Edo Ronchi ha lasciato il suo incarico: si è dimesso, in netta divergenza con le ultime decisioni del Governo sull’Ilva di Taranto. E, a poche ore dalla sua decisione, ha rilasciato un’intervista a ilfattoquotidiano.it per spiegare la presa di posizione e i passaggi che lo hanno portato al passo indietro.
Si aspettava di diventare commissario ambientale? Cosa sarebbe cambiato?
Come è già noto, anche dalla mia conferenza stampa del 19 giugno, non avevo accettato la conferma a sub commissario gentilmente propostami dal Ministro Galletti il 5 giugno, alla mia scadenza, perché ritenevo e ritengo necessario cambiare passo.
Come?
Assicurando le risorse finanziarie necessarie per attuare il piano ambientale (1,8 miliardi dei quali 800 milioni entro il prossimo anno) e, dopo la pubblicazione del Piano ambientale del 9 maggio, anche l’operatività necessaria, in una fase nuova, con centinaia di interventi avviati, ma che vanno ora portati a termine con responsabilità precise, una catena di comando definita e una struttura adeguata. Ho quindi appoggiato due proposte: utilizzare subito le risorse del sequestro milanese, attivare un prestito trentennale garantito dallo Stato e attivare un Commissario per l’attuazione del Piano ambientale. A mio parere senza queste condizioni non è possibile cambiare passo e realizzare il risanamento ambientale, garantendo il posto di lavoro a migliaia di persone e la continuità di una fabbrica che è un pezzo importante dell’economia locale e nazionale.
Il governo ha scelto anche di non toccare i fondi dei Riva sequestrati a Milano. Lei aveva spiegato che quelli erano gli unici che al momento potevano garantire la continuità delle opere avviate: qualcuno le ha spiegato perché il punto è stato archiviato in zona Cesarini? I Riva sono tornati a essere intoccabili?
Il principio comunitario “chi inquina paga” è alla base del diritto ambientale europeo. Se saltasse questo principio, buona parte della nostra normativa ambientale non reggerebbe. Anteporre a questo principio altri ragionamenti giuridici – tipo le finalità specifiche di un sequestro – a mio parere è sbagliato: i soldi sequestrati alla proprietà andrebbero impiegati per il risanamento ambientale. Stabilito che l’Ilva, secondo me giustamente, è uno stabilimento di interesse strategico nazionale, occorre che lo Stato si faccia garante dell’attuazione, congiunta, di tre obiettivi: risanamento ambientale, occupazione e continuità produttiva. Se individuo un’area contaminata e il proprietario non si trova, non ha le risorse per risanarla, o non si trova il colpevole dell’inquinamento, non è che lo Stato se ne disinteressa, per il nostro ordinamento lo Stato deve intervenire, almeno, per metterla in sicurezza in ogni caso. Il punto era già previsto in una norma vigente, si tratta di anticiparne l’attuazione. Con il dissequestro disposto dalla Cassazione, non è affatto una novità che la proprietà sia tornata pienamente in gioco e l’impugnativa del Piano ambientale al Tar dei giorni scorsi ha confermato che, da quel lato, non c’è una volontà di collaborazione.
A suo avviso ora cosa accadrà? Ci sono davvero le condizioni per salvare la fabbrica e la salute dei tarantini?
Col prestito ponte la precipitazione della crisi aziendale dovrebbe essere stata temporaneamente fermata e questo per migliaia di lavoratori che rischiavano lo stipendio non è da trascurare. Per quello che ho potuto verificare nell’anno di lavoro per il risanamento ambientale all’Ilva, le condizioni per salvare la fabbrica e la salute ci potrebbero essere. Portando a termine il piano esistente di risanamento ambientale Taranto potrebbe essere come Duisburg . Certo servono le risorse e capacità operativa per realizzarlo, ma a mio parere è fattibile e si è cominciato a farlo.
Nelle scorse ore c’è stata una polemica su alcune sue dichiarazioni in merito alla posizione sbagliata della centralina del reparto cokerie dell’Ilva che potrebbe fornire dati troppo bassi sulle emissioni: non ha influito questo sulla decisione di mollare?
