L’eliminazione dal Mondiale è un terremoto che scuote il calcio italiano dalle fondamenta: Cesare Prandelli e Giancarlo Abete annunciano le loro dimissioni irrevocabili creando un vuoto di potere in Federazione, sotto il profilo tecnico e politico. “Il progetto non è stato vincente. Io ho scelto, io pago”, spiega il commissario tecnico degli azzurri. Poi lancia un attacco al clima che si sarebbe creato dopo il rinnovo del contratto e che avrebbe accompagnato la nazionale verso il mondiale: “Siamo considerati come un partito politico ma non prendiamo soldi solo dallo Stato. Ci sono stati troppi attacchi verbali. Se ho sbagliato, l’ho fatto tecnicamente ma non rubo soldi ai contribuenti. Fermo restando che la motivazione per la quale lascio è, di base, legata al progetto tecnico”.
Lo segue a ruota il presidente Abete: “Voglio favorire un momento di riflessione serio sul nostro calcio. Avevo preso questa decisione già prima del mondiale. E’ il momento giusto perché pioveranno critiche e legittimamente sarei stato io il bersaglio – spiega – Faccio un passo indietro e spero che sia una decisione importante anche per il ricambio nella politica sportiva”. Il numero uno della Figc sembra voler scuotere il palazzo che governa il calcio italiano in uno dei momenti più bassi della sua storia. Quella rimediata in Brasile è la seconda eliminazione consecutiva ai gironi in un’edizione dei Mondiali. Una triste doppietta che l’Italia non realizzava dal ’62-’66 e figlia di un movimento che aveva illuso con il secondo posto agli Europei nel 2012, ma che – è evidente – non riesce più a esprimere giocatori di alto livello sul palcoscenico mondiale.
Questione tecnica, certo, ma con origini che vanno dalla crisi di risultati delle big (quanti degli esordienti azzurri hanno esperienza internazionale di alto livello?) fino alla base, nei settori giovanili. Il dibattito è aperto proprio da Prandelli con un’affermazione decisa: “Il modulo, i cambi, il progetto tecnico sono colpa mia. Ma in questo mondiale ci sono tante formazioni, anche lo stesso Uruguay, con spiccate caratteristiche di fisicità e velocità. Il nostro calcio non le produce più, quindi ho dovuto inventare un progetto tecnico. La riflessione sul momento del calcio italiano è ampia. Ci sono troppi stranieri, troppe partite. Si rifonda solo con la volontà di ripartire dai settori giovanili”.
Anche Buffon – che si è parlato fitto con Prandelli subito dopo il fischio finale, forse già a conoscenza della decisione – ci mette un carico da novanta definendo il mondiale “un fallimento” e invitando “tutti a una seria riflessione” prima di frustare i giovani, con un riferimento che sembra mirato all’atteggiamento di Mario Balotelli: “Chi ha dimostrato sempre di meritare di vestire la maglia azzurra sono i vari Pirlo, De Rossi e gli altri senatori. Tutti dicono che siamo vecchi, ma abbiamo fatto capire quanto valiamo nonostante le troppe critiche. Penso che d’ora in poi nell’Italia debba giocare solo chi merita sul campo, con i fatti, di vestire questa maglia. E non chi viene convocato per quello che vorrebbe o potrebbe fare, per quello che si dice possa fare ma poi non fa mai”. Scricchiola Mario, il simbolo del progetto di Prandelli, non solo per bocca del capitano ma anche dello stesso ct: “Balotelli era il centro del progetto tecnico. Non è stato vincente. Io ho scelto, io pago”. Manca la testa, il braccio operativo e si sgretola anche il giocatore scelto come simbolo della storia recente del calcio italiano. Ma le dimissioni di Prandelli e Abete – per come sono giunte e per la forza verbale con la quale sono state annunciate – possono trasformarsi in un incredibile assist per ripartire, al di là del toto nomi che si è immediatamente scatenato coinvolgendo Roberto Mancini e Luciano Spalletti. Stanotte il re degli sport nazionali è nudo. Ora bisogna ricostruire.