Il Brasile è pronto, ‘dentro e fora do campo’. E tutti i pessimisti saranno, anzi, già sono stati sconfitti ‘pela capacitade de trabalho e a determinação do povo brasileiro’ dalla capacità di lavoro e dalla determinazione del popolo brasiliano’. Questo ha detto ieri, in un messaggio a reti unificate, la presidenta Dilma Rousseff. Ed è probabile che abbia ragione.
Le cronache, è vero, parlano di stadi ancora non completamente ultimati; e permane, su questa Copa do Mundo – specie a Sao Paulo e Rio – la minaccia di scioperi e di proteste. Ma non occorre una debordante dose di patrio ottimismo – uno stato d’animo, questo, che fino a non molto tempo fa abbondava nel paese che del mondo, ama considerarsi ‘o mais grande’ – per credere che, alla fine, due delle più forti e non estinguibili passioni brasiliane, quella per ‘o futebol’ e quella per ‘a Seleção’ – finiranno per almeno temporaneamente coprire anche i più sgradevoli rumori di fondo di questa tormentatissima vigilia. ‘Treíno é treíno, jogo é jogo’, ha detto Dilma, citando una tipica espressione calcistica. Un conto è allenarsi, un altro è giocare. E, adesso, il gioco finalmente comincia…
Belle parole. Belle, necessarie e, nella loro necessità, davvero rivelatrici. Perché se è vero che, come con presidenziale orgoglio sostiene Dilma, una goleada farà giustizia di tutti i profeti di sventura, vero è anche che nessuno avrebbe in alcun modo immaginato – sette anni fa, quando il Brasile, ancora regnante Luiz Inácio ‘Lula’ da Silva, vinse la corsa per ospitare i mondiali del 2014 – che quei profeti potessero esistere in natura.
Nessuno, neppure la più accigliata delle cassandre avrebbe mai ipotizzato allora, in un paese che trasudava un entusiasmo non solo calcistico, che il capo della Nazione avrebbe dovuto, quando al fischio d’inizio non mancavano che poche ore, usare un messaggio televisivo a reti unificate – quasi si trattasse d’un appello dopo o in vista d’una catastrofe naturale – per dare coraggio e fiducia ad un paese che appare (per molti versi proprio a causa del Mondiale) sull’orlo di una crisi di nervi.

In America Latina non era, in circostanze molto peggiori, mai accaduto nulla di simile. Non nel Cile del ’62. Non nel Messico del ’70 e dell’86 (Mondiale organizzato a pochi mesi di distanza dal catastrofico terremoto che, nel settembre dell’85, aveva semi-distrutto la capitale). E neppure nell’Argentina del ’78, nel pieno della lunga notte della dittatura militare.
Il malumore con cui il Brasile s’appresta a vivere questo a suo tempo tanto desiderato evento è davvero – come la stessa Dilma ha recentemente ammesso in un’intervista concessa ad un gruppo di giornalisti stranieri – difficilmente comprensibile. Il Mondiale in casa, il secondo della sua storia, aveva, per il Brasile, due impliciti obiettivi. Il primo – che sarebbe un grave errore considerare meramente calcistico – era ovviamente quello di cancellare l’onta del ‘Maracanazo’; Ovvero: della beffa che, nel 1950, la ‘garra charrúa’ (la grinta) uruguayana dell’immenso Juan Alberto Schiaffino, di Obdulio ‘el Negro Jefe’ Varela e di Alcides Ghiggia inflisse, in una Rio già pronta per faraoniche celebrazioni, ad una seleção ubriacata dal mito (politicamente alimentato) della propria imbattibilità.
Il secondo obiettivo era quello di coronare, con una manifestazione a livello planetario, la lunga marcia che il Brasile – da molti bollato come il ‘paese dell’eterno futuro’, vale a dire, come un potenziale gigante economico e politico condannato ad una perenne adolescenza – ha compiuto verso una maturità ed una forza che vale la pena di mostrare al mondo. Una marcia, questa, che, favorita dal ‘vento di coda’ del boom delle materie prime, è stata nell’ultimo decennio davvero straordinaria. Basti pensare che, pur non risolvendo che in minima parte il problema d’una lacerante diseguaglianza sociale, il Brasile ha visto in questi anni tra i 40 ed i 50 milioni di cittadini uscire dalla povertà per entrare nella classe media.