Polemica di Angelo Bonelli che trovo assurda. In un incontro con le associazioni ambientaliste, quindi pubblico, dove tranquillamente si registrava quello che dicevo, con trasparenza, ho detto che c’era una centralina, interna allo stabilimento, che registrava dati buoni, ma che a me pareva mal collocata. Da questo mi si accusa di aver avallato i dati di altre centraline, quelle che rilevano la qualità dell’aria a Taranto, che però nulla hanno a che fare con quella delle cokerie perché è vicina ad una fonte inquinante (le cokerie) e interna allo stabilimento, mentre quelle controllano la qualità dell’aria nell’ambiente della città. Comunque non mi risulta che le centraline di Taranto abbiano qualche problema, se qualcuno ha problemi da segnalare lo dica all’Arpa che le controlla e le gestisce. Se le centraline dislocate nella città registrano miglioramenti dei parametri ambientali dell’aria di Taranto nel 2013, come ambientalista io sono contento: non mi piace giocare al tanto peggio tanto meglio. So bene che c’è ancora molto da fare per migliorare l’ambiente locale, che gli effetti dell’inquinamento storico ci sono e continuano, ma posso anche dire che risanare si poteva e quando si è cominciato a farlo si sono visti i primi risultati. La mia decisione è nota dal 5 giugno e non è cambiata per le ragioni che ho cercato di spiegare.
Infine crede di aver fatto tutto il possibile per salvare salute e lavoro a Taranto o ha qualcosa di cui fare ammenda?
Posso dire che mi sono impegnato e che un anno all’Ilva non è stata una passeggiata. Se chi verrà dopo di me farà meglio, sarò il primo ad apprezzarlo. Nel bilancio che ho reso pubblico il 19 giugno, ho descritto con precisione, intervento per intervento, prescrizione per prescrizione, ciò che è stato fatto e ciò che resta da fare: sono state chiuse 6 cokerie su 10, 2 altoforni su 5, dimezzato lo stoccaggio del carbone, completata la chiusura di 22,8 Km di nastri trasportatori, pari al 40% del totale, di 68 torri (pari al 38% del totale), chiusi 8 fabbricati, coperta la giostra di raffreddamento dell’agglomerato, installato un sistema di controllo che ha consentito una riduzione degli slopping, migliorati e resi operativi i sistemi di monitoraggio, sono aperti una quarantina di cantieri e quasi tutti gli interventi sono progettati, con tecnologie definite ed è stata avviata la sperimentazione per produrre acciaio più pulito con il ferro pre-ridotto col gas. Qualcosa di cui fare ammenda? Ho trascurato la comunicazione, preso dalle cose da fare: quindi in pochi sanno cosa è stato fatto e molti credono che sia stato fatto poco o nulla. Pensando che fosse giusto dare una mano per risanare l’Ilva, per fare ambientalismo e non solo per dichiaralo, ho forse sottovalutato le difficoltà di una simile impresa o sopravvalutato le mie forze.
Ambiente & Veleni
Ilva, Ronchi lascia: “Con questo decreto non ci sono le condizioni per restare”
L'ex sub commissario, a poche ore dalle sue dimissioni, spiega a ilfattoquotidiano.it i motivi che lo hanno spinto al passo indietro. "Le uniche mie colpe? Ho trascurato la comunicazione"
Edo Ronchi ha lasciato il suo incarico: si è dimesso, in netta divergenza con le ultime decisioni del Governo sull’Ilva di Taranto. E, a poche ore dalla sua decisione, ha rilasciato un’intervista a ilfattoquotidiano.it per spiegare la presa di posizione e i passaggi che lo hanno portato al passo indietro.
Si aspettava di diventare commissario ambientale? Cosa sarebbe cambiato?
Come è già noto, anche dalla mia conferenza stampa del 19 giugno, non avevo accettato la conferma a sub commissario gentilmente propostami dal Ministro Galletti il 5 giugno, alla mia scadenza, perché ritenevo e ritengo necessario cambiare passo.
Come?
Assicurando le risorse finanziarie necessarie per attuare il piano ambientale (1,8 miliardi dei quali 800 milioni entro il prossimo anno) e, dopo la pubblicazione del Piano ambientale del 9 maggio, anche l’operatività necessaria, in una fase nuova, con centinaia di interventi avviati, ma che vanno ora portati a termine con responsabilità precise, una catena di comando definita e una struttura adeguata. Ho quindi appoggiato due proposte: utilizzare subito le risorse del sequestro milanese, attivare un prestito trentennale garantito dallo Stato e attivare un Commissario per l’attuazione del Piano ambientale. A mio parere senza queste condizioni non è possibile cambiare passo e realizzare il risanamento ambientale, garantendo il posto di lavoro a migliaia di persone e la continuità di una fabbrica che è un pezzo importante dell’economia locale e nazionale.
