“Lo spirito della Coppa, qui, ancora non si sente. E non potrebbe essere altrimenti, poiché finora abbiamo pagato le conseguenze dell’evento”. Barbara Olivi vive la Rocinha da 14 anni, quando ha lasciato il suo lavoro da agente immobiliare a Milano per trasferirsi nella più grande delle 1024 favelas di Rio de Janeiro. Alla Rocinha, che vuol dire “piccolo orto” perché i primi a insediarsi erano tutti contadini, abitano in duecentomila: una città grande come Trieste o Brescia. “E come in ogni paese, così come in ogni favela, anche qui si vivono gioie e dolori’. Che Barbara prova a esaltare e alleviare con la sua onlus “Il sorriso dei miei bimbi“. E, pesando il Mondiale, la sua bilancia tende dalla parte dei dolori.
Con l’avvicinarsi della Coppa del Mondo si è scritto di tutto sulle favelas. Com’è la situazione alla Rocinha?
Se vivessimo in Italia la stessa repressione saremmo già impazziti. Mentre qui, nonostante la fogna e la mancanza di strutture vince comunque la voglia di andare avanti. Nella foga di sopravvivenza si finisce però per non correre verso i propri diritti. Dev’essere questo il tema principale quando si parla di favelas, prima ancora della povertà. A Rocinha ci sono gli indigenti e i ricchissimi, che fuori da qui non lo sarebbero perché dovrebbero pagare tasse e bollette. Ma tutti, oltre i confini della favela, vengono emarginati e non sono visti di buon occhio. La realtà è che per ogni narcos abbiamo 80 lavoratori e uno zoccolo duro di 19 fancazzisti. I trafficanti di droga sono però armati e questo porta spesso a conflitti a fuoco con la Polizia, che diventano gli unici avvenimenti per cui la Rocinha fa notizia.
Però che polizia e favelas vivano un rapporto sempre più complicato è innegabile.
Dopo il periodo di terrore seguito alla “pacificazione” del 13 novembre 2011, oggi viviamo sotto il controllo massiccio dell’UPP (unità di polizia pacificatrice, ndr), fattosi più stringente nell’ultimo mese. Ci sono tre categorie di agenti dell’UPP: gli anziani, corrotti e con il chiodo fisso del guadagno, i giovani idealisti che credono nella loro opera di pacificazione e i ragazzi che entrano in polizia per avere accesso libero all’università. Quest’ultimi sono tanti, non sono preparati e hanno paura quando scattano situazioni di pericolo. Dall’altra parte trovano loro coetanei che hanno preso piede dopo gli arresti massicci delle vecchie guardie del narcotraffico. Sono giovani contro giovani: si cagano addosso quando è il momento di sparare. Accade sempre più spesso che ci scappi il morto e a volte si tratta di passanti del tutto estranei.
L’inasprimento del conflitto è una conseguenza dell’avvicinarci della Coppa del Mondo?
Vivendo qui non può sfuggire che l’ordine di alzare il livello di repressione sia palese: entrano, sparano, ammazzano. Avviene soprattutto nella zona alla base della montagna dei Due Fratelli. Se un poliziotto trova un ragazzo armato, apre il fuoco. È successo l’ultima volta neanche due settimane fa, alle 2 del pomeriggio.
La “questione favelas” come viene trattata dalla stampa?
I media brasiliani cercano di non parlarne, evidenziando solo le operazioni di polizia. I giornalisti stranieri si dividono in due scuole di pensiero: “esaltare le storie eccezionali” oppure “violenza, violenza, violenza”. La realtà è che siamo finiti sotto i riflettori per i Mondiali, ma qui lo spirito della Coppa non è ancora arrivato.
Un paradosso, tenendo conto che gli strati più poveri della popolazione brasiliana sono il cuore pulsante della passione per il calcio.
L’assegnazione dei mondiali al Brasile è stata motivo di orgoglio anche qui. Però i benefici si sono fermati un passo prima d’entrare alla Rocinha e in qualsiasi altra favela. La Coppa è costata tanto al settore pubblico. E questa gente ne paga le conseguenze sulla propria pelle. Sono cresciuti i prezzi e le infrastrutture pensate e iniziate non sono ancora state portate a termine. Quelle ultimate, penso agli stadi, sono diventati inaccessibili.
In che senso?
