La macabra efficacia del messaggio ha origine in un modo a noi lontano, ma colpisce come una pubblicità della Nike. Rozza e impossibile ai nostri occhi occidentali che restano sgranati di fronte alla testa mozzata poggiata sul corpo dopo la decapitazione. L’hashtag con il quale l’immagine è stata fatta circolare su Twitter (l’account è stato poi sospeso) crea l’accostamento più feroce: “#WorldCup questo è il nostro pallone, ed è fatto di pelle” (qui sotto l’immagine elaborata dal New York Post). La brutalità degli estremisti islamici incontra il social network: ne nasce uno strumento mediatico che fonde la realtà di sangue della visione monolitica di come dovrebbe essere l’Islam delle origini secondo i guerriglieri che minacciano Baghdad con la fantasia virtuale che impera in Occidente.

E’, in scala ridotta, il messaggio dell’11 settembre, la visione di una realtà inimmaginabile: gli aerei che si schiantano sulle Torri gemelle e le fanno crollare (al netto della vulgata complottista); la testa deposta sul corpo per pubblicizzare la partecipazione a distanza degli jihadisti dell’Isis – i guerriglieri islamici fondatori del ‘califfato’ tra Iraq e Siria, ‘nipoti’ di Al Zarqawi, il tagliatore di teste di americani in Iraq nella rima metà degli anni 2000 – ai Mondiali di Calcio brasiliani, evento mediatico mondiale.

Al di là dell’Atlantico le immagini che attraggono il pianeta tra colori e tifo; al di qua, ben più vicini geograficamente a noi, ma assai più distanti dal nostro pensiero, fanatici in armi che giustiziano in fosse comuni centinaia di sconfitti e postano le immagini per rivaleggiare con l’immaginario occidentale. E’ una concezione del reale, a iniziare da quella del tempo diversa e – alla fine – vincente: anni di preparazione per l’offensiva che ha gettato l’Iraq (e prima la Siria) nel caos, mente l’America e il resto del mondo, decretavano finita la guerra, la crisi, e annunciavano la riuscita della campagna mediorientale. L’Occidente che non può rimanere impantanato troppo a lungo in un evento: ha bisogno di risultati, di andare oltre, di passare a altro, sconta questo limite con la visione di uomini senza volto armati di kalashnikov capaci di rimanere per mesi, per anni, nel deserto, con poco cibo, senza legami con il mondo, dediti solamente all’obiettivo della loro esistenza, a costo della propria vita, pronti a combattere contro tutti, con ogni mezzo – non trascurando la strategia mediatica – contro i loro stessi ‘cugini’ islamici per dimostrare che la loro verità è quella più profonda che alla fine prevarrà.

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