Un’ora di colloquio con il suo giudice per essere richiamato o meglio diffidato. Silvio Berlusconi si è intrattenuto per circa sessanta minuti nell’ufficio del magistrato di Sorveglianza Beatrice Crosti, che gli ha concesso l’affidamento in prova ai servizi sociali per un anno in relazione alla condanna definitiva per la vicenda Mediaset.
Un faccia a faccia in cui la toga ha richiamato Berlusconi ad attenersi alle prescrizioni del provvedimento di affidamento ai servizi sociali, tra cui quella di non usare “frasi offensive” nei riguardi dei magistrati. La diffida riguarda in particolare le parole usate da Berlusconi sui giudici a Napoli nel corso della sua testimonianza nel processo Impregilo a carico di Walter Lavitola. L’affidato, dopo la ramanzina, ha chiesto “scusa” per quella che ha definito “una battuta” e ha assicurato, comunque, che non si ripeterà più. Anche perché se dovesse essere revocato l’affidamento potrebbero scattare gli arresti domiciliari. “Questo non è un gioco – ha detto il giudice Crosti – i magistrati non sono solo quei pochi di cui legge sui giornali ma sono tanti e lavorano”.
Nelle scorse settimane l’ex presidente del Consiglio aveva puntato nuovamente il dito contro i giudici – almeno sei attacchi in tre mesi. Ma quello avvenuto in aula a Napoli era stato così forte da far valutare ai pm anche l’incriminazione per il comportamento tenuto in veste di testimone. Durante l’udienza l’ex premier aveva risposto con disappunto al presidente del Tribunale dicendo che i magistrati sono irresponsabili.
Quando il Tribunale di Sorveglianza aveva concesso la misura alternativa nel provvedimento aveva avvertito l’ex premier di non oltrepassare il limite sottolineando che le frasi ”offensive” contro le toghe “dimostrano spregio nei confronti dell’ordine giudiziario, ivi compreso questo Collegio … ben potrebbero inficiare quegli indici di resipiscenza … se reiterati”. Per questo l’invito anzi la prescrizione da rispettare era quella che gli atteggiamenti dovessero mantenersi “nell’ambito delle regole della civile convivenza, del decoro e del rispetto delle istituzioni”.
Prima dell’episodio di Napoli Berlusconi aveva lanciato altri strali contro le toghe: in una intervista al “suo” Tg5 il 19 aprile aveva definito la sentenza Mediaset “mostruosa“ e in un’altra intervista il 28 aprile a Piazzapulita l’ex presidente del Consiglio aveva bollato come “ridicolo” il verdetto. Il giorno dopo la sentenza era stata definita un colpo di Stato. L’ex Cavaliere ha continuato a giocare sul filo, tra il lecito (criticare una sentenza) e l’illecito (attaccare i giudici). Poco dopo c’erano state altre dichiarazioni: ”Di giustizia non voglio e non posso parlare. Per quello che ho subito dovrei essere fatto santo” aveva detto in un messaggio indirizzato ai sostenitori del partito l’8 maggio scorso: “Mi hanno aggredito con 57 processi togliendomi serenità. Hanno infangato la mia immagine, hanno attaccato. Ora hanno alzato il tiro, con una sentenza impossibile, attentando addirittura alla mia libertà”. E anche il 9 maggio, giorno del suo debutto come volontario tra i malati di Alzheimer dell’istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone, Berlusconi aveva di nuovo alzato il tiro commentando la giornata con i fedelissimi: “Il tribunale di Sorveglianza ha eseguito una sentenza politica infondata“.
La presenza di Berlusconi a Palazzo di Giustizia non era stata in alcun modo comunicata anzi era stata tenuta nascosta. Anche l’orario, quasi sera, era stato scelto per una questione di riservatezza e gli avvocati interpellati hanno tutti risposto di non essere a conoscenza del colloquio. La presenza della scorta dell’ex premier nel cortile del Palazzo, ha fatto scattare l’allarme tra i cronisti che hanno tentato di presidiare gli uffici del Tribunale di Sorveglianza, resi però inaccessibili dai carabinieri.