La vicenda è ormai arcinota: venerdì scorso il ministro dei beni e delle attività culturali, Dario Franceschini ha annunciato – quasi “duettando” con il Presidente della Siae, Gino Paoli – di aver firmato un decreto attraverso il quale ha disposto stratosferici aumenti delle tariffe del cosiddetto equo compenso per copia privata ovvero l’importo che ogni consumatore italiano deve pagare quando acquista un cd, un dvd, una pendrive usb, un pc, un tablet o uno smartphone, sul presupposto che potrebbe usarlo per registrarci una copia di una canzone o di un film, legittimamente acquistati.
Meno noti sono, invece, retroscena, numeri, fatti e misfatti che si sono consumati e continuano a consumarsi attorno alla vicenda.
Cominciamo con il primo dato inquietante: a quasi una settimana dall’annuncio della firma del decreto, il testo del provvedimento – che pure vale oltre 150 milioni di euro e ha sollevato un polverone senza eguali – non è ancora disponibile sul sito del Ministero dei Beni e delle Attività culturali. E’ un fatto grave, difficilmente conciliabile con la politica della trasparenza cui il premier, Matteo Renzi continua a proclamare di voler ispirare il governo del Paese.
Ma non basta perché il testo del Decreto che non è disponibile per cittadini, giornalisti, consumatori e industria delle tecnologie è, invece, sin dal giorno della firma a disposizione della Siae – la società italiana autori ed editori – che, infatti, ne ha snocciolato, in un proprio comunicato stampa, più dati e numeri di quanti non ce ne siano nel comunicato stampa dello stesso ministro Franceschini. La Siae, dunque – per qualche strana ragione – ne sa più di tutti e, forse, persino più del ministro. Un fatto inaccettabile se si pensa che Siae, nella partita, è portatrice di un interesse egoistico giacché, nel 2014, grazie all’aumento delle tariffe, incasserà – per sé – oltre dieci milioni di euro.
Le poche informazioni sul contenuto del decreto sin qui comunicate, tuttavia, sono state sufficienti a mettere consumatori ed industria digitale sul piede di guerra. Nei giorni scorsi, infatti, Altroconsumo, associazione indipendente di consumatori ha annunciato che intende portare il ministro dei Beni e delle attività culturali Dario Franceschini davanti ai giudici amministrativi mentre, questa mattina, Confindustria digitale, nel dirsi indignata per la decisione del ministro annunciato che valutare se impugnare anch’essa il provvedimento non appena ne sarà disponibile il testo integrale ed ha anticipato di ritenere indispensabile un urgente revisione radicale della disciplina della materia.
“Riteniamo l’aumento del compenso per copia privata annunciato dal ministro Franceschini non solo una misura del tutto ingiustificata rispetto agli attuali trend tecnologici e di consumo – ha detto Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale – ma anche un segnale in contrasto con l’esigenza, riconosciuta prioritaria dallo stesso governo Renzi, di favorire l’innovazione digitale nel Paese”. Reazioni che, a sfogliare numeri e cifre resi disponibili oggi da Confindustria digitale è difficile non comprendere e non condividere.
Il decreto varato dal ministro Franceschini – secondo Confindustria digitale – farà arrivare il valore complessivo del prelievo da equo compenso per copia privata oltre i 150 milioni di euro con un aumento di due volte e mezzo rispetto a quello annuale registrato sin qui. E’ una cifra astronimica che Confindustria digitale non ha timidezze né esitazioni a dire che toccherà ai consumatori pagare giacché le imprese del settore non sono in grado – né ritengono di avere il dovere – di assorbire aumenti tanto salati rispetto alle tariffe già in vigore.
Una risposta straordinariamente diretta al ministro Franceschini che, nell’annunciare la firma del decreto, aveva definito “capzioso… chi parla di tassa… a carico dei consumatori” ed escluso che il decreto avrebbe comportato un aumento sui prezzi di smartphone, tablet ed altri dispositivi e supporti tecnologici.
