Mazzette bipartisan. La cricca del Mose non avrebbe finanziato solo esponenti del centrodestra come Altero Matteoli, ma avrebbe contribuito anche all’attività di personaggi di primo piano del Partito democratico come Enrico Letta, aiutato attraverso un incarico fittizio di 150 mila euro. A parlare dell’ex premier è Roberto Pravatà, vicedirettore generale del Consorzio, per trenta anni fidatissima e silenziosa ombra di Giovanni Mazzacurati, il grande burattinaio del sistema che tra finanziamenti illeciti e consulenze ha trasformato la grande opera di Venezia in una tangentopoli a larghe intese: per ogni cinque euro, hanno calcolato gli inquirenti, uno è stato speso per favori. Il Mose costa allo Stato 5 miliardi. Il racconto di Pravatà è ritenuto dai pm non solo veritiero ma assolutamente affidabile perché le modalità con cui è stato raccolto sono state del tutto casuali: nel febbraio 2013 durante una perquisizione a casa di Pravatà viene rinvenuto una sorta di diario che l’uomo teneva costantemente aggiornato in cui annota ciò che da ombra di Mazzacurati vede e sente. Non solo, ma Pravatà è anche la cerniera con il centrosinistra: quando Massimo Cacciari, da sindaco di Venezia, chiede a Mazzacurati di comprare le azioni dell’Eni in Tethis – creando un consorzio bis – è lui a gestire l’intera operazione. Quel diario è stato sequestrato e registrato tra le 109 mila pagine di carte dell’inchiesta sul Mose come “memoriale”. Le pagine sono state trascritte e secretate dai magistrati accompagnate da interrogatori successivi durante i quali Pravatà conferma tutto quanto aveva scritto. “Mazzacurati mi convocò per dirmi che il Cvn avrebbe dovuto concorrere al sostenimento delle spese elettorali dell’onorevole Enrico Letta che si presentava come candidato per un turno elettorale attorno al 2007 con un contributo dell’ordine di 150mila euro. Mi disse che il Letta Enrico aveva come intermediario per il Veneto, anche per tale finanziamento illecito, Arcangelo Boldrin con studio a Mestre in viale Ancona. In effetti venne predisposto un incarico fittizio per un’attività concernente l’arsenale di Venezia”.
L’ex premier: “Tutti pubblici i miei finanziamenti”
L’ex premier, raggiunto telefonicamente dal Fatto Quotidiano, ha ribattuto alle accuse: “Non ne so niente. Nego assolutamente. I finanziamenti che ho ricevuto sono tutti pubblici”. Posizione ribadita anche mercoledì 11 giugno: “Leggo falsità sul mio conto legate al Mose. Smentisco con sdegno e nel modo più categorico. Non lascerò che mi si infanghi così”, ha scritto Letta su Twitter. Sta di fatto che Pravatà mette in ordine anche i rapporti con lo zio Gianni. E ricorda di quando Mazzacurati gli disse che “Gianni Letta aveva per la prima volta chiesto soldi. Bisognava fare un intervento per permettere al ministro Lunardi di liquidare la sanzione di danno erariale della Corte dei Conti, derivante dall’ingiustificato allontanamento del presidente dell’Anas”. Circostanza già emersa negli ultimi giorni da altri verbali e che hanno spinto Gianni Letta a smentire ogni suo coinvolgimento. Di fatto né zio né nipote figurano indagati nel procedimento.
500 mila euro portati a casa di Matteoli e la regola del 7%
Anche l’ex ministro Matteoli ieri ha dichiarato di essere estraneo alla vicenda, eppure non solo è indagato per le bonifiche ambientali a Marghera, ma tra le oltre 109 mila pagine i riscontri a suo carico emergono costantemente. Non solo, ma stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, Matteoli si sarebbe adoperato su più fronti: da ministro dell’Ambiente prima e delle Infrastrutture poi, avrebbe ricevuto finanziamenti per le campagne elettorali dalla riserva di fondi neri creati dalla cricca Serenissima avvinghiata attorno al Consorzio Nuova Venezia; avrebbe ricevuto mazzette per almeno 500 mila euro consegnate direttamente a casa sua in Toscana; avrebbe proposto di scendere a patti con il Consorzio assegnandogli direttamente e senza bando 600 milioni di fondi del dicastero che guidava in cambio del versamento di una tangente compresa tra il 6,5 e il 7,5% all’azienda Socrostrano di un suo uomo di fiducia, Erasmo Cinque, e l’avrebbe poi fatta accomodare anche nella prossima grande partita italiana: l’Expo 2015 di Milano. Questo è lo sconcertante ritratto dell’ex ministro. Intercettazioni, verbali di interrogatori, riscontri messi in fila dai tre magistrati di Venezia Stefano Ancillotto, Stefano Buccini e Paola Tonini.
