“Il Servizio sanitario nazionale non può supportare ulteriori tagli, pena l’impossibilità di garantire i livelli di assistenza e quindi l’equità nell’accesso alle prestazioni socio-sanitarie. Pertanto, eventuali risorse recuperate attraverso misure di razionalizzazione della spesa dovranno essere destinate al miglioramento dei servizi sanitari”. Mette il dito nella piaga il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sul Sistema sanitario nazionale (Ssn), svolta congiuntamente dalle commissioni Bilancio e Affari sociali della Camera, presentata giovedì a Montecitorio. Che, oltre a fotografare dettagliatamente la situazione con le sue luci e ombre, non manca di formulare proposte per il futuro. Tra quali, oltre all’annosa questione del ticket sanitario, trova un ampio spazio l’ipotesi di un ruolo sempre più crescente per le compagnie assicurative, che si affianca, questa volta però in un ambito più istituzionale, alle ipotesi formulate nei giorni scorsi nell’ambito della presentazione del rapporto Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali di Censis e Unipol. Quello cioè che spingeva per “le proposte, di alcuni operatori privati, in primis Unipol, di attivare fondi sanitari integrativi di tipo territoriale, con una forte compartecipazione degli Enti locali”, che avevano prontamente suscitato il plauso del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin.
Una spesa sanitaria “tra le più basse dei Paesi avanzati” – Per quanto rigarda lo stato dell’arte, il documento delle Commissioni di Montecitorio sottolinea come “le azioni messe in campo per il controllo della spesa sanitaria hanno prodotto risultati significativi dal punto di vista economico-fìnanziario, tanto che nel 2012 tale spesa si è attestata a quota 110,8 miliardi di euro, facendo registrare, per il secondo anno consecutivo, una riduzione in termini nominali (pari allo 0,7 per cento contro lo 0,8 per cento dell’anno precedente). La spesa del comparto rappresenta comunque una quota significativa della spesa pubblica al netto degli interessi: circa il 15,5 per cento. Si tratta di un aggregato di spesa che, per altro, non trova separata evidenziazione nell’ambito della contabilità nazionale, ma è dato dalla somma delle diverse tipologie di spesa riconducibili al settore sanitario e, principalmente, ai costi del personale, facenti parte dell’aggregato redditi da lavoro dipendente, e alle spese per l’acquisto di beni e servizi, contabilizzati nei consumi intermedi”.
In termini di rapporto con il Prodotto interno lordo, secondo i dati Istat la spesa sanitaria pubblica si situa su un valore pari al 7,1 per cento del Pil nel 2012. “Tale percentuale sale, sempre nel 2012, a circa il 9,2 per cento con riguardo alla spesa sanitaria complessiva (che considera anche la componente di spesa sanitaria privata, cifrabile intorno ai 30 miliardi) e risulta tra le più basse dei paesi avanzati, attestandosi sia sotto la media OCSE, pari al 9,3 per cento, sia sotto quella dei Paesi UE-15, pari al 10 per cento”. Per quanto riguarda invece l’apporto pubblico, “il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale cui concorre ordinariamente lo Stato per l’anno 2013 è stato determinato in 107.004,50 milioni di euro. Per altro, negli ultimi anni, alla riduzione delle risorse destinate al Fondo sanitario nazionale si è sommata la riduzione di quelle per le politiche socio-assistenziali e per le non autosufficienze“. Tutto ciò, sottolineano le Commissioni, “ha fatto emergere la piena consapevolezza che il Servizio sanitario nazionale non può sopportare ulteriori definanziamenti, pena l’impossibilità di garantire i livelli di assistenza e quindi l’equità nell’accesso alle prestazioni socio-sanitarie. Pertanto, eventuali risorse recuperate attraverso misure di razionalizzazione della spesa dovranno essere destinate al miglioramento dei servizi sanitari”.
