Fino a due anni fa nel palazzone a vetri di sei piani in via Tommaso Marcellini 8h le luci restavano accese 24 ore al giorno. Oggi si spengono a mezzanotte e si riaccendono alle 9 di mattina. “Ci hanno detto che il nostro posto di lavoro è a rischio” dice Rosy, 39 anni, una dei tremila operatori che lavorano nel call center Almaviva Contact di Palermo, a cinque chilometri da Monreale, a quasi 300 metri sul livello del mare. L’azienda è leader in Italia nell’outsourcing di servizi con diecimila dipendenti e un fatturato di circa 200 milioni di euro. La sua forza lavoro si concentra in Sicilia, con due sedi nel capoluogo e 4 mila persone. “Ci hanno dichiarato 2300 esuberi a livello nazionale” continua Rosy, referente Rsu, che dall’inizio dell’anno è andata 4 volte a Roma per convincere il presidente Marco Tripi a trovare un’alternativa. “Crescono le perdite mensili perché ci sono aziende che fanno concorrenza sleale e molte che delocalizzano gli ordini in Albania, Romania e Tunisia” le hanno spiegato. Il risultato ottenuto è il contratto di solidarietà per il terzo anno di fila. “Lavoro 4 ore al giorno e prendo 600 euro al mese con i contributi dell’Inps”. Il centro offre servizi inboud, cioè riceve chiamate per dare assistenza ai clienti. Ieri quelli di Tim, Wind, Vodafone, Enel, Alitalia. Oggi quelli di Sky. Ma il traffico è precipitato da 70 telefonate al giorno a 30. “Tra una chiamata e l’altra può passare anche un’ora. E il cliente sa cosa mi dice? ‘Dopo quattro telefonate finalmente lei mi capisce!’”. Perché dall’altra parte della cornetta prima c’era un operatore albanese o rumeno, che prende dai 280 ai 350 euro al mese (cioè il 30 per cento in meno di un collega italiano, ma in Albania è uno stipendio decoroso), a cui un altro call center italiano ha in parte delegato la commessa dell’ente privato o pubblico che in patria impone budget sempre più striminziti. “Per un anno tiriamo il fiato – sospira Rosy – ma poi se l’azienda chiude è un casino”. La sede in via Tommaso Marcellini è una comunità in miniatura. “Qui ci sono persone sposate tra di loro, con dei figli, un mutuo, c’è la mamma e la figlia sedute nella stessa sala. Se perdiamo il lavoro, saltano in aria famiglie intere!”. L’età media dei dipendenti è 40 anni. Laureati in medicina, ingegneri, psicologi, tantissimi avvocati. Una volta mettersi le cuffie con il microfono alle orecchie era un lavoro di passaggio. Oggi per 80 mila persone, quante sono quelle impiegate nei 160 call center della Penisola, è il mestiere della vita.
Al collasso è tutto il settore dei call center, la metà radunati al Sud, con un giro di affari di 1,3 miliardi di euro. Le 10 aziende più grandi (Almaviva, Comdata, Call&Call, Transcom, Visiant, Teleperformance, Ecare, 3G, Infocontact, Gruppo Abramo) fanno il 66 per cento del fatturato. Il 4 giugno a Roma ci sarà il “No delocalizzazioni day”, una manifestazione nazionale di tutti i lavoratori per dire no alla delocalizzazione, no alle gare al ribasso e chiedere alle istituzioni una più efficace regolamentazione del comparto. Il segretario generale Fistel Cisl, Giorgio Serao è netto: “Sono a rischio 10 mila posti nei prossimi mesi”. Intanto il primo maggio sono finiti a casa i 200 dipendenti di Voice Care, che gestiva per Seat il Pronto pagine gialle 89.24.24, senza cassa integrazione perché la società è fallita. Poi l’appello urgente al Governo: “Chiediamo il rispetto dell’articolo 24 bis del decreto Sviluppo del 2012 – insiste Serao – che obbliga la società ad avvisare 120 giorni prima il ministero del Lavoro e il Garante della privacy del trasferimento dell’attività in un Paese straniero e prevede per i clienti il diritto di scegliere se essere assistiti da un operatore all’estero o in Italia”. Altro sos: “L’estensione dell’articolo 2112 del codice civile per il cambio di appalto in modo che il dipendente mantenga stessa paga e diritti”. “Nell’ultimo biennio lo Stato ha speso 480 milioni in ammortizzatori sociali – denuncia Salvo Ugliarolo della Uilcom – non si può andare avanti così”. Troppe le società che durano tre anni, il tempo per beneficiare degli sgravi fiscali previsti della legge 407/1990, chiudono e aprono altrove con personale nuovo. “Si tratta di allineare l’Italia alla direttiva comunitaria 2001/23 a tutela dei lavoratori”, sottolinea Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cigl. Un primo passo è il tavolo sui call center aperto il 28 maggio dal ministero dello Sviluppo economico. Il confronto, presieduto dal viceministro Claudio De Vincenti, ha coinvolto le associazioni Assocontact, Federutility e Asstel e i sindacati di categoria Cgil, Cisl, Uil e Ugl. L’Osservatorio nazionale è la prima proposta dell’esecutivo, condivisa da tutti.
