Ore 18,25 del 26 novembre 2010: Yara Gambirasio riceve un sms dall’amica Martina. La 13enne si trova nel cortile antistante la palestra di Brembate. Un testimone la colloca lì. Ore 18,44: la ragazza risponde. Ore 18,49: un terzo messaggio dell’amica. Poi il cellulare tace. La sequenza temporale, riportata nell’ordinanza del gip Ezia Maccora a carico di Massimo Giuseppe Bossetti ritenuto dalla procura di Bergamo l’omicida di Yara, oggi viene riletta dagli investigatori per spiegare la dinamica di quella sera. La conclusione è questa: la ragazza è salita a bordo dell’autovettura dell’assassino volontariamente. Lo conosceva? La domanda è decisiva. Ecco l’ipotesi: se alle 18,25 appare oggettiva la presenza della ragazza nel cortile, già alle 18,44 qualcosa cambia. Yara scrive un sms. In quel momento il telefono aggancia la cella di Ponte San Pietro, compatibile con la palestra. Cinque minuti dopo il suo cellulare smette di funzionare. In quell’orario si trova in via Natta a Mapello, “area opposta – scrive il giudice – rispetto al tragitto che la ragazza avrebbe dovuto fare per tornare a casa”. Alle 18,49 si pensa sia iniziata l’aggressione di Yara che con buona certezza possiamo escludere essere avvenuta davanti alla palestra visto che a quell’ora la zona è frequentatissima. Il ragionamento, dunque, fa un collegamento tra l’aggressore e la 13enne. E la conoscenza tra i due, racconta un investigatore, è sempre stata la pista privilegiata.
Ma non c’è solo questo nello sviluppo investigativo successivo al fermo del 44enne muratore di Mapello. Analizzando la vita e gli spostamenti di Bossetti, i magistrati solo due giorni fa hanno scoperto che la zona di Chignolo d’Isola, dove il 26 febbraio 2011 fu ritrovato il cadavere di Yara, è sempre stata frequentata da Bossetti. Qui è stato visto molte volte. Anche perché qui c’è la ditta, dove il muratore da tempo va a rifornirsi del materiale da utilizzare nei cantieri. Qui andava a mangiare in un bar, dove un operaio conferma la conoscenza. Sembra una banalità, ma non lo è. Ora, infatti, si capisce che anche il punto B del drammatico tragitto percorso da Yara era conosciuto da Bossetti. Questa è la zona della discoteca Sabbie Mobili frequentata da Damiano Guerinoni, nipote di Giuseppe, identificato come il padre naturale di Bossetti. E dunque, forse, il presunto killer non arrivò qui per caso. L’area, a detta dei residenti, è frequentata da prostitute e spacciatori. In un campo proprio di fronte alla discoteca è stato ritrovato il corpo di Yara. Su quel cadavere l’anatomopatologa Cristina Cattaneo ha speso 470 pagine di autopsia che a tutt’oggi restano top secret. Si sa che su slip e leggings gli investigatori hanno rilevato tracce di Dna che corrispondono a quello di Massimo Giuseppe Bossetti. Quello che però si è dimenticato in quasi quattro anni d’indagine è che sugli indumenti della ragazza la scientifica ha rilevato un altro Dna maschile mai censito.
Nel fascicolo dell’inchiesta viene catalogato come traccia 5D e fu identificato sul guanto sinistro di Yara ritrovato nelle tasche del giubbotto . Sempre sui guanti era presente un altro profilo genetico che però è stato tralasciato essendo di natura femminile. Il dato non è secondario e potrebbe avvalorare l’esistenza di un complice sul luogo del delitto oppure dello stesso assassino consegnando a Bossetti il ruolo di complice.
L’ultimo elemento inedito è il parziale di targa di un furgone da tempo in mano agli investigatori. All’epoca un censimento fu fatto. Emerse che nella zona appena sette mezzi corrispondevano a quel frammento numerico. Furgoni che però non sono mai stati rintracciati. Un altro dato interessante è il mezzo utilizzato da Bossetti in questo ultimo periodo. Si tratta di un furgone Iveco Daily che non è stato sequestrato. Ad oggi, infatti, gli automezzi sotto sequestro sono la Volvo grigia di Bossetti e il furgone Peugeot del fratello Fabio. Forse lo stesso furgone cui corrisponderebbe quel frammento di targa visto fuggire ad alta velocità da alcuni testimoni la sera del 26 novembre. Gli uomini del Ros cercano anche nella memoria dei testimoni sentiti allora. Tra questi una colf che uscita in via Morlotti a Brembate vide “due uomini sospetti vicino a un’auto”. L’indagine corre veloce. Si lavora su 20mila pagine d’inchiesta, su 100mila tabulati telefonici, 30mila targhe e 7mila profili genetici ancora da analizzare.
Dal Fatto Quotidiano del 22 giugno 2014