungherese Viktor Orban che non vuole un lussemburghese alla guida della Commissione visto che proprio una connazionale di Juncker, la Commissaria Ue alla Giustizia Viviane Reding, era stata molto dura nel condannare le violazioni del governo di Budapest alla libertà della stampa, della magistratura e all’indipendenza della banca centrale. Poi il Premier svedese Fredrik Reinfeldt, contrario soprattutto per una questione di metodo, come il collega britannico David Cameron: Juncker è stato indicato prima dal Parlamento europeo, quindi appoggiarlo a posteriori in sede di Consiglio costituirebbe un precedente pericoloso per i governi nazionali. Infatti se il Parlamento europeo esercitasse realmente tutti i poteri attribuitigli dal trattato di Lisbona, lo stesso ruolo del Consiglio ne uscirebbe ridimensionato, a partire dalle varie misure economiche e dalle politiche di austerity.
Cauta la posizione italiana. Il Premier Matteo Renzi, unico primo ministro ad arrivare a Bruxelles da vincitore, ha eluso ogni domanda diretta in merito ad un esplicito appoggio a Juncker. “I nomi vengono dopo gli impegni”, ha detto ai cronisti prima e dopo la riunione, precisando in entrambe le occasioni il grosso successo elettorale del PD, diventato con i suoi 31 deputati la delegazione più importante dell’intero Pse. Probabilmente un messaggio esplicito ad Angela Merkel, una delle due sponsor di Juncker come candidato dei popolari, o ancora una prova di forza per poter successivamente esigere qualcosa in cambio, come la presidenza del Parlamento europeo, dove potrebbe insediarsi l’uomo forte del Pd a Bruxelles Gianni Pittella, oppure un portafogli chiave all’interno della Commissione europea per l’Italia. Persino della presidenza della stessa, per la quale nelle stanze di Bruxelles si vocifera anche il nome di Enrico Letta.
Tuttavia la prova di forza di Renzi potrebbe mettere l’Italia nella scomoda posizione di “contraddire” le aspettative dell’intero Parlamento europeo che poche ore prima aveva affidato a Juncker il compito di tentare “per primo” di formare la “richiesta maggioranza” che lo sostenga. Lo stesso Martin Schulz aveva incoronato il rivale popolare al suo arrivo al meeting Pse – riunione che Renzi ha saltato preferendo una visita al museo ebraico teatro dell’attentato terroristico di domenica scorsa.
E dire che la nomina del dopo Barroso – che in pochi rimpiangeranno a Bruxelles – doveva essere facile facile: “Il candidato del partito europeo che vince le elezioni europee diventerà il prossimo Presidente della Commissione europea”, avevano ripetuto a pappagallo i cinque candidati delle principali famiglie politiche europee durante i vari dibattiti pubblici tenutisi in giro per l’Europa. “Qualunque altra indicazione sarà rigettata dal Parlamento europeo a luglio”, avevano aggiunto, visto che l’Aula di Strasburgo deve approvarne la nomina a maggioranza assoluta.
L’unica che potrebbe spingere davvero sul nome di Juncker, Angela Merkel, è apparsa piuttosto tiepida. Pur essendone la madrina ufficiale in seno ai popolari, fonti europee riferiscono che il sogno proibito della Cancelliera è l’attuale Presidente dell’Fmi Christine Lagarde vista la loro comunanza di idee sulla disciplina fiscale e di bilancio – la Lagarde ha più volte intimato ai greci di iniziare a pagare le tasse. Altri nomi che circolano nei corridoi di Bruxelles tra gli outsider sono quelli dello svedese Fredrik Reinfeldt e del finlandese Jyrki Katainen. Nomine che avrebbero l’effetto di provocare un vero e proprio scontro istituzionale tra Consiglio e Parlamento e di bloccare la nomina del Presidente della Commissione europea per mesi. Cruciale il ruolo dell’Italia, che tra l’altro assumerà la presidenza di turno dell’Ue il prossimo 1 luglio.
Twitter: @AlessioPisano