Il governo ha scelto anche di non toccare i fondi dei Riva sequestrati a Milano. Lei aveva spiegato che quelli erano gli unici che al momento potevano garantire la continuità delle opere avviate: qualcuno le ha spiegato perché il punto è stato archiviato in zona Cesarini? I Riva sono tornati a essere intoccabili?
Il principio comunitario “chi inquina paga” è alla base del diritto ambientale europeo. Se saltasse questo principio, buona parte della nostra normativa ambientale non reggerebbe. Anteporre a questo principio altri ragionamenti giuridici – tipo le finalità specifiche di un sequestro – a mio parere è sbagliato: i soldi sequestrati alla proprietà andrebbero impiegati per il risanamento ambientale. Stabilito che l’Ilva, secondo me giustamente, è uno stabilimento di interesse strategico nazionale, occorre che lo Stato si faccia garante dell’attuazione, congiunta, di tre obiettivi: risanamento ambientale, occupazione e continuità produttiva. Se individuo un’area contaminata e il proprietario non si trova, non ha le risorse per risanarla, o non si trova il colpevole dell’inquinamento, non è che lo Stato se ne disinteressa, per il nostro ordinamento lo Stato deve intervenire, almeno, per metterla in sicurezza in ogni caso. Il punto era già previsto in una norma vigente, si tratta di anticiparne l’attuazione. Con il dissequestro disposto dalla Cassazione, non è affatto una novità che la proprietà sia tornata pienamente in gioco e l’impugnativa del Piano ambientale al Tar dei giorni scorsi ha confermato che, da quel lato, non c’è una volontà di collaborazione.
A suo avviso ora cosa accadrà? Ci sono davvero le condizioni per salvare la fabbrica e la salute dei tarantini?
Col prestito ponte la precipitazione della crisi aziendale dovrebbe essere stata temporaneamente fermata e questo per migliaia di lavoratori che rischiavano lo stipendio non è da trascurare. Per quello che ho potuto verificare nell’anno di lavoro per il risanamento ambientale all’Ilva, le condizioni per salvare la fabbrica e la salute ci potrebbero essere. Portando a termine il piano esistente di risanamento ambientale Taranto potrebbe essere come Duisburg . Certo servono le risorse e capacità operativa per realizzarlo, ma a mio parere è fattibile e si è cominciato a farlo.
Nelle scorse ore c’è stata una polemica su alcune sue dichiarazioni in merito alla posizione sbagliata della centralina del reparto cokerie dell’Ilva che potrebbe fornire dati troppo bassi sulle emissioni: non ha influito questo sulla decisione di mollare?
Polemica di Angelo Bonelli che trovo assurda. In un incontro con le associazioni ambientaliste, quindi pubblico, dove tranquillamente si registrava quello che dicevo, con trasparenza, ho detto che c’era una centralina, interna allo stabilimento, che registrava dati buoni, ma che a me pareva mal collocata. Da questo mi si accusa di aver avallato i dati di altre centraline, quelle che rilevano la qualità dell’aria a Taranto, che però nulla hanno a che fare con quella delle cokerie perché è vicina ad una fonte inquinante (le cokerie) e interna allo stabilimento, mentre quelle controllano la qualità dell’aria nell’ambiente della città. Comunque non mi risulta che le centraline di Taranto abbiano qualche problema, se qualcuno ha problemi da segnalare lo dica all’Arpa che le controlla e le gestisce. Se le centraline dislocate nella città registrano miglioramenti dei parametri ambientali dell’aria di Taranto nel 2013, come ambientalista io sono contento: non mi piace giocare al tanto peggio tanto meglio. So bene che c’è ancora molto da fare per migliorare l’ambiente locale, che gli effetti dell’inquinamento storico ci sono e continuano, ma posso anche dire che risanare si poteva e quando si è cominciato a farlo si sono visti i primi risultati. La mia decisione è nota dal 5 giugno e non è cambiata per le ragioni che ho cercato di spiegare.