Il Maracanà è sempre stato un simbolo del popolo, oggi è un posto per ricchi. Il prezzo più basso per una partita è di 80 reais, il salario minimo di un brasiliano è di 780. Chi spende il 10 per cento dei propri guadagni per vedere una partita di calcio? Oppure pensate ai trasporti, miccia delle proteste dello scorso anno durante la Confederations Cup. Le cooperative di tassisti create nelle favelas sono state cancellate e non compensate con un servizio che funzioni. Contestualmente il prezzo dei bus è cresciuto. Vuol dire che la gente per andare a lavorare spende di più e impiega più tempo.
Le Olimpiadi del 2016 sono alle porte. Temete un secondo round di repressione e rincari?
Spero innanzitutto che si plachi l’onda repressiva. Contestualmente i lavori pubblici che procedono a rilento dovranno arrivare a termine. Questo avrà un risvolto positivo sotto il profilo dei servizi ma allo stesso tempo la tanta manovalanza proveniente dalle favelas si ritroverà senza un lavoro. E parliamo di persone che attualmente portano a casa uno stipendio di 1400 reais al mese, più buoni basto e trasporti gratuiti.
Sarà un Mondiale in tono minore, insomma?
I primi addobbi per la Selecao iniziano a vedersi in questi giorni. L’associazione degli abitanti ha proclamato una competizione per la strada con il miglior allestimento: si vincono carne e birra per un barbeque. Nella via Apia, una delle principali della Rocinha, verrà installato un maxischermo. Rimaniamo comunque nell’ambito del “normale” per un popolo che ha fatto del calcio una parte integrante della propria vita. Qui anche dei sacchetti di plastica sono buoni per improvvisare una partita. L’abilità e il genio con la palla tra i piedi sono questioni congenite e restano una speranza per passare dall’emarginazione al mito.
Lo speciale mondiali del fattoquotidiano.it
Twitter: @AndreaTundo1
Non solo mondiali
Brasile 2014, “nelle favelas nessuna gioia per i mondiali: solo rincari e repressione”
Barbara Olivi vive la Rocinha da 14 anni, quando ha lasciato il suo lavoro da agente immobiliare a Milano per trasferirsi nella più grande favela di Rio de Janeiro dove ha fondato la onlus "Il sorriso dei miei bimbi". "Nel Paese il calcio è lo sport popolare per eccellenza, ma questo torneo è solo per i ricchi"
“Lo spirito della Coppa, qui, ancora non si sente. E non potrebbe essere altrimenti, poiché finora abbiamo pagato le conseguenze dell’evento”. Barbara Olivi vive la Rocinha da 14 anni, quando ha lasciato il suo lavoro da agente immobiliare a Milano per trasferirsi nella più grande delle 1024 favelas di Rio de Janeiro. Alla Rocinha, che vuol dire “piccolo orto” perché i primi a insediarsi erano tutti contadini, abitano in duecentomila: una città grande come Trieste o Brescia. “E come in ogni paese, così come in ogni favela, anche qui si vivono gioie e dolori’. Che Barbara prova a esaltare e alleviare con la sua onlus “Il sorriso dei miei bimbi“. E, pesando il Mondiale, la sua bilancia tende dalla parte dei dolori.
Con l’avvicinarsi della Coppa del Mondo si è scritto di tutto sulle favelas. Com’è la situazione alla Rocinha?
Se vivessimo in Italia la stessa repressione saremmo già impazziti. Mentre qui, nonostante la fogna e la mancanza di strutture vince comunque la voglia di andare avanti. Nella foga di sopravvivenza si finisce però per non correre verso i propri diritti. Dev’essere questo il tema principale quando si parla di favelas, prima ancora della povertà. A Rocinha ci sono gli indigenti e i ricchissimi, che fuori da qui non lo sarebbero perché dovrebbero pagare tasse e bollette. Ma tutti, oltre i confini della favela, vengono emarginati e non sono visti di buon occhio. La realtà è che per ogni narcos abbiamo 80 lavoratori e uno zoccolo duro di 19 fancazzisti. I trafficanti di droga sono però armati e questo porta spesso a conflitti a fuoco con la Polizia, che diventano gli unici avvenimenti per cui la Rocinha fa notizia.
Però che polizia e favelas vivano un rapporto sempre più complicato è innegabile.
