Chi è il docente italiano? Un insegnante vecchio, con un sacco di anni di servizio alle spalle, forse con ancora molta passione per il suo lavoro, ma stanco e a volte demotivato.
Nell’anno in corso, due insegnanti su tre sono cinquantenni, ben l’11,3% ha più di 61 anni ed appena lo 0,2% ha meno di 30 anni. Secondo una ricerca del Forum della Pubblica Amministrazione, che si è aperto in queste ore a Roma, manteniamo il record: abbiamo il corpo insegnante più vecchio d’Europa. Nei Paesi Ocse, in media i docenti giovani under 30 sono il 10%.
Certo non è questione di età: gli insegnanti che hanno più esperienza possono essere una risorsa per le nuove generazioni che arrivano in classe disarmate, ma questo “esercito” di maestri e professori dai capelli bianchi o tinti, è stato negli anni poco incentivato (non solo dal punto di vista economico), mal gestito e sottovalutato. Non solo. I più refrattari all’uso della tecnologia sono proprio i maestri più anziani: nei collegi docenti ho incontrato veri e propri nemici del personal computer, pronti a esibire carta e penna rossa pur di non usare il registro elettronico o una piattaforma didattica su un tablet. Non è loro responsabilità: nessuno li ha formati.
Restano i fatti: nella scuola italiana i giovani insegnanti continuano ad essere messi ai margini mentre si è spostata sempre più in là l’asticella della pensione per quei docenti (oltre 70 mila ultra 60enni) che l’aspettano come la manna. Ancora oggi, secondo l’associazione sindacale Anief, il 15% degli insegnanti entra in classe ogni giorno con contratti a tempo determinato.
Il blocco del turn-over è stato causato anche dalla riduzione del rapporto tra il numero degli studenti e degli insegnanti.
Che fare con i più anziani? Rottamarli? Qualche proposta arriva dall’Anief che ha proposto di trasformarli in tutor per i nuovi docenti. Una soluzione che fa a pugni con la Ragioneria dello Stato ma che servirebbe a qualificare la nostra scuola.
E’ chiaro che se pensiamo ad una scuola moderna, capace di essere al passo con il resto d’Europa, abbiamo bisogno di maestri e professori che abbiano desiderio di mettersi in gioco, di ribaltare i loro modelli di insegnamento, di abbandonare il sussidiario per realizzare un ebook con gli studenti, di partire per viaggi d’istruzione che siano tali e non gite scolastiche fuori porta.
Pensate solo alla flipped classroom, la “classe rovesciata”. Nata sette anni fa negli Stati Uniti, questa iniziativa innovativa, comincia a prendere piede anche in Italia: l’insegnante a scuola diventa un tutor, una guida per le esperienze laboratoriali, di gruppo o individuali; mentre il pomeriggio a casa, lo studente, può trovare sul sito del docente video o materiale per studiare. Secondo i risultati di un sondaggio del 2012 organizzato, come riporta Ischool Startupitalia, l’88% degli insegnanti che hanno sperimentato la classe rovesciata provano maggiore soddisfazione in ambito lavorativo. Ora, ve lo immaginate quell’11% di prof italiani ultra sessantenni, a sperimentare questo metodo?