Un caso lampante di gara al ribasso è quello del Comune di Milano, che a febbraio ha pubblicato il bando per il servizio di informazione 020202. “Hanno previsto una base d’asta di 45 centesimi al minuto, che corrisponde a 18 euro per dipendente, a fronte di un costo per l’azienda di 17,79 euro – spiega il Umberto Costamagna, presidente di Assocontact -. Abbiamo fatto ricorso all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici e invitato tutti i soci a ritirarsi”. Solo tre aziende hanno presentato l’offerta. Il Comune però ha congelato il bando e sta riflettendo sul da farsi.
“Meglio prendere la commessa che perderla, no? Se non avessimo avuto i nostri addetti albanesi, non avremmo mai soddisfatto la commessa da Alitalia a prezzi sottocosto, delegando il 60 per cento dei volumi a loro, il resto agli italiani” spiega Paolo Sarzana, responsabile comunicazione di Teleperformance, che in Italia ha due sedi a Taranto, una a Fiumicino, e 3500 posti di lavoro. “Siamo una multinazionale presente in 51 Paesi” si difende Sarzana. Ma la sostanza non cambia: il dieci per cento delle commesse italiane vanno in Albania. “Lì ho un flat del 10 per cento, in Italia del 50”. Lorena, 31 anni, separata con un figlio, guadagna 500 euro al mese, fa telemarketing: “Il ritmo di lavoro è serrato, devi chiudere almeno 30 contratti al mese. Mi mandano al diavolo, poi ci fai l’abitudine. A Taranto o vai all’Ilva o al call center”.
Il gruppo Abramo, calabrese, in Albania si chiama Albacall, mille dipendenti, ma sul sito internet dell’azienda non compare. “Ci hanno assicurato che non ci tolgono il lavoro” dice Giuseppe, operatore a Catanzaro. Sua moglie lavora in un altro call center della zona. “La paga è bassa ma è sicura, pulita e nessuno te la ruba”.
