“Non tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e non tutti sono necessariamente uguali davanti alla legge. La Repubblica può imporre ostacoli di ordine economico e sociale che limitino la libertà e l’uguaglianza di alcuni suoi cittadini”. Ve lo immaginate se l’articolo 3 della Costituzione fosse questo? Lo so, qualcuno dirà che sono panzane. Ma facciamo finta, tanto per assurdo?
Il solito villico, che ogni tanto ci viene in soccorso per capire il mondo, obietterà: chi potrebbe anche solo immaginare una bestialità simile? Beh, a quanto pare qualcuno delle alte greche della Difesa un pensierino deve averlo fatto. Per carità, non sulla Costituzione: per fortuna è fuori della loro portata. Ma ci stanno provando per quanto gli è consentito (non dovrebbe esserlo, ma se i ministri sono quelli che conosciamo…) su quella non piccola parte di italiani che porta una divisa.
Così, nei giorni scorsi agli spero esterrefatti rappresentanti dei militari è giunto un documento firmato dal generale di divisione aerea Franco Marsiglia, capo del 1° Reparto personale dello Stato maggiore della Difesa. Una lettera dall’oggetto anodino: “attuazione dell’articolo 19 della legge…” eccetera (il testo lo potete leggere sul sito de Il nuovo giornale dei militari). Ma se l’oggetto può sembrare inoffensivo, la lettura delle righe successive fa cambiare presto idea: una sequela di “divieto di, limitazione a, obbligo di, sottoposizione a, subordinazione a” e via assoggettando. E neppure una sbirciatina sui diritti. Il tutto completato, se ce ne fosse bisogno, dall’elenco delle cose che devono fare i militari: guerre (ma va?), usare armi (difficile da immaginare se non l’avessero scritto), esporsi al pericolo fino allo “estremo sacrificio” (le virgolette sono loro, non mie, l’estensore della norma è evidentemente scaramantico: chissà se tiene un cornetto sulla scrivania?).
Andiamo con ordine. Il testo che il generale Marsiglia (ma immagino non sia una sua iniziativa solitaria) manda al Cocer per un parere è la proposta di un disegno di legge di attuazione dell’articolo 19 di una legge del 2010, la 183 dal titolo lunghissimo: Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro. Cinquanta articoli dove, tra i lavori usuranti, gli istituti universitari speciali, la riforma dei congedi e dei permessi, la sottrazione alle procedura esecutive dei fondi del ministero del lavoro (ovvero: se lo Stato non vi paga non speriate di pignorarlo), è infilata una “specificità delle Forze armate, delle Forze di polizia” e anche dei pompieri.
Questa storia della specificità del cosiddetto comparto difesa e sicurezza è una vecchia carota fatta via via annusare da più o meno tutti i governi a militari e poliziotti. “Buoni, vi diamo la specificità” era il ritornello di fronte alle rivendicazioni. Con l’idea, non detta ma immaginificamente suggerita, che si sarebbe aperta la cornucopia: carriere, promozioni. E denaro. Soprattutto denaro.
Diciamocelo: a me non piace il baratto diritti-soldi. Ma se già alcuni diritti sono compressi e mi danno un po’ di soldi, perché no? D’altronde tutta l’operazione ottanta-euri-ottanta non è questo? C’hai i figli né-né, la moglie disoccupata, il nonno non si sa, quattro bollette scadute. Peggio sarebbe difficile. Tanti anni fa avresti rivendicato l’agibilità politica, oggi ti accontenti dei pochi e subito.
Così questo articolo 19, che al comma due fa tintinnare non le sciabole (per fortuna) ma schei, bezzi, denari dicendo “con i quali si provvede altresì a stanziare le occorrenti risorse finanziarie”, lascia presagire un qualche baratto. Forse immondo, ma certo concreto. Tanto che da quattro anni in molti hanno chiesto di dare attuazione alla legge. E così sembra essere, finalmente.