A dispetto del rallentamento economico degli ultimo biennio, il Brasile non è mai, ci dicono le statistiche, stato tanto bene. Eppure l’ultima inchiesta, condotta dal Pew Research Center, ha rivelato che: 1) il 72% dei brasiliani non è, in generale, soddisfatto di come vanno le cose; 2) che il 67% pensa che l’economia sta andando nella direzione sbagliata; e 3) che per il 61% il Mondiale è un male perché sottrae fondi preziosi ad altre e ben più urgenti spese sociali. Non più d’un mese fa, d’altronde, un’altra inchiesta aveva rivelato (cosa impensabile) che il 45% dei brasiliani, in tutt’altre faccende affaccendato, non desidera affatto, in realtà, che la Seleção vinca il mondiale.
Inspiegabile, ma chiarissima, la verità è che l’appuntamento con ‘a Copa’ ha colto il Brasile in mezzo ad un difficile guado. E che, in questo guado, il paese sta oggi guardando molto più, con la paura di non farcela, al cammino che ancora deve compiere, che a quello (notevolissimo) che ha compiuto. La qual cosa porta a due conclusioni. La prima: che, a questo punto, a dispetto dei suoi appelli, Dilma può al massimo puntare su un pareggio. Ovvero: a ritrovarsi di fronte – dovesse la manifestazione procedere senza grandi intoppi e dovesse la Seleção vendicare il ‘Maracanazo’ – un paese non più inviperito di quanto già fosse prima del calcio d’inizio. La seconda – anch’essa inattesa, ma a suo modo positiva – è che, contrariamente a quel che molti pensano, ‘o futebol” non è affatto l’oppio dei popoli.
Non è esattamente quel che il governo s’aspettava puntando sul Mondiale. Ma proprio questo è ciò che ‘a Copa’ in effetti ci dice: con il suo inatteso e ‘inspiegabile’ malumore il Brasile sta oggi davvero – forse per la prima volta nella sua storia – dando una lezione al mondo…
Massimo Cavallini
Giornalista
Mondiali di Calcio - 12 Giugno 2014
World Cup 2014: ‘o futebol’ non è l’oppio dei popoli
Il Brasile è pronto, ‘dentro e fora do campo’. E tutti i pessimisti saranno, anzi, già sono stati sconfitti ‘pela capacitade de trabalho e a determinação do povo brasileiro’ dalla capacità di lavoro e dalla determinazione del popolo brasiliano’. Questo ha detto ieri, in un messaggio a reti unificate, la presidenta Dilma Rousseff. Ed è probabile che abbia ragione.
Le cronache, è vero, parlano di stadi ancora non completamente ultimati; e permane, su questa Copa do Mundo – specie a Sao Paulo e Rio – la minaccia di scioperi e di proteste. Ma non occorre una debordante dose di patrio ottimismo – uno stato d’animo, questo, che fino a non molto tempo fa abbondava nel paese che del mondo, ama considerarsi ‘o mais grande’ – per credere che, alla fine, due delle più forti e non estinguibili passioni brasiliane, quella per ‘o futebol’ e quella per ‘a Seleção’ – finiranno per almeno temporaneamente coprire anche i più sgradevoli rumori di fondo di questa tormentatissima vigilia. ‘Treíno é treíno, jogo é jogo’, ha detto Dilma, citando una tipica espressione calcistica. Un conto è allenarsi, un altro è giocare. E, adesso, il gioco finalmente comincia…
Belle parole. Belle, necessarie e, nella loro necessità, davvero rivelatrici. Perché se è vero che, come con presidenziale orgoglio sostiene Dilma, una goleada farà giustizia di tutti i profeti di sventura, vero è anche che nessuno avrebbe in alcun modo immaginato – sette anni fa, quando il Brasile, ancora regnante Luiz Inácio ‘Lula’ da Silva, vinse la corsa per ospitare i mondiali del 2014 – che quei profeti potessero esistere in natura.
