Sono settimane concitate quelle che si vivono a Montebelluna, in provincia di Treviso, storica roccaforte di Veneto Banca. Pungolato dalla Banca d’Italia l’istituto è impegnato in una corsa contro il tempo per evitare bocciature a livello europeo. Tra aumento di capitale, emissioni di nuovi bond e tentativi di vendita della controllata Banca Intermobiliare (Bim), la carne messa al fuoco dai nuovi vertici è davvero tanta. Mercoledì 25 il consiglio di amministrazione ha dato il via libera definitivo alla ricapitalizzazione da 490 milioni di euro, mentre sembrano dilatarsi i tempi per la cessione di Bim. 

Istituto popolare, non quotato in Borsa ma decimo in Italia per valore degli impieghi (circa 28 miliardi di euro) Veneto Banca è inserita nella lista delle quindici italiane sottoposte all’analisi dei crediti e ai successivi stress test in vista del passaggio sotto la vigilanza della Bce. Con un coefficiente patrimoniale core tier 1 (o common equity) intorno al 7%, Veneto Banca è però tra gli istituti che presentano le maggiori criticità a livello patrimoniale. Uno dei requisiti fondamentali per superare la verifica europea è infatti che il cosiddetto core tier 1 sia almeno pari all’8% degli attivi della banca ponderati in base al livello di rischio

Il core tier 1 è di fatto un indicatore molto vicino al patrimonio netto (in pratica ciò che resta quando agli attivi di una banca si sottraggono le passività, nel caso di Montebelluna circa tre miliardi). E’ il cuscinetto di sicurezza che una banca può immediatamente utilizzare per far fronte ad eventuali perdite senza necessità di vendere, o svendere in caso di urgenza, attività di cui è in possesso. Il 7% di Veneto Banca si confronta con la media del 10,6% delle banche che passeranno sotto la diretta vigilanza della Bce. La frenetica attività di acquisizioni degli scorsi anni (Bim ma anche banca Apulia e banca Italo Romena) ha fatto passare in secondo piano il rafforzamento patrimoniale e ora i nodi vengono al pettine.

Anche perché la crescita dimensionale non ha sinora pagato in termini di profitti (233 milioni di rosso nel 2013 e 35 nel 2012) né di redditività, che risulta in calo. Lo scorso marzo Credit Suisse aveva stimato che a Veneto Banca servissero 741 milioni aggiuntivi per centrare l’obiettivo minimo di un Core tier 1 all’8 per cento. Un fabbisogno che verrà in buona parte colmato con l’aumento di capitale varato mercoledì. Altre risorse fresche dovrebbero arrivare dalla vendita del 71% di Bim, la private bank torinese quotata a Piazza Affari e acquistata nel 2010. Quattro anni fa, oltre alla quota di controllo rilevata dalla finanziaria Cofito, Veneto Banca pagò altre azioni sul mercato 4,2 euro l’una mentre oggi il titolo vale 3,3 euro. Nel 2011 la partecipazione in Bim era iscritta a bilancio al valore di 452 milioni. Ora, dopo una svalutazione di 55 milioni solo nel 2013, vale 374 milioni.

Eppure a Montebelluna puntano ad incassare dalla vendita una cifra intorno ai 500 milioni confidando nel prestigio e nelle supposte prospettive dalla boutique finanziaria che fu dei Segre, i “commercialisti” di fiducia di Carlo De BenedettiSinora, però, non è stata presentata l’offerta della cordata guidata dal finanziere Piero D’Aguì,vicepresidente di Bim e titolare di una quota del 9,7%, data quasi per creta nelle scorse settimane. E pensare che nel 2010 erano stati proprio i dissidi tra D’Aguì e i soci dell’allora azionista di controllo Cofito, società partecipata in quote paritetiche dallo stesso D’Aguì e dalle famiglie Segre, Giovannone e Scanferlin, a provocare la rottura e portare Bim sotto il controllo della Veneto Banca di Vincenzo Consoli. Sullo sfondo le operazioni (e le varie inchieste) con la Ipi dell’immobiliarista Danilo Coppola di cui Bim possedeva una quota del 27 per cento. Ora, scordandosi il passato, sembra che D’Aguì sia riuscito a coalizzare attorno a sé a vario titolo buona parte dei vecchi soci. La costruzione dell’offerta sarebbe avvenuta proprio nello studio dei commercialisti ed ex azionisti Segre, nome storico della finanza torinese con un ruolo chiave nella prima fase della costruzione delle fortune di De Benedetti.

La debole situazione patrimoniale della banca è da tempo uno dei dossier a cui lavora Via Nazionale. Come in molti altri casi, la vigilanza ha imposto una politica di classificazione dei crediti a rischio più rigorosa, rettifiche sui prestiti “avariati” più consistenti e contestualmente azioni per rafforzare il patrimonio. Il rapporto tra Veneto Banca e la Banca d’Italia ha attraversato fasi molto tese con rilievi al vecchio management capitanato da Consoli  per l’opacità dei bilanci, l’incapacità di fronteggiare il peggioramento degli attivi e l’utilizzo di condotte in conflitto di interesse. Non a caso nel 2013 arrivarono sanzioni della vigilanza a carico degli amministratori per 307mila euro. La situazione sembra ora più tranquilla dopo il rinnovamento del board. Lo storico ad Vincenzo Consoli è stato infatti “retrocesso” a direttore generale e il suo posto è stato preso dal docente di economia aziendale Francesco Favotto, mentre dopo quasi vent’anni Flavio Trinca lascia la carica di presidente.

Per far fronte alla debolezza patrimoniale della banca è stata anche caldeggiata una fusione con un altro istituto, Popolare di Vicenza in primis. Eventualità che ha però scatenato la rivolta dei soci, probabilmente più per ragioni di campanile che strettamente finanziarie. Oltre alla bassa patrimonializzazione, a “minare” i bilanci della banca è anche l’elevata incidenza dei crediti dubbi, ossia prestiti concessi che rischiano di andare perduti. Su 28 miliardi di crediti complessivamente in essere quasi 5 sono a rischio con un aumento di oltre un miliardo solo nell’ultimo anno. Le rettifiche crescono, nel 2013 quasi un miliardo e mezzo di euro è stato destinato a far fronte alle possibile perdite su questi prestiti, tuttavia l’indice di copertura rimane relativamente basso e pari al 30%, a fronte di una media del settore del 42 per cento.

E’ un problema che affligge, in varia misura, tutto il sistema bancario italiano. Paradossalmente soprattutto le banche molto legate al loro territorio che dovrebbero avere una migliore conoscenza dei soggetti che finanziano ma che evidentemente finiscono per erogare credito non solo in base a valutazioni strettamente finanziarie. Se realizzate, le contromisure messe in campo dalla banca, sotto la regia di Via Nazionale, dovrebbero essere sufficienti per centrare i requisiti minimi necessari per superare gli esami europei. Se così non fosse per la banca di Montebelluna si aprirebbe un percorso a tappe forzate per ulteriori ricapitalizzazioni che, in base alle regole europee, potrebbero portare anche ad un transitorio coinvolgimento dello Stato.

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