L’anello di congiunzione tra la Laguna e l’Expo
Dopo Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani, anche Mazzacurati racconta con particolari dettagliati il ruolo di Matteoli e confermando che l’uomo dell’ex ministro era Cinque. “Abbiamo versato cifre intorno al mezzo milione di euro. Poi c’era Erasmo Cinque, ma questa persona è entrata nel Consorzio aggregandosi a Matteoli, è una persona un po’ discutibile.. è titolare di una società che si chiama Socostramo. Io li ho trovati varie volte al ristorante vicino al ministero, c’è un ristorante che si chiama Enoteca Capranica. Questa persona (Cinque, ndr) ha stretto un legame molto solido con Baita”. Cinque “è una persona che praticamente non ha impresa, è una combinazione di effetti, così, insomma. È una persona con cui io non ho un rapporto buono per cui potrei essere indotto a non parlarne benissimo, però è una persona così, insomma, discutibile per tanti aspetti”. Baita e Cinque hanno molti interessi in comune, prosegue l’ingegnere, “insomma, hanno dei lavori in comune. Per esempio hanno preso un lotto della… di quel grande lavoro a Milano, come si chiama… l’Expo di Milano e direi che… l’Expo di Milano che Baita ha preso con un fortissimo ribasso, facendo conto che il lotto che ha preso con Cinque è un lotto strategico, per cui lui ha un po’ in mano la situazione”. Il lotto è la Piastra, già finita sotto inchiesta, il cui appalto è stato seguito da Infrastrutture Lombarde che un mese fa hanno portato all’arresto del direttore generale Antonio Rognoni per corruzione e turbativa d’asta, uomo di fiducia di Roberto Formigoni. Il papà del Mose, Mazzacurati spiega come ha fatto entrare Erasmo nella partita di Expo.
“Il referente politico di Erasmo era Matteoli (…) Socostramo ha il 5% di Ati” che si aggiudica i lavori. “Un 5% pagato a Socostramo che è di Erasmo Cinque, il cui referente è Matteoli?”, chiedono i pm. “Il 5% è sull’Expo”, conferma Mazzacurati. Ma il “lavoro lo fa tutto Baita, tutto…” come “per le bonifiche a Marghera”. La questione di Marghera, come abbiamo ricostruito ieri sul Fatto, la riferisce Baita: Matteoli propone a Mazzacurati di affidare le bonifiche nell’area al Consorzio senza gara e destinargli i 600 milioni di “condono ambientale” pagati da Edison, Eni ed Enel, a condizione che nei lavori venisse coinvolta la società di Erasmo al quale veniva versata una “tangente da 6,5%” prima e del “7,5% in un secondo momento”. Matteoli sarà accontentato, stando a quanto riferiscono sia Baita sia Mazzacurati, e nell’Ati.
Il ruolo dell’avvocato di Berlusconi
C’è poi la conferma del coinvolgimento di Ghedini. Sempre Mazzacurati: “Erano venute… delle lamentele attraverso… gli avvocati di Berlusconi, Ghedini, è una roba molto antipatica, una persona non simpatica Ghedini, che niente, che ha detto che noi soldi non ne tiravamo fuori, che facevamo per cui ci fu una discussione avvenne perché dicevano che davamo troppo pochi soldi”. “A chi?”, chiede il pm. “Che davamo pochi soldi a loro”, risponde Mazzacurati. “Quindi alla loro parte, al Pdl intende?”, insiste il pm. “Sì, sì”, conferma l’imprenditore, che aggiunge: “Replicai che purtroppo quelli erano i soldi che avevo”. A riferire della lamentela, continua Mazzacurati, non fu Ghedini personalmente: “La lamentela me l’hanno riferita… per esempio Ghedini, che non l’ha detto a me, l’ha detto a… hanno detto che noi eravamo troppo tirchi… Me l’ha detto Baita: ‘Sai cosa dicono? Che dai troppi pochi soldi’”. “Ma lei replicò – domanda il pm – che al solo governatore dava un milione di euro all’anno?”. “Sì”, risponde Mazzacurati, “solo che dovevo star attento a dire cose del genere, perché dopo Ghedini andava da Berlusconi e diceva… potevano venir fuori degli incidenti diplomatici…”. A parlare di Ghedini, anche Claudia Minutillo, ex segretaria di Galan, che racconta l’incontro tra Ghedini e William Colombelli, console di San Marino e fondatore della Bmc che, secondo gli inquirenti era il tramite per creare fondi neri della cricca all’estero: “Ho conosciuto Colombelli a casa di Ghedini”. Ghedini – che non è indagato – ha smentito qualsiasi coinvolgimento.
Da Il Fatto Quotidiano di mercoledì 11 giugno 2014
Aggiornato da Redazione web alle 11:37