O Federica Mogherini o niente. Matteo Renzi arriva a Bruxelles al vertice che dovrebbe scegliere il ministro degli esteri Ue senza un piano b. “L’Italia chiede rispetto, non posizioni“, commenta il presidente del Consiglio non appena arrivato al vertice. Non c’è Massimo D’Alema, che in mattinata era sembrato un’alternativa spendibile, e non c’è Enrico Letta. Il nome dell’ex presidente del Consiglio era circolato nell’incontro del Ppe, ma subito è arrivata la smentita: “È un vecchio rumor”. I capi di Stato e di governo riuniti in serata dovrebbero decidere le nomine, ma quella che sembra ormai una certezza è che il vertice potrebbe concludersi con un nulla di fatto e un rinvio ad agosto. Il rischio per l’Italia è quello di prendere una porta in faccia due settimane dopo l’inizio del semestre europeo, quello che Renzi ha inaugurato con la metafora del selfie e di Telemaco. Il leader Pd potrebbe subire la prima sconfitta e per giunta in trasferta sulla nomina di Federica Mogherini: il ministro degli Esteri è al centro di un caso che il presidente Jean-Claude Juncker difficilmente vorrà veder diventare un suo problema.
Mogherini lascia perplessi in tanti. Troppo giovane, troppo inesperta e troppo gradita a Putin e “all’Est” per prendere il posto di Catherine Ashton come alto commissario per la politica estera, dice il Wall street Journal. Ed è esattamente quello che pensano i leader di 10-11 Paesi dell’Est Europa. Il Pse insiste: candida la Mogherini come “ministro degli Esteri” europeo e la premier danese Helle Thorning Schmidt alla carica di presidente del Consiglio europeo (cioè la riunione dei capi di Stato e di governo). Come dicono fonti del governo polacco (a indirizzo Ppe), “nessuno è pronto a morire per fermare la nomina della Mogherini”. Ma il fronte “anti” rischia di ingrossarsi. “Per l’alto rappresentante sottoscrivo in pieno quello che ha detto Juncker, e cioè che abbiamo bisogno di candidati con una buona esperienza – avverte il premier estone Taavi Roivas (liberale). Ma i dubbi sono saltati anche in qualche Paese “più occidentale”. Un altro liberale, il premier del Lussemburgo Xavier Bettel, si barcamena: “Ci sono vari nomi, è importante che tutti e 28 i Paesi si identifichino nella scelta”. Elmar Brok invece è un eurodeputato tedesco della Cdu di Angela Merkel, dice: “Abbiamo il problema che ora c’è una candidata italiana che non è propriamente dotata di forte esperienza in politica estera”. Cdu vuol dire Ppe e il Ppe è il partito che esprime il presidente Juncker e che ha fatto le larghe intese con il Pse. Il premier della Finlandia Alexander Stubb, minimizza: “Penso sia molto brava e competente. La chiave è trovare il giusto equilibrio tra grandi e piccoli paesi, tra nord e sud, tra vecchi e nuovi paesi, tra paesi dell’euro e non”. Anche Stubb fa parte del Ppe. E fonti dei popolari fanno sapere che “durante la discussione non sono stati fatti altri nomi oltre a quello della Mogherini”.
Alfano: “No ai veti, la proporrò alla riunione Ppe”
Chi dentro, tra i popolari europei, cerca di dare una mano, con una forza del 4% su base nazionale, il ministro dell’Interno Angelino Alfano. “La cosa certa è che l’Italia è in grado di guidare la politica estera europea: ogni veto, o stop all’Italia sarebbe inaccettabile. Questa è la posizione che sosterrò al vertice del Ppe. È decisivo affermare che la sinistra europea ha votato Juncker, noi come Ppe dobbiamo mantenere impegni e dire sì alla guida italiana a politica estera europea. Sono certo che prevarrà la linea dei sì”.
La carta D’Alema (per non rischiare di ritrovarsi Letta)
Per la gamba destra del governo, certamente, sarebbe meglio vedere la Mogherini a rappresentare l’Italia in Ue e di certo non l’altra carta messa sul tavolo dal presidente del Consiglio, come ha raccontato Repubblica, cioè uno dei leader storici della sinistra, Massimo D’Alema, ex presidente del Consiglio ed ex ministro degli Esteri. Il ragionamento sarebbe stato oggetto di una lunga serie di telefonate tra il premier italiano, Angela Merkel, Van Rompuy e Hollande. L’assunto è che il ruolo – dopo il via libera bipartisan a Juncker – spetta in primo luogo all’area socialista, e in secondo luogo all’Italia, stando al peso uscito dalle urne.
