La norma che prevede l’annullamento del matrimonio nel caso in cui uno dei due coniugi cambi sesso è incostituzionale perché non prevede per la coppia che voglia continuare una vita assieme un’altra forma di convivenza giuridicamente regolata, un’unione alternativa a cui deve prevedere il legislatore. È una porta spalancata a favore delle unioni civili la sentenza della Corte Costituzionale che ha così risolto la questione posta da una coppia di Bologna.
Per Alessandra Bernaroli, un tempo Alessandro, e per la sua compagna, la donna che ha sposato nel 2005, è una vittoria, anche se parziale, perché di fatto il matrimonio per ora resta nullo. Ma la questione posta, se cioè sia costituzionale la legge la legge n. 164 del 1982, che contiene le norme in materia di cambio di sesso e che fa scattare il cosiddetto “divorzio imposto”, è stata accolta.
Nella sentenza redatta dal giudice Mario Rosario Morelli si cerca un punto di equilibrio tra “l’interesse dello Stato a non modificare il modello eterosessuale del matrimonio (e a non consentirne, quindi, la prosecuzione, una volta venuto meno il requisito essenziale della diversità di sesso dei coniugi)” e l’interesse della coppia in cui uno dei due componenti cambia sesso, affinché “l’esercizio della libertà di scelta compiuta da un coniuge con il consenso dell’altro, relativamente ad un tal significativo aspetto della identità personale, non sia eccessivamente penalizzato con il sacrificio integrale della dimensione giuridica del preesistente rapporto”. Da qui un forte monito al legislatore, chiamato a introdurre “con la massima sollecitudine” una “forma alternativa (e diversa dal matrimonio) che consenta ai due coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione di assoluta indeterminatezza”. E l’unione deve garantire le stesse tutele del matrimonio su tutti i piani, deve essere ad esso equiparato.
Tutto a posto? Sul piano dei principi, sì. La decisione ha una fortissima valenza. Ma sul piano concreto, per la coppia non è ancora tutto risolto. Ora il caso tornerà in Cassazione. Da qui, infatti, erano partiti gli atti in direzione della Consulta, perché la Cassazione – a cui la coppia era approdata dopo un iter che l’aveva vista vincente in tribunale e sconfitta in appello – ha dubitato della legittimità della norma e l’ha per così dire “impugnata” di fronte alla Corte Costituzionale. “La Cassazione dovrà chiudere il procedimento”, spiega l’avvocato Giovanni Genova, che nell’udienza in Corte Costituzionale aveva chiesto di costituirsi a nome dell’Avvocatura per i diritti LGBTI, che tutela i diritti di lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuali, non è stato ammesso. “Allo stato attuale, però – spiega il legale -, la Suprema Corte non ha uno strumento giuridico per farlo, perché le unioni civili non sono previste dall’ordinamento italiano”.
Ma la protagonista di questa storia è soddisfatta e ottimista. “Intanto abbiamo vinto e non è cosa da poco – afferma – e in Cassazione ci torniamo da vincitrici. Se la logica vale, allora voglio ricordare che la Cassazione è chiamata a decidere su caso singolo, un problema specifico e reale e in base a quanto ha detto la Coste Costituzionale, se scioglierà il matrimonio agirà contro Costituzione. Quindi, io mi aspetto che che la Cassazione prenda atto che sciogliere il nostro matrimonio viola la Costituzione italiana”.