“Basta tagli lineari, serve un cambiamento di metodo” – Tanto più che “nel corso dell’indagine conoscitiva, la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha lamentato, sia a causa delle misure di contenimento della spesa di cui si dirà tra breve, sia a causa della riduzione del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, una contrazione delle risorse destinate dallo Stato alle regioni pari a circa 31 miliardi e 553 milioni di euro nel periodo 2011-2015″. Ma se da un lato “non appare ragionevole pensare ad un reperimento di ulteriori risorse da destinare al finanziamento del Servizio, d’altro lato non sembra nemmeno possibile tagliare ancora risorse al settore della sanità, né è più pensabile ricorrere ulteriormente alla logica del taglio lineare, poiché essa ha obbligato il sistema e le regioni ad intervenire indistintamente su alcuni settori che non necessariamente rappresentano punti di debolezza o fattori di spreco”. I tagli lineari, spiegano ancora le Commissioni, “non possono essere il rimedio per tutte le necessità né la giusta medicina per affrontare il tema degli sprechi; le risorse necessarie devono invece essere reperite tenendo conto delle differenti capacità organizzative, culturali, nonché degli sforzi e dei successi già ottenuti negli anni dalle singole realtà regionali”. In sostanza, è necessario un “cambiamento di metodo, impostando il tema del contenimento della spesa non in termini di tagli (riduzione del livello e del volume dei servizi) ma in termini di razionalizzazione della spesa, vale a dire spendere meno con gli stessi fattori produttivi, prevedendo misure premiali non solo per le regioni che abbiano avviato percorsi virtuosi di rientro dal deficit sanitario, ma anche per quelle sottoposte a piani di rientro che abbiano intrapreso processi efficaci di riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali in grado di rispondere in modo appropriato ai bisogni di cura e di salute dei cittadini”.
Il futuro del ticket – Tra le altre proposte, invece di un innalzamento del ticket sanitario, le commissioni propongono “la fissazione di una franchigia, calcolata in percentuale al reddito, fino al concorrere della quale si dovrà pagare interamente secondo le attuali tariffe ogni prestazione fruita nel corso dell’anno. Superata la franchigia, che potrebbe essere anche progressiva – le prestazioni sarebbero invece gratuite o con minime forme di compartecipazione ad effetto dissuasivo e comunque legate a percorsi di appropriatezza clinica”. Dunque, secondo questo sistema, si dovrebbe pagare ogni prestazione fino al raggiungimento di un tetto massimo, variabile in base al reddito, superato il quale le prestazioni diventerebbero gratuite o compartecipate.
Alla base della proposta un’articolata analisi che ricorda come la vigente legislazione nazionale prevede per le prestazioni di assistenza specialistica l’applicazione di un ticket pari al valore della prestazione fino ad un massimo di 36,15 euro, “con ampie categorie di esenzione, per patologie e per reddito, tanto che circa il 70 per cento delle prestazioni viene fruita da assistiti esenti”. In particolare per l’assistenza farmaceutica l’eventuale applicazione di un ticket è demandata alle regioni. “La maggior parte delle regioni ha disposto l’applicazione del ticket, generalmente di importo pari a 2 euro per ogni farmaco a carico del SSN, prevedendo al contempo ampie categorie di cittadini esenti. Il gettito complessivo dei predetti ticket è pari a circa 2,9 miliardi di euro annui: circa 2,3 per la specialistica e circa 0,6 per l’assistenza farmaceutica”. Nel corso dell’indagine conoscitiva, tuttavia, “è stato riscontrato come l’innalzamento dei ticket sulla specialistica piuttosto che ridurre il numero delle prestazioni le abbia invece trasferite sul settore privato, posto che la compartecipazione per alcune prestazioni è risultata addirittura più onerosa del loro stesso prezzo, facendo così venir meno il gettito atteso”.
Non solo: “la problematica dei crescenti importi dei ticket contribuisce, per coloro che preferiscono rivolgersi al privato, al crescente fenomeno della spesa privata” che ammonta a circa 30,3 miliardi “costituendo in tal modo una percentuale rilevante della spesa sanitaria complessiva, e con una presenza molto più elevata in alcuni settori, quali quello delle cure odontoiatriche“. E’ stato tra l’altro segnalato come “tale spesa venga a determinare un aumento delle differenze nella tutela della salute al crescere del reddito, rivestendo per tale profilo una natura regressiva, in quanto dà luogo ad una offerta di prestazioni crescente all’aumentare del reddito del richiedente”. Essa, inoltre, “pur collocandosi su un livello non dissimile da quella di altri Paesi europei, è nel nostro Paese quasi per l’intero out of pocket,mentre altrove è in buona parte intermediata da assicurazioni e fondi. Si tratta di una spesa che, in quanto out of pocket, è individuale (spesso cash), e non ha pertanto alcun potere contrattuale nei confronti degli enti erogatori”.