Ma soprattutto Renzi vuole decidere in prima persona e non subire un nome italiano scelto all’estero. In particolare il problema si chiama Enrico Letta, che in Europa è sempre piaciuto molto e che a Renzi non piace affatto. In mattinata l’ex capo del governo si è presentato a Montecitorio in punta di piedi scansando i cronisti e i parlamentari che lo interpellavano sull’argomento “nomine”. Scrive il corrispondente di Le Monde, Philippe Ridet, nel suo blog: “Due spiegazioni possono permettere di comprendere l’intestardirsi di Renzi”. La prima, sostiene Ridet, è che il presidente del Consiglio “non vuole sentire parlare, malgrado l’insistenza di molti suoi interlocutori di alto livello, di trovare un posto europeo al suo predecessore, Enrico Letta, perché teme che un giorno possa tornare da Bruxelles con un’aura di successo e avido di rivincita nei confronti di colui che l’ha spinto all’uscita: in queste condizioni, con la nomina della Mogherini o di Massimo D’Alema, l’Italia si riterrebbe ‘servita’, come si dice a poker, e passerebbe la mano per gli altri posti, anche se sono di maggiore visibilità o peso politico”.
“Le riforme vanno a rilento, Renzi ha bisogno di un successo”
La seconda ragione è di politica interna (che in Italia ha sempre il primo posto assoluto): “Di fronte alle riforme che si annunciano più complicate e lunghe del previsto da mettere in atto, Renzi deve strappare ‘qualche piccola cosa’ al più presto, per poter dimostrare agli italiani che hanno fatto bene a fidarsi di lui dandogli il 40,8% dei voti alle europee. In breve, il capo del governo si accontenterebbe di ottenere un posto per l’Italia, anche simbolico, purché arrivi presto e non lo occupi Enrico Letta”. Per il corrispondente di Le Monde, dunque, “l’ossessione di Renzi per imporre un italiano è misteriosa”.
Il Wall Street Journal: “Russia, Ucraina, gasdotti: ecco perché la Mogherini non va”
“Sarebbe semplice liquidare queste preoccupazioni come una paranoia baltica – scrive il Wall Street Journal del “caso Mogherini” – se non fosse per il fatto che Mogherini ha viaggiato in Russia poco dopo che l’Italia ha assunto la presidenza dell’Ue all’inizio del mese. Non ha aiutato la sua causa neanche il fatto che la visita ha spinto l’agenzia di stampa ufficiale russa Itar-Tass a pubblicare un articolo di commento dal tono ottimista”. Il Wsj cita anche la posizione della ministra italiana sul gasdotto South Stream, che dovrebbe portare il gas russo in Europa aggirando l’Ucraina. “Gli ucraini – si legge nell’editoriale di Sohrab Ahmari– vedono l’appoggio dato dagli italiani al progetto come un tradimento dell’offerta europea di una maggiore integrazione economica. Loro e i baltici credono che Roma stia usando la presidenza dell’Ue per avanzare i propri interessi piuttosto che l’imperativo della sicurezza collettiva”. “Ci sono molti motivi – conclude l’editorialista – per accogliere con favore la leadership del premier Renzi a Roma. Ma la prospettiva di una politica estera europea guidata da Mogherini non è uno di questi motivi”. Come a dire che l’Europa non può non considerare il peso politico del leader democratico dopo il voto del 25 maggio ma che difficilmente quel peso si potrà condensare nella candidatura del ministro degli Esteri, alla Farnesina da soli 5 mesi.
I dalemiani ringalluzziti: “Ma Massimo non è la ruota di scorta”
Non solo. Su D’Alema pesano molto, tuttavia, le posizioni storicamente “socialiste” nel conflitto in Medio Oriente che fanno storcere il naso soprattutto dall’altra parte dell’Atlantico. “E’ la cosa più sensata che ho sentito dire negli ultimi giorni. Massimo è la persona più autorevole per quel ruolo” commentano i dalemiani a Montecitorio, improvvisamente ringalluzziti. Tra Renzi e D’Alema è un rapporto di “amore e odio”. Fra i due in un certo frangente si raggiunse un patto: “Tu sarai il prossimo premier, ma il partito lo deve lasciare agli ex comunisti”. Un patto che ovviamente il giovanotto di Firenze non rispettò, promettendo comunque all’ex premier un ruolo di prestigio in Europa. Del resto, osa ripetere un gruppo di fedelissimi dell’ex premier, “è il personaggio della sinistra italiana più conosciuto ed è stimato fra i socialisti europei”. Ma l’endorsement di queste ore potrebbe essere una trappola. “Avremmo preferito che ci avesse pensato prima”. Tuttavia per tutta la mattinata il nome di “Massimo” circola di capannello in capannello. Con i cosiddetti dalemiani sempre attaccati al cellulare per cercare di capire se dietro si possa nascondere una trappola renziana. Del resto, è vero che “Massimo avrebbe un sostegno maggiore ma sarebbe una figura ingombrante e Renzi non mette mai in pista uno più bravo di lui”. Un atteggiamento, quello del premier, che non sarebbe affatto digerito da larga parte del gruppo parlamentare. “Mette in discussione il prestigio internazionale per una rivalsa personale”. “Enrico sta mantenendo un profilo bassissimo per giocarsi le ultime chances”. Ma il premier non ne vuol proprio sapere. Semmai in questa fase, rivelano a ilfattoquotidiano.it fonti autorevoli del Pd, “la partita la gioca più Prodi provando a spingere uno dei suoi uomini”. Oppure, ipotizza Pippo Civati, “se dovesse saltare con dispiacere la Mogherini, perché non Emma Bonino?”
Hanno collaborato Giuseppe Alberto Falci e Alessio Pisanò