Gli esuberi stimati in Alitalia per la fusione con Etihad sono “tra i 2400 e i 2500, almeno dalle risultanze pubbliche”. Alla fine anche il governo, che per mesi ha girato la testa da un’altra parte, lo ha ammesso. A parlare in particolare è stato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che a margine di un convegno in Fondazione Cariplo a Milano ha spiegato che “poi si dovrà vedere quando ci sarà la discussione di merito tra le parti”. Il dato non si discosta molto dalle cifre circolate nelle scorse settimane e sulle quali per il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, aveva sempre cercato di gettare acqua sul fuoco minimizzando. “Questi numeri enormi che si leggono sui giornali non li ho mai visti. Etihad è una prospettiva molto importante perché riporta il nostro sistema aeroportuale al centro di un mondo che è cambiato”, aveva per esempio detto il 24 aprile scorso. Concetto poi ribadito su Twitter: “Io ho letto bozze e linee guida del piano industriale di #Etihad e non ho visto gli esuberi che circolano sui giornali”.
Tornando al presente, l’ex numero uno delle coop ha quindi ricordato che “il confronto parte sotto la regia del ministero delle Infrastrutture e noi siamo a disposizione per la parte che ci compete sugli ammortizzatori sociali“. Poletti ha sottolineato infine che “il tema degli ammortizzatori ha situazioni diverse, c’è il personale di terra e di volo, poi c’è il piano precedente, ancora in piedi, con un nucleo di persone in cassa integrazione a zero ore“. Per queste ultime “bisognerà riconsiderare tutta la situazione”.
Passate le elezioni, dunque, il governo inizia lentamente far vedere le carte sul costo pubblico dell’ennesimo salvataggio della compagnia aerea nonostante sia ormai privata. Secondo i recenti calcoli de ilfattoquotidiano.it, l’operazione Etihad sulla carta nasce con un costo statale di almeno 210 milioni di euro. Settantacinque milioni sono arrivati dalle Poste, mentre l’Enav ha sborsato 61 milioni di incentivi pubblici al settore aereo. E se la rimodulazione dei contratti non andrà a buon fine, peseranno sulle casse pubbliche altri 128 milioni. Senza contare la “tassa” di tre euro a biglietto per finanziare il Fondo volo, al quale contribuiscono anche aziende e dipendenti del settore aereo con l’obiettivo di creare un cuscinetto integrativo rispetto agli ammortizzatori sociali. A tal proposito Poletti sostiene di non aver nessuna idea sui costi, “perché c’è un fondo volo che è nelle disponibilità del ministero della Infrastrutture che viene utilizzato per questa tipologia di intervento. Bisogna capire come questa situazione si configurerà non essendoci ancora un accordo”.
Torna intanto di attualità anche il tema della sorte degli aeroporti italiani e, in particolare, quello della triangolazione Fiumicino, Malpensa, Linate. Se l’esito del confronto tra i due scali milanesi era già scontato con il ministro dei Trasporti che ha nel cassetto la liberalizzazione di Linate a scapito di Varese, su Roma nei mesi di trattativa sotterranea le parti in causa avevano cercato di gettare acqua sul fuoco. A partire dai Benetton che giocano sul doppio tavolo di azionisti sia di Alitalia che dell’aeroporto capitolino. E che non più tardi del 28 maggio maggio scorso, riferiva l’agenzia Reuters, avevano fatto sapere di non aver avuto alcun contatto con il fondo sovrano di Abu Dhabi per un eventuale ingresso nel capitale della società che gestisce lo scalo. A parlare era stato niente meno che Gilberto Benetton: “Mai avuto contatti, mai parlato con nessuno, sono indiscrezioni giornalistiche”, aveva detto dopo che alcuni quotidiani avevano ripetutamente scritto di un possibile acquisto di una quota di Adr (la società che controlla Fiumicino) da parte del fondo Adia, a seguito del matrimonio tra Alitalia e Etihad.
Un’ipotesi, del resto, suffragata dal piano di sviluppo della Aeroporti di Roma che prevede 12 miliardi di euro di investimenti che l’arrivo di un partner di peso potrebbe agevolare. D’altro canto Fiumicino è estremamente funzionale al vettore arabo che ne farebbe il suo ponte tra Africa ed Europa. Non stupisce quindi che un dirigente della compagnia emiratina si sia spinto a dichiarare al Velino che: “Cerchiamo di essere chiari: noi riteniamo che Malpensa possa diventare un importante scalo merci, il grande aeroporto del Sud Europa dovrà essere Roma”. E ancora. “Le risulta che la Francia, la Gran Bretagna o la Germania abbiano più di un hub nazionale? Perché l’Italia dovrebbe averne due? Quale sarebbe il senso commerciale e strategico? Per il traffico passeggeri bisognerà rafforzare Linate. Questo sarà importante”. Quanto ai costi pubblici per lo scalo di Malpensa si tratta di “uno sbaglio, una scelta politica, non aveva niente a che vedere con le opportunità di sviluppo del mercato. Ci sono ricerche fatte nel vostro Paese nelle quali appare chiarissimo che l’unico hub italiano può essere Fiumicino”. Messo alle strette sugli investimenti possibili, però, non c’è stata risposta: “Ora cerchiamo di chiudere l’accordo per Alitalia, a tutto il resto avremo modo e tempo per pensare nei prossimi mesi”.
Sullo sfondo l’Europa che non smette di seguire la vicenda. “La maggioranza della compagnia aerea deve essere in mani europee, così come il suo controllo. In caso contrario l’Italia violerebbe il regolamento 1008/2008“, ha detto il portavoce del commissario Ue ai Trasporti Kallas sulla fusione Alitalia-Ethiad, rimandando alle autorità italiane il compito di “valutare e garantire il rispetto della norma”. Nessun accenno ufficiale, invece, al tema degli aiuti di di Stato. Che potrebbe essere sul tavolo di uno degli incontri programmati mercoledì a Bruxelles dal ministro Lupi.