Infine crede di aver fatto tutto il possibile per salvare salute e lavoro a Taranto o ha qualcosa di cui fare ammenda?
Posso dire che mi sono impegnato e che un anno all’Ilva non è stata una passeggiata. Se chi verrà dopo di me farà meglio, sarò il primo ad apprezzarlo. Nel bilancio che ho reso pubblico il 19 giugno, ho descritto con precisione, intervento per intervento, prescrizione per prescrizione, ciò che è stato fatto e ciò che resta da fare: sono state chiuse 6 cokerie su 10, 2 altoforni su 5, dimezzato lo stoccaggio del carbone, completata la chiusura di 22,8 Km di nastri trasportatori, pari al 40% del totale, di 68 torri (pari al 38% del totale), chiusi 8 fabbricati, coperta la giostra di raffreddamento dell’agglomerato, installato un sistema di controllo che ha consentito una riduzione degli slopping, migliorati e resi operativi i sistemi di monitoraggio, sono aperti una quarantina di cantieri e quasi tutti gli interventi sono progettati, con tecnologie definite ed è stata avviata la sperimentazione per produrre acciaio più pulito con il ferro pre-ridotto col gas. Qualcosa di cui fare ammenda? Ho trascurato la comunicazione, preso dalle cose da fare: quindi in pochi sanno cosa è stato fatto e molti credono che sia stato fatto poco o nulla. Pensando che fosse giusto dare una mano per risanare l’Ilva, per fare ambientalismo e non solo per dichiaralo, ho forse sottovalutato le difficoltà di una simile impresa o sopravvalutato le mie forze.
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Sankt Moritz, 13 mar. -(Adnkronos) - La prima tappa della Coppa delle Alpi by 1000 Miglia 2025, partita da Brescia alle 9:00 di stamattina, è in conclusione. La classifica aggiornata alla Prova di Media sul Passo Eira vede Francesco e Giuseppe di Petra in testa a bordo della loro Fiat 508C del 1938, seguiti da Belotti-Plebani sulla Bugatti T 37 A del 1927 e da un’altra 508C ma del 1937, quella di Aliverti-Polini. Conclusa la sosta per il pranzo a Tirano, gli equipaggi hanno iniziato a risalire la Valtellina toccando prima Grosio, con la vista del Castello Vecchio di San Faustino sullo sfondo, e poi Bormio, che ha ospitato un controllo timbro in pieno centro storico. Una volta lasciata alle spalle la cittadina, hanno iniziato a profilarsi i primi scorci imbiancati. Ben presto, gli equipaggi si sono visti immersi in un panorama completamente innevato, reso ancor più bello dalla luce del sole del pomeriggio.
Sul Passo Eira, ad un’altitudine di 2000 metri, si è tenuta la prima Prova di Media della manifestazione, dopodiché il convoglio è giunto a Livigno, che ha accolto i piloti per un coffee break nella Piazza del Comune. Il benvenuto del centro cittadino è stato caloroso, con una folla entusiasta che si è riunita nei pressi dell’arco all’arrivo nella cittadina, partner della Coppa delle Alpi 2025. Costeggiando il lago di Livigno, ghiacciato dalle rigide temperature invernali, gli equipaggi sono entrati in Svizzera passando dal tunnel Munt la Schera. Le vetture sono infine giunte a St. Moritz, primo traguardo di tappa della Coppa delle Alpi 2025.
Lasciandosi alle spalle la Torre Pendente di San Maurizio, hanno effettuato le ultime prove di giornata e, dopo aver costeggiato il lago di St. Moritz, sono finalmente giunte al Controllo Orario finale nella centralissima via Serlas sotto una consistente nevicata.
