“Quella roba de stamattina… faceva schifo – dice l’autotrasportatore – quattro sassi grossi sopra e il resto tutta monnezza“. È con la monnezza che, secondo l’accusa, stavano costruendo il nuovo porto di Civitavecchia. Risultato: 130 milioni di euro ora rischiano di affondare nell’acqua. L’accusa è frode nelle pubbliche forniture. Il nuovo porto non era costruito secondo le indicazioni del capitolato d’appalto, per fondamenta e cassoni piazzati a mare venivano usati materiali di scarsa qualità, prelevati da cave non autorizzate. “M’ha scaricato un viaggio di merda – dice un dipendente intercettato – e invece serviva roba bona pe’ fini’ de riempì il cassone…”. E così ieri mattina è scattato il blitz : i carabinieri del Noe, su mandato del procuratore Gianfranco Amendola e del pm Lorenzo Del Giudice, hanno sequestrato l’area del cantiere.

Sono stati posti i sigilli ai cantieri delle opere strategiche del porto di Civitavecchia, aggiudicate a seguito di gara d’appalto all’Associazione temporanea d’imprese composta da Itinera spa, Impresa Pietro Cidonio, Grandi lavori Fincosit e Coopsette Società cooperativa per l’importo di oltre 130 milioni di euro.

Nel mirino della procura di Civitavecchia sono finite 9 persone, con l’accusa di frode nelle pubbliche forniture realizzata in concorso tra loro e con altri in corso d’identificazione, ai danni della stazione appaltante, cioè l’Autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta che, nel frattempo si è costituita parte civile. Sono i titolari di alcune società di subappalto per l’ampliamento del porto. Per la precisione, sotto inchiesta sono finiti i lavori del primo lotto per il prolungamento antemurale Cristoforo Colombo, la Darsena servizi e quella Traghetti.

A far scattare l’inchiesta della magistratura, nel 2013, un esposto dei cavatori della zona, i primi a denunciare che il materiale non proveniva da cave autorizzate. “Le 12 cave del comprensorio potevano fornire il materiale idoneo – dice Stelio Riccardi, primo firmatario della denuncia – ma da queste cave non è uscito nemmeno un metro cubo”. E infatti gli investigatori scoprono che il materiale proviene da altre cave e non autorizzate. I cavatori ipotizzano anche un danno milionario all’erario in quanto “gli imprenditori devono versare un contributo ambientale per il materiale (basalto) estratto. E gli stessi comuni avranno un danno di circa un milione di euro”. 

A finire sotto inchiesta sono i titolari delle ditte delle cave: Pietro Lo Monaco, amministratore unico della società che porta il suo nome, responsabile di estrazione e movimentazione dei materiali lapidei dalla cava; Simone e Andrea De Amicis, amministratori della Siad autotrasporti e scavi, che si occupano del movimento terra e della fornitura del materiale da cava. E a seguire Mauro Bellucci e Giuseppe Celentano, dipendenti della società Pietro Cidonio, preposti al controllo del materiale che entrava nel cantiere, Maurizio Mazzola, il direttore dei lavori del cantiere. Infine, nell’elenco c’è Alessandro Guerra, direttore operativo della Rogedil, società aggiudicataria dell’appalto. Preoccupate le associazioni sindacali, per i circa 300 dipendenti impegnati nei lavori di riempimento del porto di Civitavecchia, che da ieri è un cantiere sotto sequestro.

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