Da Il Fatto Quotidiano di lunedì 2 giugno 2014
Lavoro & Precari
Call center al collasso. Il 4 giugno a Roma scendono in piazza i lavoratori senza volto
Migliaia in Sicilia, 80 mila in Italia. Nel Meridione interi quartieri e paesi vivono grazie ai dipendenti dei centralini telefonici. Un lavoro duro: per ore chiusi in una stanza, a parlare con gente che risponde stizzita. Ora la delocalizzazione in Albania e nei paesi dell'Est mette in ginocchio imprese e famiglie. Mercoledì nella Capitale: il “No delocalizzazioni day”
Fino a due anni fa nel palazzone a vetri di sei piani in via Tommaso Marcellini 8h le luci restavano accese 24 ore al giorno. Oggi si spengono a mezzanotte e si riaccendono alle 9 di mattina. “Ci hanno detto che il nostro posto di lavoro è a rischio” dice Rosy, 39 anni, una dei tremila operatori che lavorano nel call center Almaviva Contact di Palermo, a cinque chilometri da Monreale, a quasi 300 metri sul livello del mare. L’azienda è leader in Italia nell’outsourcing di servizi con diecimila dipendenti e un fatturato di circa 200 milioni di euro. La sua forza lavoro si concentra in Sicilia, con due sedi nel capoluogo e 4 mila persone. “Ci hanno dichiarato 2300 esuberi a livello nazionale” continua Rosy, referente Rsu, che dall’inizio dell’anno è andata 4 volte a Roma per convincere il presidente Marco Tripi a trovare un’alternativa. “Crescono le perdite mensili perché ci sono aziende che fanno concorrenza sleale e molte che delocalizzano gli ordini in Albania, Romania e Tunisia” le hanno spiegato. Il risultato ottenuto è il contratto di solidarietà per il terzo anno di fila. “Lavoro 4 ore al giorno e prendo 600 euro al mese con i contributi dell’Inps”. Il centro offre servizi inboud, cioè riceve chiamate per dare assistenza ai clienti. Ieri quelli di Tim, Wind, Vodafone, Enel, Alitalia. Oggi quelli di Sky. Ma il traffico è precipitato da 70 telefonate al giorno a 30. “Tra una chiamata e l’altra può passare anche un’ora. E il cliente sa cosa mi dice? ‘Dopo quattro telefonate finalmente lei mi capisce!’”. Perché dall’altra parte della cornetta prima c’era un operatore albanese o rumeno, che prende dai 280 ai 350 euro al mese (cioè il 30 per cento in meno di un collega italiano, ma in Albania è uno stipendio decoroso), a cui un altro call center italiano ha in parte delegato la commessa dell’ente privato o pubblico che in patria impone budget sempre più striminziti. “Per un anno tiriamo il fiato – sospira Rosy – ma poi se l’azienda chiude è un casino”. La sede in via Tommaso Marcellini è una comunità in miniatura. “Qui ci sono persone sposate tra di loro, con dei figli, un mutuo, c’è la mamma e la figlia sedute nella stessa sala. Se perdiamo il lavoro, saltano in aria famiglie intere!”. L’età media dei dipendenti è 40 anni. Laureati in medicina, ingegneri, psicologi, tantissimi avvocati. Una volta mettersi le cuffie con il microfono alle orecchie era un lavoro di passaggio. Oggi per 80 mila persone, quante sono quelle impiegate nei 160 call center della Penisola, è il mestiere della vita.
Al collasso è tutto il settore dei call center, la metà radunati al Sud, con un giro di affari di 1,3 miliardi di euro. Le 10 aziende più grandi (Almaviva, Comdata, Call&Call, Transcom, Visiant, Teleperformance, Ecare, 3G, Infocontact, Gruppo Abramo) fanno il 66 per cento del fatturato. Il 4 giugno a Roma ci sarà il “No delocalizzazioni day”, una manifestazione nazionale di tutti i lavoratori per dire no alla delocalizzazione, no alle gare al ribasso e chiedere alle istituzioni una più efficace regolamentazione del comparto. Il segretario generale Fistel Cisl, Giorgio Serao è netto: “Sono a rischio 10 mila posti nei prossimi mesi”. Intanto il primo maggio sono finiti a casa i 200 dipendenti di Voice Care, che gestiva per Seat il Pronto pagine gialle 89.24.24, senza cassa integrazione perché la società è fallita. Poi l’appello urgente al Governo: “Chiediamo il rispetto dell’articolo 24 bis del decreto Sviluppo del 2012 – insiste Serao – che obbliga la società ad avvisare 120 giorni prima il ministero del Lavoro e il Garante della privacy del trasferimento dell’attività in un Paese straniero e prevede per i clienti il diritto di scegliere se essere assistiti da un operatore all’estero o in Italia”. Altro sos: “L’estensione dell’articolo 2112 del codice civile per il cambio di appalto in modo che il dipendente mantenga stessa paga e diritti”. “Nell’ultimo biennio lo Stato ha speso 480 milioni in ammortizzatori sociali – denuncia Salvo Ugliarolo della Uilcom – non si può andare avanti così”. Troppe le società che durano tre anni, il tempo per beneficiare degli sgravi fiscali previsti della legge 407/1990, chiudono e aprono altrove con personale nuovo. “Si tratta di allineare l’Italia alla direttiva comunitaria 2001/23 a tutela dei lavoratori”, sottolinea Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cigl. Un primo passo è il tavolo sui call center aperto il 28 maggio dal ministero dello Sviluppo economico. Il confronto, presieduto dal viceministro Claudio De Vincenti, ha coinvolto le associazioni Assocontact, Federutility e Asstel e i sindacati di categoria Cgil, Cisl, Uil e Ugl. L’Osservatorio nazionale è la prima proposta dell’esecutivo, condivisa da tutti.