Nessuno, neppure la più accigliata delle cassandre avrebbe mai ipotizzato allora, in un paese che trasudava un entusiasmo non solo calcistico, che il capo della Nazione avrebbe dovuto, quando al fischio d’inizio non mancavano che poche ore, usare un messaggio televisivo a reti unificate – quasi si trattasse d’un appello dopo o in vista d’una catastrofe naturale – per dare coraggio e fiducia ad un paese che appare (per molti versi proprio a causa del Mondiale) sull’orlo di una crisi di nervi.
In America Latina non era, in circostanze molto peggiori, mai accaduto nulla di simile. Non nel Cile del ’62. Non nel Messico del ’70 e dell’86 (Mondiale organizzato a pochi mesi di distanza dal catastrofico terremoto che, nel settembre dell’85, aveva semi-distrutto la capitale). E neppure nell’Argentina del ’78, nel pieno della lunga notte della dittatura militare.
Il malumore con cui il Brasile s’appresta a vivere questo a suo tempo tanto desiderato evento è davvero – come la stessa Dilma ha recentemente ammesso in un’intervista concessa ad un gruppo di giornalisti stranieri – difficilmente comprensibile. Il Mondiale in casa, il secondo della sua storia, aveva, per il Brasile, due impliciti obiettivi. Il primo – che sarebbe un grave errore considerare meramente calcistico – era ovviamente quello di cancellare l’onta del ‘Maracanazo’; Ovvero: della beffa che, nel 1950, la ‘garra charrúa’ (la grinta) uruguayana dell’immenso Juan Alberto Schiaffino, di Obdulio ‘el Negro Jefe’ Varela e di Alcides Ghiggia inflisse, in una Rio già pronta per faraoniche celebrazioni, ad una seleção ubriacata dal mito (politicamente alimentato) della propria imbattibilità.
Il secondo obiettivo era quello di coronare, con una manifestazione a livello planetario, la lunga marcia che il Brasile – da molti bollato come il ‘paese dell’eterno futuro’, vale a dire, come un potenziale gigante economico e politico condannato ad una perenne adolescenza – ha compiuto verso una maturità ed una forza che vale la pena di mostrare al mondo. Una marcia, questa, che, favorita dal ‘vento di coda’ del boom delle materie prime, è stata nell’ultimo decennio davvero straordinaria. Basti pensare che, pur non risolvendo che in minima parte il problema d’una lacerante diseguaglianza sociale, il Brasile ha visto in questi anni tra i 40 ed i 50 milioni di cittadini uscire dalla povertà per entrare nella classe media.
A dispetto del rallentamento economico degli ultimo biennio, il Brasile non è mai, ci dicono le statistiche, stato tanto bene. Eppure l’ultima inchiesta, condotta dal Pew Research Center, ha rivelato che: 1) il 72% dei brasiliani non è, in generale, soddisfatto di come vanno le cose; 2) che il 67% pensa che l’economia sta andando nella direzione sbagliata; e 3) che per il 61% il Mondiale è un male perché sottrae fondi preziosi ad altre e ben più urgenti spese sociali. Non più d’un mese fa, d’altronde, un’altra inchiesta aveva rivelato (cosa impensabile) che il 45% dei brasiliani, in tutt’altre faccende affaccendato, non desidera affatto, in realtà, che la Seleção vinca il mondiale.
Inspiegabile, ma chiarissima, la verità è che l’appuntamento con ‘a Copa’ ha colto il Brasile in mezzo ad un difficile guado. E che, in questo guado, il paese sta oggi guardando molto più, con la paura di non farcela, al cammino che ancora deve compiere, che a quello (notevolissimo) che ha compiuto. La qual cosa porta a due conclusioni. La prima: che, a questo punto, a dispetto dei suoi appelli, Dilma può al massimo puntare su un pareggio. Ovvero: a ritrovarsi di fronte – dovesse la manifestazione procedere senza grandi intoppi e dovesse la Seleção vendicare il ‘Maracanazo’ – un paese non più inviperito di quanto già fosse prima del calcio d’inizio. La seconda – anch’essa inattesa, ma a suo modo positiva – è che, contrariamente a quel che molti pensano, ‘o futebol” non è affatto l’oppio dei popoli.