Ma non è l’unico profilo in relazione al quale Confindustria digitale e le associazioni ad essa aderenti, nel corso della conferenza stampa di oggi, hanno sconfessato le dichiarazioni del ministro. In questa prospettiva il dato probabilmente più significativo è rappresentato dal raffronto tra le nuove tariffe italiane e quelle del resto d’Europa. Dopo che, da mesi, il ministro e la Siae continuano a raccontare che gli aumenti si sarebbero resi necessari per adeguare le tariffe italiane a quelle europee, Confindustria Digitale pubblica numeri, grafici e cifre che dicono esattamente il contrario ovvero che a seguito dell’entrata in vigore delle nuove tariffe, i cittadini italiani saranno gravati, pro-capite, di un equo-compenso più alto rispetto ad ogni altro Paese europeo con la sola eccezione della Francia.
Ma non basta perché, proprio nel corso della conferenza stampa, da Parigi è rimbalzata la notizia che il Consiglio di Stato francese ha annullato il provvedimento di determinazione delle tariffe dell’equo compenso per copia privata. I giudici amministrativi d’Oltralpe hanno dichiarato illegittime le regole alle quali il ministro Franceschini ha appena scelto di ispirarsi. La fortuna premia gli audaci tanto quanto la sfortuna punisce i pavidi che si lasciano tirare per la giacchetta da chi tira più forte.
Ce n’è abbastanza per gridare allo scandalo e per chiedere, a gran voce, che il premier, Matteo Renzi, intervenga esautorando il ministro Franceschini dalla gestione di un dossier che si è, evidentemente, dimostrato incapace di gestire e ripristinando così ordine, legalità e trasparenza. Ma non basta perché tra i dati pubblicati da Confindustria digitale, ce n’è un altro che lascia letteralmente senza parole: nel 2014, il gettito da equo compenso che si raccoglierà in Italia sarà pari al 25% di quello raccolto in tutta Europa. Magari l’economia italiana rappresentasse il 25% di quella europea.
Nota di trasparenza: rappresenterò Altroconsumo nel giudizio per l’impugnazione del decreto. Nonostante ogni sforzo di obiettività, quanto scritto potrebbe risultare influenzato da tale circostanza.
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Riceviamo e pubblichiamo la replica di Gaetano Blandini, Direttore Generale SIAE (pubblicata anche nel blog Tutela D’Autore)
Sarebbe stato invece comprensibilissimo che Altroconsumo, che ha deciso di schierarsi contro i cittadini autori e consumatori e mettersi al fianco delle rivendicazioni delle multinazionali, avesse invece chiesto conto a Confindustria Digitale del perché nel nostro Paese i device costano più che negli altri Paesi come Francia e Germania dove il compenso di Copia Privata è molto più alto.
Egregio Dottor Blandini, ho letto con grande interesse la Sua cortese e puntuale replica al mio ultimo post così come avevo già letto la Sua puntualizzazione al mio precedente pezzo e, mi auguro sinceramente tutti gli interessati a questa vicenda lo abbiano fatto perché sono convinto che confronto e dialogo siano l’anima della democrazia.
Temo, tuttavia, che il “nostro duetto” – non avendo noi la voce del Suo Presidente Gino Paoli – né la penna di due giornalisti o romanzieri di successo potrebbe annoiare i tanti che hanno voglia di capire quanto sta accadendo. Mi limito quindi a poche puntualizzazioni in una manciata di caratteri ed a farLe poi qualche domanda alla quale, sono certo, non vorrà sottrarsi dal rispondere. In replica, in genere, si contrappone una verità obiettiva ad una verità opinabile o, meglio ancora, ad una menzogna di chi ha scritto il pezzo a cui si replica.
Mi sembra, però, che nel nostro caso sia accaduto l’opposto. Lei scrive che quella dell’equo compenso per copia privata non dovrebbe essere una vicenda che interessi i milioni di consumatori italiani di tecnologie digitali perché non saranno loro a pagare i 150 milioni di euro (e forse più) che con il Suo Decreto il ministro Franceschini ha ritenuto equo vengano versati ad autori ed editori. Credo basti un tweet (140 caratteri) per smentire platealmente quello che scrive: in Francia, ovvero nel Paese la cui disciplina, più di ogni altro, ha ispirato le richieste di Siae al Ministro ed il Decreto del Ministro dal 1° aprile chi vende tecnologia è obbligato a informare i consumatori di quanto, per ciascun dispositivo o supporto, “pesa” l’equo compenso per copia privata.
