L’evento internazionale su cui l’Italia e Matteo Renzi si stanno giocando la faccia, è ormai noto per lo scandalo-mazzette, per gli appalti truccati e tutto quello che ne consegue. Meno note, invece, sono le ricadute sul lavoro dell’Expo 2015 a Milano. Lo scorso 5 giugno è stato firmato “l’Avviso comune” tra le parti sociali e la Regione che definisce così tante deroghe ai contratti di lavoro da rendere i cantieri milanesi una vera terra di nessuno. Un luogo dove l’unica legge sarà la corsa contro il tempo senza offrire prospettive al di là dell’Expo. La filosofia del documento, infatti, punta tutto sui contratti “a tempo determinato o di somministrazione” (gli interinali) e su tutte le “soluzioni di flessibilità mansionaria e organizzativa” in grado di rispondere “al meglio alle esigenze che si presenteranno”.
Lavorare a termine senza futuro
I contratti a tempo determinato, come indicato dal precedente documento preliminare il “Patto per il lavoro”, prevedono la completa deroga rispetto ai limiti di utilizzo in rapporto ai dipendenti complessivi e al numero di deroghe. La legge Poletti, recentemente approvata dal Parlamento, prevede una percentuale del 20 per cento di lavoratori a tempo determinato e la possibilità massima di cinque deroghe. Con questo accordo tali limiti saltano.
Un esempio di iper-flessibilità è “l’apprendistato in somministrazione”. Il contratto in somministrazione è quello in cui un lavoratore viene assunto da un’agenzia interinale che, a sua volta, lo “affitta” a un terzo, “l’utilizzatore”. Questa triangolazione, nei cantieri dell’Expo, potrà avvenire anche in forma di apprendistato, “un’interessante opportunità” che ha bisogno di “un’adeguata promozione”.
“Un’aberrazione” secondo il segretario della Fiom lombarda, Mirco Rota, anche perché non si capisce chi dovrebbe formare il giovane apprendista – l’utilizzatore o il somministratore? – per cosa, per quanto tempo.
Corollario di tutto questo progetto è, infine, l’impegno a “procedure di raffreddamento” degli scioperi e delle controversie per garantire “che l’evento non diventi occasione per manifestazioni rivendicative che rischiano di pregiudicare l’immagine del Paese”.
Le previsioni non realizzate
Con questo accordo l’Expo ripone le speranze di riuscita nella quantità di flessibilità realizzabile. Con rischi evidenti per la sicurezza e prospettive fumose per il futuro. L’intesa, infatti, non prevede nulla circa le stabilizzazioni e, anzi, fissa la scadenza al marzo 2016, cioè un anno dopo lo svolgimento dell’Expo. Con la possibilità di ulteriori rinnovi.
L’aleatorietà dell’occupazione è confermata dall’insistenza con cui si parla di volontariato. Il “Programma volontari” ufficiale ha predisposto un sito apposito, volunteer.expo2015.org, che vanta l’opportunità di essere “parte di questo grande evento” nell’accoglienza “e supporto per i visitatori”. In particolare, si spiega, i volontari possono conoscere “20 milioni di persone” nel corso dei sei mesi in cui conosceranno “davvero” il mondo. Un’operazione di convincimento che è stata promossa anche tramite Twitter, lo scorso maggio, con l’operazione #askexpo, un hashtag che ha occupato per giorni il social network ricevendo così tante risposte, quasi tutte negative, da dare vita a un tweetbook, un “libro” di messaggi e commenti di ben 70 pagine. Nel testo si possono leggere commenti ironici, furiosi, disincantati: “Avevate promesso un milione di posti di lavoro, ma parlate di volontari?”. Oppure: “Certo che fare volontariato per una Spa che aveva a disposizione 10 miliardi di euro pare buffo, no?”. Ci sono, però, anche coloro che hanno chiesto se dal volontariato si potrà passare seriamente a un lavoro vero. Domande senza risposta.
Il problema è che il lavoro è stata davvero l’ultima preoccupazione di Expo 2015. Anche un osservatore non ascrivibile alla contestazione, ma indipendente, come il professore della Bocconi, Roberto Perotti, ha argomentato su lavoce. info come le “ottimistiche” previsioni sull’economia e sul lavoro si siano basate su “risultati attesi sovrastimati”. Il saggio di Perotti si spinge fino a illustrare come i soldi stanziati per l’avvenimento avrebbero potuto essere impiegati diversamente e conclude con una constatazione sconfortante: “Quando si rinuncia a ogni considerazione razionale di costi e benefici per la collettività, il rischio è che i simboli divengano delle zavorre o addirittura degli incubi”.
Da Il Fatto Quotidiano di mercoledì 18 giugno 2014