Non è esattamente quel che il governo s’aspettava puntando sul Mondiale. Ma proprio questo è ciò che ‘a Copa’ in effetti ci dice: con il suo inatteso e ‘inspiegabile’ malumore il Brasile sta oggi davvero – forse per la prima volta nella sua storia – dando una lezione al mondo…
Articolo Precedente
Ai Mondiali 2014 inizia l’era dei cyborg?
Articolo Successivo
Brasile – Croazia, Mondiali 2014 al via. Tutti gli occhi puntati su Neymar
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Cronaca
Il Papa in lieve miglioramento: “Prognosi resta riservata, reni non preoccupano”. In piazza san Pietro fedeli da tutto il mondo per il Rosario
Mondo
Onu, Usa contro la risoluzione per “l’integrità” di Kiev. Trump riceve Macron: “Forza Ue per la pace”. E Putin: “L’Europa può partecipare ai colloqui per la tregua”
Economia & Lobby
Caro bollette, a due settimane dagli annunci di Giorgetti il decreto slitta ancora: cdm rinviato a venerdì
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Io sono un artista libero, non mi sono mai schierato politicamente". Così Simone Cristicchi, ospite a 'Maschio Selvaggio' su Rai Radio 2, risponde alla conduttrice Nunzia De Girolamo quando fa notare al cantautore romano come la canzone sanremese 'Quando sarai piccola' sia piaciuta tanto a Elly Schlein quanto a Giorgia Meloni.
"Si tende sempre a identificare gli artisti politicamente, la musica invece non ha fazioni, non ha colori. Devo dire che tu hai messo insieme la destra e la sinistra", ha detto De Girolamo al cantautore arrivato quinto nella classifica finale. "Questo mi fa sorridere - ha confessato Cristicchi - sono molto contento di questo apprezzamento bipartisan, o anche super partes, che ha generato la mia canzone. Io sono sempre stato un artista libero, non mi sono mai schierato politicamente, proprio perché volevo che la mia musica e la mia arte potesse arrivare a tutti ed è giusto che sia così".
"Ovviamente ho le mie idee, come tutti, non le rinnego e non mi vergogno di esternarle quando è il momento e quando ho voglia, però - ha concluso il cantautore - sono veramente contento di aver fatto questa canzone che sia piaciuta più o meno a tutti".
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Il caro bollette è un problema sempre più grave, che non possiamo più far finta di non vedere. Paghiamo le bollette più care d’Europa, che a sua volta paga le bollette più alte tra i competitor internazionali. Siamo i più tartassati tra i tartassati, con un evidente danno alla competitività delle imprese e al potere di acquisto delle famiglie. I lavoratori, in particolare, pagano questi aumenti tre volte: la prima in casa quando arriva la bolletta, la seconda perché le aziende devono metterli in cassa integrazione poiché con l’energia alle stelle perdono produttività, la terza perché l’energia spinge a rialzo l’inflazione e i prodotti nel carrello della spesa costano di più". Lo dice Annalisa Corrado della segreteria del Partito Democratico.
"Agire è possibile e doveroso. Possiamo farlo subito, a partire dalla protezione dei soggetti vulnerabili, oltre 3 milioni e mezzo di utenti, per il quali il governo vuole bandire aste che sarebbero una iattura. Bisogna fermarle immediatamente e riformare piuttosto l’acquirente unico, che al momento gestisce il servizio di tutela della vulnerabilità, perché possa tornare a stipulare i contratti pluriennali di acquisto, agendo come vero e proprio gruppo d’acquisto".