Verona, 13 mar. - (Adnkronos) - "Abbiamo voluto e portato all’interno di una manifestazione fieristica un progetto di natura sociale, per la prima volta in assoluto, in quanto non era mai accaduto che si dedicasse un intero padiglione alla fiera del sociale. Lo abbiamo fatto per la prima volta in occasione del primo evento di LetExpo, e ora siamo alla quarta edizione. Siamo partiti con tre organizzazioni tra fondazioni e associazioni: Fondazione Grimaldi, la Comunità Lautari e l’ospedale pediatrico Santobono Pausilipon, con la sua Fondazione. Oggi sono più di 50 organizzazioni, c’è stata una crescita esponenziale. Sono felice di aver condiviso tutte queste annate con il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, che ha condiviso con noi questi momenti”. Lo ha detto Eugenio Grimaldi, executive manager del Gruppo Grimaldi e presidente di Alis per il Sociale alla quarta edizione di LetExpo, la fiera di riferimento per i trasporti, la logistica, i servizi alle imprese e la sostenibilità, in programma a Verona fino al 14 marzo. La fiera è promossa da Alis in collaborazione con Veronafiere, LetExpo rappresenta l’evento nazionale e internazionale di riferimento della filiera, con un focus sulle attuali dinamiche geopolitiche e sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale.
“Il ministro Locatelli ha ascoltato le istanze di queste fondazioni e organizzazioni, ci ha invitato a Palazzo Chigi, dove abbiamo avuto modo di parlare delle loro criticità e ascoltandole credo che nei nuovi decreti abbiano potuto portare e sollevare delle linee guida presenti oggi in questi nuovi decreti. Quindi, rappresenta un risultato tangibile che ci dà grande soddisfazione - afferma Grimaldi - Ho avuto la percezione anche di una crescita per i prossimi anni e questo dà sicuramente grande soddisfazione e ancora più voglia di lavorare”.
“E’ stato un momento di grande soddisfazione aver avuto momenti di condivisione con i gruppi del ministero della Difesa, come l’esercizio, che hanno partecipato in senso attivo non solo nel padiglione, dove c'è l'organizzazione del Ministero della Difesa, ma si sono avvicinati al padiglione 1, dedicato al sociale - spiega - Già abbiamo condiviso che l'anno prossimo avremo una partecipazione anche all’interno dell’organizzazione da parte loro. Abbiamo avuto anche l'Aeronautica militare, che con la Fanfara ha aperto il padiglione nella giornata inaugurale”. “Voglio ringraziare tutte le imprese, che rappresentano il senso di questo evento e le aziende che hanno già portato a termine alcuni progetti con la Comunità Lautari e con la Fondazione Grimaldi, ma soprattutto che hanno portato a compimento già con la Fondazione Santobono. C'è un senso pratico e tangibile del lavoro espresso in questo padiglione e in questa fiera, che porta sicuramente dei risultati nel terzo settore, dove ci sono i più fragili”, conclude Grimaldi.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. - (Adnkronos) - Il Gruppo Webuild ha chiuso il 2024 con risultati record, superando gli impegnativi obiettivi previsti per l’anno grazie a una crescita a doppia cifra, con ricavi pari a 12 miliardi (+20% sul 2023) mentre l'Ebitda ammonta a 967 milioni (+18%, rispetto a una guidance fissata sopra i 900 milioni), corrispondente a un margine del’8,1%. Il gruppo sottolinea come la struttura finanziaria si è rafforzata ulteriormente mantenendo per il quarto anno consecutivo una posizione di cassa netta, che si attesta a 1.445 milioni nel 2024 (ben superiore agli oltre 400 milioni fissati nella guidance) mentre la leva finanziaria si è ridotta a 2,9x, attestandosi ad un livello migliore rispetto ai principali player internazionali di settore.
La crescita - si sottolinea - è trainata dallo sviluppo delle attività in Italia (Alta Velocità/Alta Capacità ferroviaria MilanoGenova e Verona-Padova, Alta Velocità ferroviaria Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina), in Australia (Snowy Hydro 2.0, SSTOM Sydney Metro, Perdaman e North East Link di Melbourne) e in Arabia Saudita (Trojena Dams e Connector South).
Il Gruppo ha continuato a consolidare la propria leadership in Italia e nei principali mercati internazionali, tra cui Europa, Australia, Stati Uniti e Medio Oriente, che nel 2024 hanno contribuito per oltre il 90% ai ricavi, a conferma del proseguimento dell’impegno nella politica di de-risking.
