Don Enzo Zannoni, stravolto dalla stanchezza e dal dolore, ha appena terminato di celebrare la messa nella chiesa di San Filippo Neri, pieno centro di Forlì. La fiaccolata verso la zona della tragedia è appena partita. La celebrazione era stata organizzata già da diversi giorni, ma poi è caduta fatalmente nel giorno in cui la notizia della fine della giovane Rosita si è diffusa in tutta Italia. A riportarla alla ribalta è stata la decisione della procura della Repubblica di Forlì di iscrivere al registro degli indagati i genitori della sedicenne, che martedì 17 giugno si è lanciata dal tetto della scuola dove alcuni giorni prima aveva concluso in maniera brillante la terza superiore. Don Enzo non sembra convinto della decisione dei magistrati: “Un’indagine potrebbe esserci nei confronti di tutti noi. Che cosa significa? Non è mica un rinvio a giudizio. Più conosco i genitori più sono scettico. Prima della tragedia non li conoscevo tanto. Poi in questi giorni li ho incontrati: gente riservata. Sa, i genitori non hanno bisogno di venire a parlare tanto coi professori se la loro figlia è brava a scuola. Soprattutto da me, che ero l’insegnante di religione”.
Nonostante fosse stata annunciata la loro assenza alla celebrazione di giovedì 26 giugno (i funerali sono stati svolti invece in forma strettamente privata) il papà e la mamma della ragazza, nascosti tra la gente per evitare telecamere e macchine fotografiche, sono arrivati comunque alla messa in San Filippo Neri. Invitati personalmente da don Enzo, sono entrati e poi andati via dal retro: “Sono venuti volentieri. Sono ancora un po’ tramortiti e forse non si rendono conto del linciaggio mediatico a cui ora rischiano di essere sottoposti”.
A indurre il pubblico ministero Marilù Gattelli, con la supervisione del procuratore capo Sergio Sottani, a indagare i genitori per istigazione al suicidio e maltrattamenti psicologici erano state quelle frasi ritrovate in diversi fogli e persino in un video lasciato dalla ragazza prima del suicidio. Qui la sedicenne avrebbe lamentato che nonostante i buoni voti a scuola il papà e la mamma le avrebbero impedito di vedere gli amici e le amiche. Infine, elemento che sarebbe stato scatenante, le avrebbero negato la possibilità di andare a studiare il prossimo anno scolastico in Cina. “Mi sembra che i magistrati si stiano concentrando troppo sulla contingenza del fatto”, ragiona don Zannoni, che da tre anni al liceo Morgagni aveva come alunna la ragazza, e continua a definirla “intelligentissima, la migliore che avessi”. “In realtà mi sembra che il gesto sia stato premeditato. Vuole sapere perché la penso così? Io nell’istituto sono uno degli addetti alla sicurezza: bene, nonostante ciò, io non sapevo che ci fosse una botola che dalla scala di emergenza portava sul tetto. Nessuno lo sapeva. Secondo me lei era già stata lassù”. Anche sulla questione della Cina il professore di religione non è molto convinto: “Se anche gli hanno detto che non la mandavano in Cina, poteva bastare questo a portare al gesto che ha fatto? E poi tutti sapevamo che la questione era già decisa: lei era già iscritta a scuola laggiù, e noi eravamo dispiaciuti che una studentessa così brava partisse via per un anno”.
Intanto, all’imbrunire, proprio nel luogo in cui la ragazza si è lanciata nel vuoto, è cominciata la fiaccolata. Federica, mamma di una compagna di classe di Rosita, prende la parola davanti a tutti, a nome dei ragazzi: “Ti chiedo perdono perché so solo piangere. Per la mia rabbia. Per questo mondo malato e folle di adulti indifferenti, stupidi e sconfitti. E perché è troppo tardi”. Nel piazzale della tragedia, reso fanghiglia dalla pioggia pomeridiana, in pochi vogliono parlare. La preside Giuliana Branzanti si chiude dietro al mutismo. Solo Federica, dopo il suo discorso, parla ancora: “L’inchiesta? Dati i fatti mi sembra una cosa giusta, basta che sia fatta bene. Prima della morte quello che si percepiva è che Rosita non stava bene. Però cosa si sarebbe potuto fare? Magari anche mia figlia in un momento di rabbia può dire una cosa contro i genitori. Nessuno immaginava e i ragazzi non avevano gli strumenti per poter valutare una situazione del genere”.