Incentivare il ruolo delle assicurazioni con defiscalizzazioni – E qui si passa a un’altra proposta delle Commissioni: incentivare la sanità integrativa. “Un ultimo tipo di proposte, per aumentare l’efficienza del sistema sanitario, su cui molti degli auditi hanno convenuto, verte sull’incentivazione della sanità integrativa costituita da fondi integrativi, polizze assicurative, collettive ed individuali”. La richiesta, recita il documento “è di una maggior defiscalizzazione, i cui oneri per l’erario troverebbero compensazione nella minor pressione che la polizza sanitaria può determinare sulla richiesta di prestazioni pubbliche, diminuendo il numero di prestazioni erogabili dal sistema”. Secondo le Commissioni, poi, “una maggior presenza dei fondi integrativi, in quanto pagata dai fondi e dalle polizze, a fronte del versamento del premio assicurativo da parte dell’interessato, riduce la spesa privata out of pocket che, come prima detto, presenta effetti regressivi”.
Il ragionamento è in dettaglio questo. “La necessità di riorganizzare la spesa sanitaria privata mediante idonee forme assicurative deriva anche dalla diffusa percezione dell’insostenibilità del prelievo sia per le imprese (Irap) che per i cittadini (addizionali Irpef) nelle regioni sottoposte a piani di rientro. Tale riorganizzazione potrebbe operarsi aumentando la convenienza fiscale nei confronti dei fondi – posto che le imprese non godono di alcun vantaggio fiscale per i contributi versati ai fondi – in modo che questi arrivino ad una massa critica ed intermedino più spesa privata. In questo modo, i fondi, oltre ad intervenire necessariamente a fronte di fatturazione, raggiungendo una certa massa critica, potrebbero giungere ad avere un potere contrattuale nei confronti degli enti erogatori”, sostiene il documento.
Secondo il quale “ciò potrebbe consentire una maggior sostenibilità fiscale, una maggior equità sociale, in termini di attenuazione degli effetti regressivi della spesa privata individuale, di cui prima si è detto, e una miglior efficienza delle prestazioni del sistema se il predetto potere contrattuale divenisse significativo. In questo ambito è stata quindi richiesta una intensificazione degli sforzi per una progressiva messa a punto di sistemi complementari di intervento, ad esempio affiancando agli esistenti fondi integrativi – comunque da meglio sviluppare, come ripetutamente richiesto nel corso delle audizioni – un maggior ruolo ai fondi assicurativi “aperti”, sul modello seguito da altri Paesi dell’Unione europea, al fine di mantenere la piena copertura sanitaria anche in quelle aree che il sistema attuale dovesse non riuscire a coprire”.
Il tema dei fondi assicurativi presenta ovviamente anche diversi profili problematici, è l’ammissione, “atteso che essi danno luogo, per come attualmente composti, ad una segmentazione della popolazione protetta, che determina una differenziazione delle tutele offerte dal sistema. Essi inoltre presentano frequentemente forme di autotutela, in termini di franchigie, massimali ed altro, tese a scoraggiare taluni tipi di richiesta di prestazioni, nonché, si potrebbe dire, di selezione avversa – con riguardo alla cronicità, alle situazioni di long term care, di accesso oltre elevate soglie di età – meritevoli di approfondimento da parte del legislatore nel momento in cui si dovesse procedere ad un ampliamento del ruolo dei fondi stessi”. Sopra a tutto, però, secondo i deputati “la possibilità di ricorrere alla sanità integrativa dovrebbe comunque essere affrontata senza pregiudizi ideologici e valutando preventivamente con molta attenzione i costi e i benefici derivanti dal ricorso a tale soluzione”.