Senonché, sulla bozza mandata al Cocer, di soldi non v’è traccia: nisba, niet, nulla. Ma è piena invece di diritti castrati o negati. Puntigliosamente elencati e ribaditi, come se non bastassero le norme che già esistono ad abundatiam. Tra i militari alcuni hanno più volte messo in guardia contro il rischio dell’improprio scambio. Guido Bottacchiari, tenente colonnello e vice-presidente del Cocer dell’Aeronautica, dice che “personalmente, ho sempre considerato la battaglia per la norma sulla specificità come un articolato disegno di restaurazione e un progetto neo-isolazionista del mondo militare. Svendere diritti per qualche ipotetico vantaggio economico è stato e, soprattutto, rimane opportuno?”. Bottacchiari vede nitidamente un “rischio di restaurare una sub-cultura di stampo ottocentesco che prevede la separazione dal resto del mondo civile che credo non giovi e non sia necessaria al Paese”.
Qualche anno fa, ma potrebbe essere oggi, Francesco Dall’Ongaro scriveva “Quando la gente non aveva farina,/lo re diceva: mangiate pollame”. Una cinquantina d’anni dopo, evidentemente finiti sia il pollame che la farina, il generale Fiorenzo Bava Beccaris faceva sparare cannonate sui manifestanti milanesi: “Il feroce monarchico Bava/gli affamati col piombo sfamò”. Oggi, svelato l’inganno del pollame della specificità, bloccati da anni gli stipendi con la scusa delle compatibilità di bilancio (vale naturalmente per i militari, ma anche per gli altri del pubblico impiego), è tempo di tirar fuori l’artiglieria. E ribadire ex lege che di fronte a nessun diritto i militari possono (articolo 4): andare in autobus gratis se in divisa e muniti di apposita autorizzazione, detrarre il 19 per cento delle spese per le divise dal reddito imponibile, chiedere (ma non necessariamente ottenere) l’avvicinamento al coniuge se anch’ella/egli militare e in altra città. Azz, signor tenente. Che specificità.
Scusate. Accecato dalla mia nota faziosità ho omesso di citare un passaggio fondamentale: “perequazione delle retribuzione del personale”. Beh, qualcosa arriva, allora? Dipende, bisogna leggere tutto: “perequazione delle retribuzione del personale dirigente” con quelle di prefetti e diplomatici. Se non fosse che queste frasi stanno in un documento ufficiale, marcato in basso Digitally signed by Marsiglia Franco, uno potrebbe agevolmente pensare a una farsa di Macario o a una commedia genovese di Gilberto Govi e le sue paghe con mugugno o senza mugugno.
Al momento di mugugni non ne ho sentiti. Difficile che arrivino dai Cocer dei militari. Quello dell’Esercito è presieduto dal generale-poeta Paolo “Wolf” Gerometta. Che oltre a essere potenzialmente un diretto beneficiario della legge, è anche Capo del 1° Reparto dello Stato maggiore dell’Esercito, cioè il capo del personale per dirla in termini aziendali. Dunque è capo del personale e capo del sindacato (il Cocer, più o meno). Simbiosi angelica. In confronto il conflitto di interessi del Berlusca era robetta da educande.
Non che alla Marina vada meglio, anzi. Il presidente del Cocer della Marina, contrammiraglio Pietro Luciano Ricca, è infatti anche (chi l’avrebbe mai detto?) il capo del 1° Reparto dello Stato maggiore Marina, cioè il capo del personale anche lui. Pazzesco. Ricca ha anche ricevuto un encomio solenne per aver “concorso in maniera determinante alla stesura dei decreti legislativi attuativi della legge inerente la revisione dello strumento militare, fornendo un contributo estremamente lucido, competente e lungimirante”. La legge di cui si parla è la cosiddetta legge Di Paola, contestatissima tra i militari perché taglia 40 mila posti di lavoro. Perfetto. Vi stupite se, di fronte all’abominio della proposta, su questa curiosa specificità i Cocer tacciano? Dimenticavo: neppure dalla volonterosa ministra sono arrivate obiezioni o rimbrotti, come denuncia il sito dell’Associazione Militari Assodipro. Non per niente la chiamano generale.