“Senza precedenti” e “Prima volta”. Queste le espressioni usate dagli scienziati per descrivere l’epidemia di Ebola che sta riguardando tre Paesi dell’Africa occidentale, Sierra Leone, Guinea e Liberia e che, secondo quanto riportato ieri in una nota del ministero della Salute italiano: “Al 30 giugno ha colpito 759 individui, con 467 decessi”, la maggior parte in Guinea, dove l’epidemia ha avuto inizio, “il Paese più esposto con 413 casi”. A porre l’accento su queste due espressioni, in una intervista alla Cnn con Christiane Amanpour, è Peter Piot, uno degli scienziati che per primo, nel 1976, isolò il virus in un villaggio lungo le sponde del fiume da cui trae il nome, nell’attuale Repubblica democratica del Congo. “È la prima volta che assistiamo a un’epidemia come questa in Africa occidentale. È la prima volta che sono interessati tre Paesi. Ed è la prima volta in città capitali”.  

Parole che fanno seguito all’allarme lanciato nei giorni scorsi da Medici senza frontiere, secondo cui l’epidemia è “Fuori controllo nei tre Paesi dell’Africa occidentale, con più di 60 focolai d’infezione”. Una situazione che ha spinto l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a convocare ad Accra, in Ghana, una riunione di due giorni, che si concluderà oggi, tra i ministri della Salute e i responsabili della prevenzione delle malattie infettive di 11 Paesi africani. ”Ormai non è più un focolaio limitato ad alcuni Paesi, ma una crisi sub-regionale”, spiega Luis Sambo, Direttore regionale per Africa dell’Oms, che ha convocato la riunione. Lo scopo dell’incontro è mettere in campo “Azioni drastiche” per contrastare la diffusione di Ebola in altri Paesi della regione. “Abbiamo bisogno di una risposta forte e di maggiore collaborazione dei Paesi interessati, specialmente nelle aree di frontiera tra Sierra Leone, Guinea e Liberia, dove – sottolinea Daniel Epstein, portavoce dell’Oms – continuano le attività sociali e commerciali”. 

Al momento, tuttavia, l’Oms “non raccomanda restrizioni a viaggi e movimenti internazionali di persone, mezzi di trasporto e merci da applicare ai tre Paesi”, come confermato anche dall’ultimo comunicato del ministero della Salute. Gli esperti del ministero nelle note diramate in questi giorni affermano che “Il rischio d’infezione per i turisti, i viaggiatori in genere ed i residenti nelle zone colpite è considerato molto basso”, se si seguono, oltre alle comuni norme igienico-sanitarie, alcune precauzioni elementari, come “evitare il contatto con malati e/o i loro fluidi corporei e con i corpi e/o fluidi corporei di pazienti deceduti, o contatti stretti con animali selvatici vivi o morti”. 

Ma quanto è concreto il pericolo per l’Europa e il nostro Paese? “Il rischio è molto basso – afferma Giovanni Rezza, epidemiologo e direttore del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità (Iss) -. Si tratta di zone remote, è difficile che una delle persone colpite dal virus s’imbarchi su un aereo e vada in giro per l’Europa. La probabilità è molto bassa e, inoltre, non ci sono voli diretti per l’Italia. Non voglio minimizzare – aggiunge lo studioso -. Nelle epidemie non si può mai escludere nulla e in queste regioni dell’Africa occidentale Ebola è per la prima volta un problema più serio rispetto al passato, ma al momento non esiste un allarme europeo”.  

Nei giorni scorsi, però, con l’intensificarsi degli sbarchi di migranti nelle coste siciliane, si è diffuso il timore di un possibile veicolo d’infezione per Ebola in Italia. “Quello dei migranti verso le nostre coste è un viaggio lungo, prima via terra e poi per mare, che dura mesi e la malattia – spiega Rezza – per le sue stesse caratteristiche, come il periodo d’incubazione che in genere non supera i dieci giorni, impedirebbe loro di arrivare. È vero che in una società globalizzata i microbi viaggiano ormai insieme all’uomo, ma – sottolinea l’epidemiologo dell’Iss – Ebola non è come l’influenza. Come molte malattie tropicali rare, è una patologia che si autolimita. Il suo elevato tasso di mortalità, del 90%, e il fatto che è altamente debilitante da subito, manifestandosi con febbri emorragiche, diarrea e vomito, riduce, infatti, la probabilità che la persona malata possa andare in giro e diffondere il contagio. L’epidemia – chiarisce Rezza – si trasmette attraverso contatto diretto con fluidi corporei e la diffusione è, in genere, facilitata da usi e abitudini culturali locali, legate ad esempio alla sepoltura dei cadaveri, o a paure diffuse all’interno di alcune comunità, che spesso non informano le autorità sanitarie dei nuovi casi per timore degli ospedali, percepiti a volte come luoghi di morte anziché di guarigione. L’esistenza di guerre tribali tra i diversi Paesi – aggiunge lo studioso – rende, inoltre, difficile per motivi logistici controllare la diffusione dell’epidemia tra due o tre frontiere differenti. Il fatto che l’Oms non abbia imposto restrizioni ai viaggi dimostra, però, che l’allarme al momento è circoscritto. In ogni caso – conclude l’esperto – l’Europa, come gli altri Paesi industrializzati, qualora fosse necessario, sarebbe attrezzata a individuare e isolare eventuali pazienti colpiti dal virus”.

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