A fine 2024 il portafoglio ordini totale di Weibuld risultava pari a 63,2 miliardi di euro, di cui 54,3 miliardi relativi a construction e 8,9 miliardi riferiti a concessions e operation & maintenance. Il backlog construction - si sottolinea in una nota - "si conferma tra i più alti rispetto ai principali peers europei nel segmento construction". Peraltro, ricorda Webuild, circa il 90% del backlog construction del Gruppo è relativo a progetti legati all’avanzamento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite. In termini di geografie il portafoglio ordini risulta prevalentemente distribuito tra Italia, paesi dell’Europa Centrale e del Nord, Stati Uniti, Medio Oriente ed Australia - principalmente in segmenti legati alla mobilità sostenibile quali l’alta velocità, il settore ferroviario e il settore stradale - portando i progetti in queste geografie a quasi il 90% del backlog construction.
Alla luce dei risultati record raggiunti nel 2024, ma anche "del consolidato posizionamento in un mercato in forte espansione e della robusta piattaforma costruita nel tempo", Webuild ha rivisto al rialzo i target 2025, definiti nel piano "Roadmap al 2025 – The Future is Now", che già prevedevano obiettivi ambiziosi. La nuova guidance prevede per il 2025 ricavi superiori a 12,5 miliardi (il target precedente era di 10,5-11 miliardi), un Ebitda maggiore di 1,1 miliardi, rispetto ad un precedente target di €990-1.050 milioni, e una solida cassa netta superiore a 700 milioni, rispetto all’indicazione di una cassa netta positiva.
Webuild ha chiuso il 2024 con un utile netto attribuibile ai Soci della Controllante adjusted di 247 milioni di euro contro i 236 milioni del 2023.Il risultato prima delle imposte adjusted si attesta a 434 milioni con un aumento del 10% rispetto all’esercizio precedente mentre le Imposte sul reddito adjusted ammontano a 181 milioni. La Posizione finanziaria netta delle attività continuative al 31 dicembre 2024 era positiva per 1.445 (€1.431 milioni al 31 dicembre 2023), registrando un risultato superiore alle attese. Questo risultato - si sottolinea in una nota - "conferma l’efficacia delle strategie adottate per ottimizzare la gestione del capitale circolante e riflette i successi commerciali conseguiti dal Gruppo anche nel 2024, assumendo ancora maggiore rilevanza alla luce degli investimenti in dotazioni tecniche e beni in leasing (970 milioni) per l’avvio dei grandi progetti in corso".
A fine esercizio l’indebitamento lordo, al netto dell’effetto temporaneo di incremento del debito legato all’operazione di liability management di ottobre 2024, si attesta a 2,765 miliardi (2,609 miliardi nel 2023), con un rapporto Indebitamento lordo/EBITDA di 2,9x, in riduzione rispetto al dato di 3,2x al 31 dicembre 2023. Alla luce dei risultati nell'assemblea che sarà convocata per il 16 aprile sarà proposto un dividendo di 0,081 euro per azione ordinaria (+14%) e di 0,26 euro per ciascuna azione di risparmio.
Napoli, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - In una Campania in crescita, ma ancora segnata dal fenomeno della fuga di talenti, il legame tra formazione universitaria e sviluppo economico diventa cruciale. Se ne è discusso presso la Sala D’Amato dell’Unione Industriale Napoli, durante l’evento 'Muoversi nelle professioni e sul territorio', promosso dalla Luiss e dedicato alle lauree magistrali dell’Ateneo.
“La Luiss lavora in prima linea per costruire corsi di laurea magistrale strettamente legati alle necessità del mercato del lavoro. Pur avendo sede a Roma, dedichiamo particolare attenzione alla Campania, seconda regione di provenienza dei nostri studenti e territorio ricco di opportunità nei settori chiave come turismo, agroalimentare e aerospazio. Il nostro obiettivo è collaborare con le imprese campane affinché i nostri studenti possano realizzarsi professionalmente all’interno di esse, raggiungendo posizioni apicali”, ha spiegato Enzo Peruffo, Dean della Graduate School Luiss e responsabile dello sviluppo dei percorsi magistrali dell’Ateneo.
Durante l’incontro sono state illustrate anche le caratteristiche dell’offerta formativa Luiss: “E' importante farsi guidare dalle proprie passioni e dai propri interessi, ma anche essere pronti a sviluppare nuove competenze trasversali, saper dialogare con l’intelligenza artificiale con solide competenze verticali e lavorare sulle life skills, le cosiddette competenze della vita. Solo così si potranno affrontare le trasformazioni attuali e future. Per noi è fondamentale interagire con tutte le realtà del territorio, da cui traiamo spunto per disegnare un’offerta formativa sempre più aderente alle esigenze del mercato del lavoro. Il nostro obiettivo è formare studenti altamente preparati, motivati e appassionati, in grado non solo di entrare nel mondo del lavoro, ma di costruire percorsi di carriera soddisfacenti e di successo”.