Un caso lampante di gara al ribasso è quello del Comune di Milano, che a febbraio ha pubblicato il bando per il servizio di informazione 020202. “Hanno previsto una base d’asta di 45 centesimi al minuto, che corrisponde a 18 euro per dipendente, a fronte di un costo per l’azienda di 17,79 euro – spiega il Umberto Costamagna, presidente di Assocontact -. Abbiamo fatto ricorso all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici e invitato tutti i soci a ritirarsi”. Solo tre aziende hanno presentato l’offerta. Il Comune però ha congelato il bando e sta riflettendo sul da farsi.
“Meglio prendere la commessa che perderla, no? Se non avessimo avuto i nostri addetti albanesi, non avremmo mai soddisfatto la commessa da Alitalia a prezzi sottocosto, delegando il 60 per cento dei volumi a loro, il resto agli italiani” spiega Paolo Sarzana, responsabile comunicazione di Teleperformance, che in Italia ha due sedi a Taranto, una a Fiumicino, e 3500 posti di lavoro. “Siamo una multinazionale presente in 51 Paesi” si difende Sarzana. Ma la sostanza non cambia: il dieci per cento delle commesse italiane vanno in Albania. “Lì ho un flat del 10 per cento, in Italia del 50”. Lorena, 31 anni, separata con un figlio, guadagna 500 euro al mese, fa telemarketing: “Il ritmo di lavoro è serrato, devi chiudere almeno 30 contratti al mese. Mi mandano al diavolo, poi ci fai l’abitudine. A Taranto o vai all’Ilva o al call center”.
Il gruppo Abramo, calabrese, in Albania si chiama Albacall, mille dipendenti, ma sul sito internet dell’azienda non compare. “Ci hanno assicurato che non ci tolgono il lavoro” dice Giuseppe, operatore a Catanzaro. Sua moglie lavora in un altro call center della zona. “La paga è bassa ma è sicura, pulita e nessuno te la ruba”.
Da Il Fatto Quotidiano di lunedì 2 giugno 2014
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Il sottosegretario Delmastro boccia la riforma Nordio: “Mi piace solo il sorteggio. I pm? Così divoreranno i giudici”. Pd-M5s: “Se ne vada”
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - "Per il loro concreto e costante sostegno nel percorso di avvicinamento delle comunità di Gorizia e Nova Gorica soprattutto nel contesto di Go 2025", il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e quello emerito della Slovenia, Borut Pahor, verranno insigniti domani, con una cerimonia in programma alle 11.30 al Teatro comunale Giuseppe Verdi, del Premio 'Santi Ilario e Taziano-Città di Gorizia'. Un nuovo riconoscimento per i due statisti ai quali nell'aprile scorso fu attribuita la laurea honoris causa in Giurisprudenza dall'Università di Trieste, a conferma di un impegno comune per rimarginare le ferite della storia e mantenere vivi un'amicizia e un legame tra due i popoli, saldando un rapporto anche sul piano personale.
Numerose le occasioni di incontro e i gesti simbolici. A partire dal 26 ottobre 2016, quando i due presidenti parteciparono alla cerimonia sul tema "L'Europa luogo di superamento dei conflitti", nel centenario dell'unione di Gorizia all'Italia. Fu quella l'occasione per la deposizione di due corone d'alloro sul monumento dedicato ai soldati sloveni caduti sul fronte dell'Isonzo 1915-1917 a Doberdò del Lago, mentre in precedenza il Capo dello Stato italiano, al Parco della Rimembranza di Gorizia, aveva reso omaggio al monumento ai caduti della Prima guerra mondiale e al lapidario che ricorda i deportati goriziani.