Mi risulta strano credere che non ne sia a conoscenza e mi risulta difficile conciliare tale circostanza con la sua replica secondo la quale dell’equo compenso non dovrebbero preoccuparsi i consumatori italiani. Senza contare – se mi permette un altro tweet – che è la disciplina europea a prevedere che l’equo compenso lo paghino i consumatori ed ad ammettere – addirittura come eccezione – che lo Stato autorizzi un prelievo, per comodità, dai distributori.
Mi dice poi – invitandomi a riflettere su una circostanza che in realtà mi era sfuggita – che Siae conoscerebbe il contenuto del Decreto in dettaglio benché lo stesso non sia stato ancora pubblicato perché avrebbe una poltrona, al pari di molte altre associazioni, nel comitato permanente sul diritto d’autore. Ha, naturalmente, ragione, se non fosse che il ministro prima di firmare il decreto si consulta con il Comitato permanente al quale, però, non mi risulta debba poi trasmettere – prima della pubblicazione – una copia del decreto che ha deciso di firmare.
Quindi o Siae pubblica quale “contenuto del decreto” quanto previsto nei “suggerimenti” che il Comitato permanente ha trasmesso al ministro, dando per scontato che questi li abbia integralmente accolti o Siae dispone della versione definitiva del decreto della quale nessun altro comune mortale – inclusi i membri del comitato permanente – dispone e dovrebbe disporre.
Mi sembra inutile aggiungere alcunché a proposito di quanto accade negli altri Paesi. L’immagine estratta dalla ricerca dell’organizzazione mondiale della proprietà intellettuale – e non da stime o studi di Confindustria digitale – racconta, in modo plastico, che nel 2012 in Italia è stato raccolto di più di quanto sia stato raccolto in ogni altro Paese europeo, Francia esclusa.
@luigifaro2 @dariofrance @danielebonf al contrario, quelle che generano la maggior raccolta in europa pic.twitter.com/QEQHmIoI4b
— Guido Scorza (@guidoscorza) 21 Giugno 2014
Prima di salutarLa e ringraziarLa, le mie domande.
1. Quanto Siae stima di trattenere per sé – a titolo dichiarato di “costi di gestione” – dei 150 milioni di euro (o più) che incasserà annualmente a titolo di equo compenso per copia privata, considerato che sui 72 milioni di euro incassati nel 2012, ha tenuto per sé oltre 5 milioni di euro? Viene da pensare che si tratterà – milione in più, milione in meno – di oltre 10 milioni di euro.
2. Il Bilancio Siae, racconta che, ogni anno, restano in deposito – in ragione dei “tempi tecnici di riparto – oltre 100 milioni di euro incassati, nel tempo, a titolo di equo compenso per copia privata. Una montagna di denaro che naturalmente produce interessi e che va ad unirsi a circa trenta milioni di euro di benefici finanziari che i ritardi – tutti certamente naturali ed ineliminabili – nel riparto dei diritti d’autore, generano per la Sua società. A quanto ammonteranno gli interessi che la Sua società stima di guadagnare grazie alle maggiori somme in transito sui Vostri conti correnti per effetto del Decreto Franceschini?
3. Un’ultima domanda alla cui risposta, credo che le decine di migliaia di autori italiani tengano particolarmente: riuscirebbe a spiegare in termini – a prova di avvocato fazioso, polemico e poco intelligente come me – come il fiume di denaro che Siae incasserà per i propri associati, a titolo di equo compenso per copia privata verrà ripartito tra di loro e perché, nel 2014, per procedere al riparto sia necessario così tanto tempo? Certo i tempi tecnici producono enormi vantaggio per la Siae ma, frattanto, decine di migliaia di autori restano in attesa di ricevere ciò che, a loro nome, è stato chiesto ed incassato.
Grazie per il Suo prezioso contributo ad aiutare, tanti, a capire.
Nota di trasparenza: rappresenterò Altroconsumo nel giudizio di impugnazione contro il Decreto Franceschini sull’equo compenso per copia privata
Guido Scorza
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Riceviamo e pubblichiamo la risposta alla controreplica di Guido Scorza di Gaetano Blandini, direttore generale di Siae