Roma, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - Si è conclusa oggi la terza edizione del Welfare day evento di riferimento per il mondo del welfare aziendale, organizzato da Comunicazione Italiana in collaborazione con Pluxee Italia, player globale leader nei benefit aziendali e nell’employee engagement. La giornata, ospitata presso Palazzo dell’Informazione in Roma e trasmessa in diretta su www.comunicazioneitaliana.tv, ha offerto spunti concreti su come le imprese possano integrare il welfare nelle proprie strategie, favorendo sostenibilità, engagement dei dipendenti e innovazione.
L'evento si è aperto con il Keynote Speech di Pluxee Italia, in cui Anna Maria Mazzini e Tommaso Palermo - rispettivamente Chief Growth Officer e Managing Director di Pluxee Italia - hanno evidenziato come il welfare aziendale stia evolvendo in una strategia collettiva, guidata dalla digitalizzazione e dalla crescente personalizzazione dei servizi. Attraverso dati e case study, è emerso come la tecnologia stia rivoluzionando la gestione del benessere dei dipendenti, rendendolo più accessibile ed efficace. Durante l’evento Pluxee ha presentato anche la nuova piattaforma welfare: un’innovazione che amplia l’offerta dei servizi offerti, basata su flessibilità, accessibilità e ampiezza del network.
Nel corso delle tre sessioni talk show, con la partecipazione di Chro, welfare manager e altre figure hr chiave di aziende del Paese, sono stati affrontati alcuni dei temi più rilevanti per il futuro del welfare. Nel primo, 'Welfare strategico: l’alleanza tra hr e business e la creazione di valore sostenibile', con la conduzione di Esther Intile di Enel Group, è stato approfondito il legame tra il welfare aziendale e la sostenibilità delle imprese. Tra i punti emersi, la necessità di un approccio integrato tra hr e business per massimizzare l’impatto positivo del welfare sulla produttività e sulla retention dei talenti.
Nel secondo panel, “Il ruolo dei benefit aziendali all'interno della strategia di welfare”, si è discusso di come i benefit siano passati da strumenti standardizzati a soluzioni sempre più personalizzate, grazie all’ascolto attivo delle esigenze dei dipendenti e all’uso di piattaforme digitali. Relatori e relatrici hanno sottolineato l'importanza di costruire un ecosistema aziendale basato sulla flessibilità e sull’inclusione, ma hanno anche posto l’accento su una criticità diffusa: troppi dipendenti non conoscono o non sfruttano i benefit a loro disposizione. Servono quindi strategie di comunicazione più efficaci per favorire un reale engagement.
Il terzo e ultimo talk show, “La centralità del welfare nelle strategie di attraction e retention”, ha posto l’attenzione sulla crescente importanza del welfare come strumento di attrazione e fidelizzazione dei talenti. Tra le best practice emerse, il rafforzamento di benefit legati alla salute, al sostegno alla genitorialità e al benessere psicologico, aspetti ormai fondamentali per le nuove generazioni di lavoratori.
La sfida è coniugare ascolto e personalizzazione, superando l’approccio one-size-fits-all e costruendo soluzioni di welfare sempre più dinamiche, scalabili e in linea con le nuove esigenze del mondo del lavoro. Un welfare aziendale davvero efficace non solo migliora il benessere di lavoratori e lavoratrici, ma genera un impatto positivo sull'intera organizzazione, contribuendo alla sostenibilità e alla crescita nel lungo periodo. Durante l’evento hanno condiviso la loro esperienza le seguenti aziende: Altergon Italia, Atac, Eidosmedia, Fater, Fedegroup, Fendi, Hewlett Packard Enterprise, Philip Morris International, Procter & Gamble, Rheinmetall Italia, Ria Money Transfer e Tim. L’evento potrà a breve essere riascoltato su www.comunicazione.tv. L’appuntamento con il Welfare day si rinnova per il 2026, con l’obiettivo di continuare a tracciare il futuro del welfare aziendale in Italia.