Ma fu soprattutto il bilaterale a Trieste il 13 luglio 2020 particolarmente denso di significati. Mattarella e Pahor resero omaggio, mano nella mano, alla Foiba di Basovizza e al Monumento ai caduti sloveni antifascisti Ferdo Bidovec, Fran Marusic, Zvonimir Milos e Alojzij Valencic, condannati a morte nel 1930. Quindi i due presidenti conferirono a Boris Pahor, scrittore sloveno naturalizzato italiano, rispettivamente l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e l’Ordine per Meriti eccezionali. Fu quindi firmato il protocollo di restituzione del Narodni Dom, l'edificio che ospitava le associazioni culturali slovene distrutto dalla violenza nazionalista dello squadrismo fascista nel 1920.
"La storia –disse Mattarella in quella occasione- non si cancella e le esperienze dolorose, sofferte dalle popolazioni di queste terre, non si dimenticano. Proprio per questa ragione il tempo presente e l’avvenire chiamano al senso di responsabilità, a compiere una scelta tra fare di quelle sofferenze patite, da una parte e dall’altra, l’unico oggetto dei nostri pensieri, coltivando risentimento e rancore, oppure, al contrario, farne patrimonio comune, nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione, amicizia, condivisione del futuro".
"Al di qua e al di là della frontiera -il cui significato di separazione è ormai, per fortuna, superato per effetto della comune scelta di integrazione nell’Unione europea -sloveni e italiani sono decisamente per la seconda strada, rivolta al futuro, in nome dei valori oggi comuni: libertà, democrazia, pace. Oggi, qui a Trieste -con la presenza dell’amico presidente Borut Pahor- segniamo una tappa importante nel dialogo tra le culture che contrassegnano queste aree di confine e che rendono queste aree di confine preziose per la vita dell’Europa". Concetti ribaditi nell’incontro del 21 ottobre 2021, per celebrare la designazione congiunta di Gorizia e Nova Gorica 'Capitale europea della Cultura 2025 con il progetto 'Go! Borderless'. “Un meraviglioso esempio della costruzione di un futuro comune nell’Unione europea".
L'avvicendamento alla guida della Slovenia, con l'elezione della presidente Nataša Pirc Musar, ha visto proseguire le iniziative di collaborazione e dialogo tra i vertici istituzionali dei due Paesi. Mattarella nell'aprile dello scorso anno partecipò alle celebrazioni per il ventennale dell'adesione della Slovenia all'Ue e con l'omologa Pirc Musar ha inaugurato a febbraio di quest'anno Go 2025, Prima Capitale europea della cultura transfrontaliera.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Il lupus eritematoso sistemico (Les) è una malattia autoimmune che può colpire vari organi e apparati del nostro organismo. Da qui la difficoltà nella diagnosi e nel trattamento. "Negli ultimi 10 anni, per la malattia, è cambiato il paradigma terapeutico" ed è possibile "raggiungere la remissione, spegnere una delle sue complicanze, quale la nefrite lupica, e ridurre al minimo", fino "anche a sospendere, il cortisone". Protagonisti di questa rivoluzione sono, "in particolare, i Jak inibitori, famiglia di nuovi farmaci già disponibili in Italia da dicembre 2017 per l'artrite reumatoide". Così Fabrizio Conti, professore di Reumatologia Università Sapienza e direttore della Uoc di Reumatologia del Policlinico Umberto I di Roma, riassume all'Adnkronos Salute l'evoluzione nella gestione di questa patologia cronica che è caratterizzata da manifestazioni eritematose cutanee e mucose con sensibilità alla luce del sole, ma che può coinvolgere altri organi come rene, articolazioni e sistema nervoso centrale.
