La questione è se la nostra bolletta dell’Enel, insieme a quelle di 31 milioni di italiani, possa aver contribuito o meno a caricare gli Ak47 che nel 2001 hanno ucciso tre leader sindacali del Sintraminercol alla miniera di La Loma, Colombia. E magari contribuisca ancora oggi a foraggiare indirettamente i gruppi paramilitari che terrorizzano i minatori con servizi di security che si spingono molto oltre il limite della violazione dei diritti umani. Questione delicatissima, che investe una società controllata dallo Stato che ha come maggior azionista il Governo italiano e che trova ragion d’essere in un studio sulla sostenibilità ambientale della filiera del carbone proveniente dalla Colombia, tra i maggiori esportatori in Italia. Greenpeace lo ha commissionato all’istituto di ricerca indipendente olandese Somo nei primi mesi del 2014. E ilfattoquotidiano.it lo pubblica oggi, in esclusiva.
La ricerca si chiama “Colombian Coal in Europe Imports by Enel as a Case Study ”. Nasce come completamento di uno studio precedente (The Black Box, Luci e ombre nella catena di fornitura di carbone in Olanda – 2012) sull’origine del carbone utilizzato per generare elettricità nei Paesi Bassi e la mancanza di trasparenza nelle catene di fornitura di carbone europee. Non operando Enel sul mercato olandese non era presente come caso di studio, nonostante sia un grande importatore di materia fossile colombiana e partecipi fin dalla sua origine a Bettercoal, un organo di certificazione dell’eticità della filiera cui aderiscono 11 grandi multiutility europee. Enel è, anzi, è tra i promotori.
Lo studio ha evidenziato l’esistenza di relazioni commerciali tra la più grande società elettrica d’Italia e due grandi aziende minerarie che operano in Colombia estremamente controverse, la statunitense Drummond e la svizzera Prodeco (GlencoreXstrata). Due nomi che in Italia dicono poco o nulla ma che in America, e non solo quella Latina, hanno una pessima fama. “Le loro politiche ambientali sono deboli – si legge nella sintesi del rapporto curata da Greenpeace – e più spesso deficitarie; ma, ancor più, su entrambe le aziende esiste una corposa documentazione giornalistica (e legale) che testimonia come siano state ripetutamente accusate di gravissime violazioni dei diritti umani e di aver commissionato omicidi e torture di sindacalisti e abitanti delle aree circostanti le loro miniere in Colombia. Alcuni dei processi a carico di queste aziende, conosciute all’opinione pubblica di molti Paesi per i loro imbarazzanti ‘crime files’, sono ancora pendenti”.
E rendono urgente capire che succede qui, a 10mila chilometri di distanza, dove milioni di clienti italiani del tutto ignari potrebbero ritenersi legittimamente preoccupati dalla scoperta di finanziare indirettamente, con le loro bollette, gli squadroni della morte e le loro violenze. Magari da uno sportello postale o online. Il primo elemento da appurare, dunque, è se davvero Enel acquisti e usi il carbone estratto dalla seconda e terza compagnia in Colombia per capacità estrattiva. L’impresa, per il cliente comune, è tutta in salita. Neppure sul sito della seconda utility quotata d’Europa sono riportate informazioni su contratti commerciali, piani di approvvigionamento. Men che mai un albo dei fornitori. Anche inserendo i nomi di Drummond e Prodeco nell’area “ricerca” si ottiene una menzione. Quasi facessero parte delle “informazioni privilegiate” riservate al board e agli azionisti. Essendo per la maggior parte pubblica però, verrebbe da obiettare, tutti noi in qualche modo lo siamo.
L’indagine che blinda le rotte tra radar, satellitari e bollettini
Così, paradossalmente, per sapere da chi compra il carbone la nostra società elettrica, tocca rivolgere la domanda a un organismo di ricerca indipendente con sede ad Amsterdam che per mesi si mette a caccia di informazioni nel periodo da giugno a dicembre 2013. Somo, da 40 anni sul mercato delle indagini ambientali, ha messo in campo sofisticati strumenti di tracciamento delle rotte ed è riuscita nell’impresa di documentare con certezza origine e destino di alcuni carichi di carbone delle società colombiane diretti in Italia. La conferma empirica che si cercava, insomma. “Le relazioni commerciali – spiegano i ricercatori – sono state certificate tracciando alcune imbarcazioni che dai porti del Paese sudamericano hanno viaggiato fino ai porti che servono alcune centrali termoelettriche dell’azienda, qui in Italia”. Nel secondo semestre del 2013, ad esempio, si scopre che Enel ha acquistato almeno 330mila tonnellate di carbone dalla Prodeco, arrivate in Italia attraverso cinque viaggi di navi carboniere; nello stesso periodo la Drummond ha fatto arrivare a Civitavecchia, La Spezia e Venezia cinque carichi di carbone dalle sue miniere colombiane. “Le informazioni raccolte su questi traffici commerciali sono state anche sottoposte a Enel”, avvertono i ricercatori SOMO, prima della pubblicazione del rapporto. E l’azienda non le ha smentite. Ilfattoquotidiano.it ha rivolto una serie di domande specifiche alla società che si è presa alcuni giorni di tempo per analizzare il dossier e rispondere.