Dopo il periodo di terrore seguito alla “pacificazione” del 13 novembre 2011, oggi viviamo sotto il controllo massiccio dell’UPP (unità di polizia pacificatrice, ndr), fattosi più stringente nell’ultimo mese. Ci sono tre categorie di agenti dell’UPP: gli anziani, corrotti e con il chiodo fisso del guadagno, i giovani idealisti che credono nella loro opera di pacificazione e i ragazzi che entrano in polizia per avere accesso libero all’università. Quest’ultimi sono tanti, non sono preparati e hanno paura quando scattano situazioni di pericolo. Dall’altra parte trovano loro coetanei che hanno preso piede dopo gli arresti massicci delle vecchie guardie del narcotraffico. Sono giovani contro giovani: si cagano addosso quando è il momento di sparare. Accade sempre più spesso che ci scappi il morto e a volte si tratta di passanti del tutto estranei.
L’inasprimento del conflitto è una conseguenza dell’avvicinarci della Coppa del Mondo?
Vivendo qui non può sfuggire che l’ordine di alzare il livello di repressione sia palese: entrano, sparano, ammazzano. Avviene soprattutto nella zona alla base della montagna dei Due Fratelli. Se un poliziotto trova un ragazzo armato, apre il fuoco. È successo l’ultima volta neanche due settimane fa, alle 2 del pomeriggio.
La “questione favelas” come viene trattata dalla stampa?
I media brasiliani cercano di non parlarne, evidenziando solo le operazioni di polizia. I giornalisti stranieri si dividono in due scuole di pensiero: “esaltare le storie eccezionali” oppure “violenza, violenza, violenza”. La realtà è che siamo finiti sotto i riflettori per i Mondiali, ma qui lo spirito della Coppa non è ancora arrivato.
Un paradosso, tenendo conto che gli strati più poveri della popolazione brasiliana sono il cuore pulsante della passione per il calcio.
L’assegnazione dei mondiali al Brasile è stata motivo di orgoglio anche qui. Però i benefici si sono fermati un passo prima d’entrare alla Rocinha e in qualsiasi altra favela. La Coppa è costata tanto al settore pubblico. E questa gente ne paga le conseguenze sulla propria pelle. Sono cresciuti i prezzi e le infrastrutture pensate e iniziate non sono ancora state portate a termine. Quelle ultimate, penso agli stadi, sono diventati inaccessibili.
In che senso?
Il Maracanà è sempre stato un simbolo del popolo, oggi è un posto per ricchi. Il prezzo più basso per una partita è di 80 reais, il salario minimo di un brasiliano è di 780. Chi spende il 10 per cento dei propri guadagni per vedere una partita di calcio? Oppure pensate ai trasporti, miccia delle proteste dello scorso anno durante la Confederations Cup. Le cooperative di tassisti create nelle favelas sono state cancellate e non compensate con un servizio che funzioni. Contestualmente il prezzo dei bus è cresciuto. Vuol dire che la gente per andare a lavorare spende di più e impiega più tempo.
Le Olimpiadi del 2016 sono alle porte. Temete un secondo round di repressione e rincari?
Spero innanzitutto che si plachi l’onda repressiva. Contestualmente i lavori pubblici che procedono a rilento dovranno arrivare a termine. Questo avrà un risvolto positivo sotto il profilo dei servizi ma allo stesso tempo la tanta manovalanza proveniente dalle favelas si ritroverà senza un lavoro. E parliamo di persone che attualmente portano a casa uno stipendio di 1400 reais al mese, più buoni basto e trasporti gratuiti.
Sarà un Mondiale in tono minore, insomma?
I primi addobbi per la Selecao iniziano a vedersi in questi giorni. L’associazione degli abitanti ha proclamato una competizione per la strada con il miglior allestimento: si vincono carne e birra per un barbeque. Nella via Apia, una delle principali della Rocinha, verrà installato un maxischermo. Rimaniamo comunque nell’ambito del “normale” per un popolo che ha fatto del calcio una parte integrante della propria vita. Qui anche dei sacchetti di plastica sono buoni per improvvisare una partita. L’abilità e il genio con la palla tra i piedi sono questioni congenite e restano una speranza per passare dall’emarginazione al mito.