"Il Les si presenta in modo variabile da persona a persona", sottolinea Rosa Pelissero, presidente Gruppo Les Odv, ma colpisce "soprattutto donne giovani in età fertile". Il rapporto di incidenza tra femmine e maschi è di 9 a 1. "Dopo la diagnosi ci si trova da un giorno all'altro malati di una malattia cronica. Si deve imparare a convivere con una nuova normalità. La ricerca è importante: 40-50 anni fa l'obiettivo era la sopravvivenza. C'era solo il cortisone ad alti dosaggi", come cura. "L'avvento di nuovi farmaci - chiarisce - apre alla possibilità di sospenderlo e quindi anche di ridurre gli effetti collaterali e i danni" del farmaco. "La gravidanza", allora, era "assolutamente" inimmaginabile. "Oggi invece, grazie ai progressi fatti, le donne affette da lupus sanno di poter affrontare un gravidanza. La nostra aspettativa è sempre di avere nuovi farmaci, il più efficaci possibili, con meno effetti collaterali e che possano essere somministrati su larga scala".
Il decorso della patologia, spesso, "è di tipo relapsing-remitting in cui, a fasi di attività di malattia, si alternano fasi di quiescenza - spiega Gian Domenico Sebastiani, direttore Uoc di Reumatologia dell'Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma - I Jak inibitori, piccole molecole sintetizzate chimicamente, assunte per via orale, inibiscono l'attività di diverse citochine, che sono molecole pro infiammatorie. I Jak inibitori differiscono dai farmaci usati fino ad oggi perché - precisa - vanno a colpire meccanismi mirati della patologia", ma anche perché, essendo orali, hanno più "facilità di somministrazione", cosa importante per "l'aderenza" al trattamento. Inoltre, "per la rapidità di azione", se devono essere sospesi "smettono velocemente di agire".
Questa "nuova classe di immunomodulatori per via orale bloccano uno specifico enzima", janus chinasi, "che attiva diversi recettori cellulari - rimarca Gianluca Moroncini, professore di Medicina interna, direttore Dipartimento Scienze cliniche e molecolari, Università Politecnica delle Marche e direttore Clinica medica, Aou delle Marche - Pur riconoscendo un bersaglio molecolare specifico, in realtà, sono antinfiammatori modulatori ad ampio spettro. Il mio centro è impegnato in un trial clinico multicentrico per verificare se abbiano, nel Lupus eritematoso sistemico, un'efficacia pari a quella che hanno già dimostrato in altre malattie per le quali sono autorizzate, come l'artrite reumatoide o l'artrite psoriasica. Attendiamo con ansia l'esito delle sperimentazioni".
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Ho apprezzato molto la posizione di Elly Schlein quando ha detto no al piano di riarmo. Una buona premessa per impostare un progetto di alternativa a questo governo". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Se ci dobbiamo ritrovare con una alternativa che segue la Meloni e sottoscrive la politica estera disastrosa della Meloni è un disastro, che alternativa puoi presentare agli italiani se ti trovi a votare con la Meloni per l'escalation militare? Per non parlare di Gaza", ha spiegato il leader del M5s.
Roma, 14 mar (Adnkronos) - "Il problema è che il Pd ha dimostrato di essere un partito troppo plurale, lo dico con una battuta. Ci sono dei momenti di sintesi e quando il tuo leader prende una posizione così chiara, qualche chiarimento adesso andrebbe operato. Ma il problema non riguarda me ma un'altra forza politica". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
Roma, 14 mag (Adnkronos) - "Oggi scopriamo che ci sono i proprietari delle reti che vogliono dettare le condizioni, vogliono utilizzare gli algoritmi per condizionare il dibattito, usare gli algoritmi per condizionare le elezioni. Ci dobbiamo svegliare". Lo ha detto Giuseppe Conte alla Stampa estera.