I Diritti Umani hanno le maiuscole solo sulla carta
Intanto va chiarito: qual è il problema, se molte altre grandi utilities europee acquistano carbone da Drummond e Prodeco? Perché non dovrebbe farlo Enel? Per il fatto, ad esempio, che l’azienda pubblica si è dotata negli anni di una serie di policy etiche di elevatissimo livello che sono diventate parte integrante della sua forza commerciale e della sua identità d’impresa. Nel 2013, ad esempio, Enel ha festeggiato il primo decennio del suo “Bilancio di sostenibilità”. Si tratta di uno strumento di rendicontazione attraverso cui la società riferisce i propri stakeholder sui riflessi economici, sociali e ambientale della propria attività d’impresa. Delinea valori e principi che guidano il gruppo. Tra gli altri, definisce come incompatibile ogni forma di collaborazione, anche indiretta, con chi li viola perché “il rispetto dei Diritti Umani (è scritto in maiuscolo, ndr) è da sempre un valore centrale di Enel”.
Il concetto è ribadito più volte anche nel Codice etico ma Enel si impegna anche oltre, almeno sulla carta. Il 5 febbraio 2013 il Cda ha approvato la Policy sui Diritti Umani (sempre con le maiuscole), assunti dai collaboratori di Enel Spa e dalle società controllate. “Enel si fa esplicitamente promotore del rispetto di tali diritti da parte degli appaltatori, fornitori e partner commerciali”. Tra gli otto principi sacri il rifiuto del lavoro forzato, la libertà di associazione, condizioni di lavoro giuste e favorevoli, rispetto dei diritti delle comunità. Tutte cose sacrosante, ma se poi prendi il carbone dalle miniere colombiane universalmente note per essere soggette a violazioni di ogni genere allora il problema c’è eccome. E non basta aver attivato una casella di posta elettronica (audit.enel.codice.etico@enel.com) con cui segnalare da fuori eventuali violazioni. Difficilmente i minatori del Cerrejon, la più grande miniera di carbone a cielo aperto del mondo dove Prodeco ricava buona parte della materia prima, potranno approfittarne.
Le certificazioni del “carbone buono”
Fondato è anche il dubbio sull’efficacia e l’affidabilità delle certificazioni etiche internazionali. Anche quelle nate con le migliori intenzioni, infatti, rischiano di essere solo di facciata. E’ il caso di Bettercoal, un organo di certificazione della sostenibilità fondato nel 2011 per iniziativa di diverse compagnie elettriche per controllare che la filiera del carbone sia “pulita”. Enel è tra i promotori. Anche qui c’è il codice etico sul rispetto dei diritti umani e Bettercoal ha anche sviluppato un meccanismo di autocertificazione per le miniere e individuato alcune linee guida per valutazioni sul campo, condotte da certificatori terzi e indipendenti. Le miniere devono in altre parole procedere a una sorta di autovalutazione e produrre documentazione a supporto di quanto certificano. Queste autocertificazioni alimentano un data base finalizzato a definire alcune priorità per successive indagini. Queste ultime, condotte da parti terze, devono produrre dei piani di continuo miglioramento dei siti di estrazione, che le aziende partecipanti a Bettercoal (ma non l’opinione pubblica) potranno quindi tracciare e considerare per i loro processi di auditing ed eventualmente nelle scelte commerciali. “Ma il fatto che Enel aderisca a Bettercoal per garantire il ‘tenore’ etico e ambientale del carbone che acquista, possa intrattenere relazioni commerciali con la Drummond e la Prodeco è probabilmente la spia più evidente di come questo organismo di controllo sia sprovvisto di effettivi poteri di ispezione e di come non possa garantire realmente la tutela dell’ambiente e dei diritti umani”, commenta Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia.
Greenpeace: “Enel riveda presto i suoi accordi commerciali”
“Riteniamo che Enel debba presto rivedere i suoi accordi commerciali con queste aziende. E’ un dovere, ancor più dal momento che Enel è una controllata pubblica che ha come maggior azionista il Governo italiano. Un soggetto imprenditoriale delle dimensioni e dell’importanza di Enel non dovrebbe intrattenere relazioni commerciali con simili aziende – ripetutamente accusate di crimini efferati – anche per il buon nome e il prestigio industriale del nostro Paese”. Un asupicio rivolto al futuro. “Confidiamo che il nuovo management, che sta dando forti segnali di discontinuità, possa valutare attentamente le evidenze raccolte e semmai decidere di recidere i contratti con Drummond e Prodeco. Per noi resta l’assunto che la filiera del carbone è ‘inquinata’ dall’inizio alla fine; e che dobbiamo consegnare progressivamente e quanto prima al passato quella fonte energetica”.