"È necessario inoltre agire ad ogni livello possibile per disaccoppiare il prezzo dell’energia da quello del gas: occorre lavorare ad una riforma europea dei mercati, scenario non immediato, agendo però contemporaneamente ed immediatamente per un “disaccoppiamento di fatto”, come quello che si potrebbe attuare supportando i contratti pluriennali con i produttori di energia da fonti rinnovabili (PPA, Power purchase agreement). Dovremmo prendere esempio dalla Spagna di Sanchez, inoltre, che ha imposto un tetto al prezzo del gas, ottenendo risultati brillanti che hanno trainato la ripresa d’industria ed economia. Dobbiamo fare di più e meglio per la transizione energetica per liberarci dalla dipendenza del gas: oltre ad insistere su sufficienza energetica ed elettrificazione dei consumi, dobbiamo agire ad ogni livello perché la quota di energia da fonti rinnovabili nel nostro mix di produzione cresca: questo è l’unico modo strutturale di far penetrare il beneficio in bolletta del basso costo delle energie pulite".
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - “Allarmano e inquietano gli atti violenti rivolti in questi giorni contro le Forze dell’Ordine, a loro va la nostra piena solidarietà”. Lo dichiara la deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi dopo gli incendi dolosi che hanno coinvolto questa mattina il commissariato e la Polstrada di Albano Laziale e nei giorni scorsi il comando della Compagnia dei carabinieri di Castel Gandolfo.
“Auguriamo agli agenti intossicati una pronta guarigione. Nell’attesa che sia fatta chiarezza sulle dinamiche e che i responsabili siano consegnati alla giustizia, non possiamo che schierarci senza indugio al fianco di chi ogni giorno si impegna per la sicurezza delle cittadine e dei cittadini”, conclude.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Le bollette energetiche di famiglie e imprese sono alle stelle. Meloni ha fischiettato per mesi, ignorando anche le nostre proposte. E oggi annuncia il rinvio di un Cdm promesso ormai due settimane fa. Non avevano detto di essere 'pronti'?". Lo ha scritto sui social Chiara Braga, capogruppo Pd alla Camera dei Deputati.
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - "Tutto quello che ha a che fare con le emergenze vere di cittadini, famiglie, imprese passa in secondo piano nell’agenda del governo Meloni. Così è stato ed è per le liste d’attesa e per il diritto alla salute negato a milioni di concittadini, così è per il caro-bollette che da troppi mesi penalizza le aziende italiane e mette in ginocchio le fasce sociali più disagiate". Così in una nota Marina Sereni, responsabile Salute e Sanità nella segreteria del Partito Democratico.
"Oggi la segretaria del Pd Elly Schlein ha presentato proposte molto chiare e concrete, che raccolgono peraltro l’interesse di imprenditori e associazioni degli utenti. Il Cdm sul problema del caro energia pare invece che slitti a venerdì. La presidente Meloni ne approfitti per raccogliere le nostre proposte sul disaccoppiamento del prezzo dell’energia da quello del gas e sull’Acquirente unico".
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - La lotta alle mafie andrebbe portata avanti "in maniera trasversale. Ma non stiamo vedendo disponibilità all'ascolto e al lavoro comune da parte di questa destra". Lo ha detto Elly Schlein al seminario sulla legalità al Nazareno. "Noi continueremo a fare da pungolo costante, il messaggio che deve arrivare chiaro alle nuove generazioni è che la mafia è un male, e un freno al nostro Paese. Il Pd oggi più che mai è intenzionato a portare avanti questo lavoro con determinazione, mano nella mano con le realtà che affrontano il problema ogni giorno e ne sanno certamente più di noi".
Roma, 24 feb. (Adnkronos) - Nel contrasto alle mafie "il ruolo delle forze dell'ordine e della magistratura è fondamentale. Noi riconosciamo e sosteniamo il lavoro quotidiano delle forze dell'ordine. Vanno sostenute le forze dell'ordine, come la magistratura, che invece vediamo attaccata tutti i giorni da chi governa". Lo ha detto Elly Schlein al seminario sulla legalità al Nazareno.