"Il problema vero è che sono monopolisti, come Starlink per i satelliti a bassa quota. Che garanzia di sicurezza abbiamo che domani, come per l'Ucraina, Musk non si svegli e dica chiudo l'interruttore? L'Europa è l'unico contesto sovranazionale che cerca di dettare regole su questo fronte. E' un problema serio da affrontare", ha spiegato il leader del M5s.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Con un'esperienza "ultraventennale in reumatologia" con l'obiettivo di "migliorare gli standard di cura e migliorare i risultati clinici per i pazienti che soffrono di queste malattie", oggi "AbbVie è impegnata a sviluppare un possibile strumento ulteriore per rispondere alle esigenze dei pazienti che soffrono di lupus eritematoso sistemico. Il Les è una malattia autoimmune estremamente complessa, caratterizzata dalla produzione di autoanticorpi che possono colpire in maniera variegata ed eterogenea diversi organi e sistemi: il sistema polmonare, il muscolo-scheletrico, la cute e il sistema nervoso centrale. Chiaramente i sintomi variano a seconda del tipo di organo distretto coinvolto, ma ha un decorso cronico estremamente elevato e un'evoluzione estremamente imprevedibile". Lo ha detto Caterina Golotta, direttore medico AbbVie Italia, all'Adnkronos Salute, sottolineando che, "per rispondere ai bisogni insoddisfatti", la farmaceutica sta lavorando su un "inibitore di Jak, upadacitinib. Frutto dello sforzo in ricerca e sviluppo interno, è al momento in corso di sperimentazione clinica in questo contesto".
Si tratta di "un inibitore selettivo e reversibile della janus chinasi - spiega Golotta - ed è attualmente approvato e rimborsato in una serie di patologie immunologiche: l'artrite reumatoide, la spondilite anchilosante, l'artrite psoriasica, la colite ulcerosa e la dermatite atopica. Rimaniamo fiduciosi in attesa dei risultati della molecola nel programma di sviluppo del lupus eritematoso sistemico. Tra l'altro, l'upadacitinib è attualmente in studio anche in altre 2 patologie dell'ambito immunologico: la vitiligine e l'alopecia areata".
AbbVie, evidenzia il direttore medico, "è un'azienda fortemente votata alla ricerca e sviluppo. In Italia siamo presenti con 78 studi clinici che coinvolgono circa 400 centri sperimentali. A livello globale, l'impegno in ricerca nel 2024 è stato pari a circa 13 miliardi di dollari, che rappresenta un incremento del 66,66% rispetto all'impegno del 2023".
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Con un'esperienza "ultraventennale in reumatologia" con l'obiettivo di "migliorare gli standard di cura e migliorare i risultati clinici per i pazienti che soffrono di queste malattie", oggi "AbbVie è impegnata a sviluppare un possibile strumento ulteriore per rispondere alle esigenze dei pazienti che soffrono di lupus eritematoso sistemico. Il Les è una malattia autoimmune estremamente complessa, caratterizzata dalla produzione di autoanticorpi che possono colpire in maniera variegata ed eterogenea diversi organi e sistemi: il sistema polmonare, il muscolo-scheletrico, la cute e il sistema nervoso centrale. Chiaramente i sintomi variano a seconda del tipo di organo distretto coinvolto, ma ha un decorso cronico estremamente elevato e un'evoluzione estremamente imprevedibile". Lo ha detto Caterina Golotta, direttore medico AbbVie Italia, all'Adnkronos Salute, sottolineando che, "per rispondere ai bisogni insoddisfatti", la farmaceutica sta lavorando su un "inibitore di Jak, upadacitinib. Frutto dello sforzo in ricerca e sviluppo interno, è al momento in corso di sperimentazione clinica in questo contesto".
Si tratta di "un inibitore selettivo e reversibile della janus chinasi - spiega Golotta - ed è attualmente approvato e rimborsato in una serie di patologie immunologiche: l'artrite reumatoide, la spondilite anchilosante, l'artrite psoriasica, la colite ulcerosa e la dermatite atopica. Rimaniamo fiduciosi in attesa dei risultati della molecola nel programma di sviluppo del lupus eritematoso sistemico. Tra l'altro, l'upadacitinib è attualmente in studio anche in altre 2 patologie dell'ambito immunologico: la vitiligine e l'alopecia areata".
AbbVie, evidenzia il direttore medico, "è un'azienda fortemente votata alla ricerca e sviluppo. In Italia siamo presenti con 78 studi clinici che coinvolgono circa 400 centri sperimentali. A livello globale, l'impegno in ricerca nel 2024 è stato pari a circa 13 miliardi di dollari, che rappresenta un incremento del 66,66% rispetto all'impegno del 2023".