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Roma, 7 mar. (Adnkronos) - Esperti e stakeholder del settore energetico si sono riuniti ieri mattina a Key, in occasione del convegno 'Accelerating Sustainable Electrification: Key to Economic and Social Development on the African Continent' curato da Res4Africa Foundation, per parlare del ruolo fondamentale dell'elettrificazione nella trasformazione socioeconomica dell'Africa. Con una popolazione prevista di 2,5 miliardi entro il 2050, il continente deve prepararsi per affrontare una crescente domanda di energia, che richiede soluzioni urgenti e sostenibili.
La conferenza, organizzata in due panel, ha evidenziato la necessità di uno sviluppo di energia rinnovabile su larga scala, di modernizzazione delle reti elettriche e di investimenti in soluzioni per l’accumulo di energia, in modo da garantire l'accesso universale a un'elettricità affidabile, sicura e conveniente.
Oltre alle discussioni, le delegazioni africane presenti hanno avuto l'opportunità di esplorare le soluzioni innovative presenti a Key, rafforzando ulteriormente le collaborazioni pubblico-private volte all'elettrificazione sostenibile.
“I porti e le infrastrutture costiere rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile offshore, poiché rappresentano il punto di partenza e di supporto logistico per la costruzione, l'installazione e la manutenzione degli impianti”. È quanto ha dichiarato ieri mattina Fulvio Mamone Capria, presidente di Aero, Associazione delle Energie Rinnovabili Offshore, al termine del convegno 'Portualità, logistica, trasporti e filiera industriale per l’eolico offshore in Italia'.
I porti sono destinati a diventare sempre di più hub dell’energia, capaci di garantire l'efficienza e la sostenibilità delle operazioni, ma anche di favorire l'innovazione tecnologica e il coordinamento delle attività tra i diversi attori del settore. “L'adeguamento e il potenziamento delle infrastrutture portuali sono determinanti per ridurre i costi e migliorare la competitività delle energie rinnovabili marine, rendendo i progetti più scalabili e accessibili”, ha continuato Mamone.
Il decreto ministeriale sui porti permetterà di semplificare gli investimenti e incentivare la creazione di un'infrastruttura solida e ben collegata.
Roma, 7 mar. (Adnkronos) - Esperti e stakeholder del settore energetico si sono riuniti ieri mattina a Key, in occasione del convegno 'Accelerating Sustainable Electrification: Key to Economic and Social Development on the African Continent' curato da Res4Africa Foundation, per parlare del ruolo fondamentale dell'elettrificazione nella trasformazione socioeconomica dell'Africa. Con una popolazione prevista di 2,5 miliardi entro il 2050, il continente deve prepararsi per affrontare una crescente domanda di energia, che richiede soluzioni urgenti e sostenibili.
La conferenza, organizzata in due panel, ha evidenziato la necessità di uno sviluppo di energia rinnovabile su larga scala, di modernizzazione delle reti elettriche e di investimenti in soluzioni per l’accumulo di energia, in modo da garantire l'accesso universale a un'elettricità affidabile, sicura e conveniente.
Oltre alle discussioni, le delegazioni africane presenti hanno avuto l'opportunità di esplorare le soluzioni innovative presenti a Key, rafforzando ulteriormente le collaborazioni pubblico-private volte all'elettrificazione sostenibile.
“I porti e le infrastrutture costiere rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile offshore, poiché rappresentano il punto di partenza e di supporto logistico per la costruzione, l'installazione e la manutenzione degli impianti”. È quanto ha dichiarato ieri mattina Fulvio Mamone Capria, presidente di Aero, Associazione delle Energie Rinnovabili Offshore, al termine del convegno 'Portualità, logistica, trasporti e filiera industriale per l’eolico offshore in Italia'.
I porti sono destinati a diventare sempre di più hub dell’energia, capaci di garantire l'efficienza e la sostenibilità delle operazioni, ma anche di favorire l'innovazione tecnologica e il coordinamento delle attività tra i diversi attori del settore. “L'adeguamento e il potenziamento delle infrastrutture portuali sono determinanti per ridurre i costi e migliorare la competitività delle energie rinnovabili marine, rendendo i progetti più scalabili e accessibili”, ha continuato Mamone.
Il decreto ministeriale sui porti permetterà di semplificare gli investimenti e incentivare la creazione di un'infrastruttura solida e ben collegata.
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.