Prevenire, innovare, controllare – Gli altri punti non secondari toccati dal documento parlano di aumento degli investimenti in prevenzione primaria, innovazione e ammodernamento delle strutture e delle tecnologie, informatizzazione del sistema sanitario e migliore utilizzo dei dati, maggiore rapidità e omogeneità nell’accessibilità ai farmaci innovativi, aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), incremento dell’attività della Consip, un’azione di coordinamento a livello centrale più forte e mirata di quella prevista e attuata con la riforma del Titolo V.
Su quest’ultimo tema le commissioni propongono di assegnare allo Stato la definizione degli standard, degli obiettivi di salute da raggiungere, e il controllo riguardo all’erogazione dei Lea; alle Regioni spetterebbe così un ruolo di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari. Le commissioni chiedono inoltre “maggiore autonomia delle aziende in presenza di difficoltà sul lato delle risorse, al fine di gestire nel modo migliore possibile ed in modo flessibile i fattori produttivi disponibili, puntando, ad esempio, più sui vincoli, sulla responsabilizzazione e sulla verifica dei risultati sia sotto il profilo economico-finanziario sia dal punto di vista dell’efficienza e dell’efficacia dei servizi offerti”.
“L’assistenza di domani non può essere più progettata per una popolazione di ‘pazienti acuti‘, ma sempre più dovrà prestare attenzione all’attività di presa in carico nel territorio del ‘paziente cronico’ – si legge infine – Bisogna dunque superare la logica ospedalo-centrica a favore della domiciliarizzazione di strutture intermedie, vale a dire luoghi sanitari di prossimità dotati di una piccola equipe multiprofessionale, che consenta all’ospedale di divenire il luogo dell’intesività assistenziale, e non più, come spesso avviene ora, la struttura di intervento generalista”.
“L’istituzione, quasi quarant’anni fa, del Servizio sanitario nazionale ha rappresentato un punto di svolta nel modo di concepire la sanità e il suo rapporto con gli italiani. Nato per garantire l’universalità e l’equità delle cure, al Nord come al Sud, ai ricchi come ai poveri, questo strumento va oggi ripensato se si vogliono conseguire gli obiettivi che hanno ispirato la sua costituzione”, è stato uno dei commenti del presidente della Camera, Laura Boldrini. “Innovazione strutturale e tecnologica, omogeneità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, lotta agli sprechi e alla corruzione costituiscono le direttrici da seguire – ha aggiunto Boldrini – per una riforma del sistema sanitario non più procrastinabile, necessaria a garantire standard qualitativi nell’offerta di prestazioni sanitarie compatibili con il diritto alla salute, riconosciuto dalla nostra Costituzione“. Tanto più che, secondo l’analisi, l‘illegalità e la corruzione rappresentano all’incirca il 5-6 per cento della spesa sanitaria (cioè circa 5-6 miliardi di euro), “un fenomeno preoccupante che non solo incide sull’efficienza e sull’equità dei servizi, ma che mina alla radice il rapporto di fiducia tra istituzioni e i cittadini, in un settore essenziale per la vita del Paese quale quello sanitario”
Lobby
Sanità, Commissioni Camera: “Ticket parametrato a reddito. Incentivare assicurazioni”
Si va oltre la proposta Unipol-Censis ipotizzando il sostengo alla previdenza integrativa con forme di defiscalizzazione. Boldrini: "Si faccia riforma, ma su omogeneità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, lotta agli sprechi e alla corruzione". L'illegalità rappresenta il 5-6 per cento della spesa sanitaria nazionale, cioè circa 5-6 miliardi di euro
“Il Servizio sanitario nazionale non può supportare ulteriori tagli, pena l’impossibilità di garantire i livelli di assistenza e quindi l’equità nell’accesso alle prestazioni socio-sanitarie. Pertanto, eventuali risorse recuperate attraverso misure di razionalizzazione della spesa dovranno essere destinate al miglioramento dei servizi sanitari”. Mette il dito nella piaga il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sul Sistema sanitario nazionale (Ssn), svolta congiuntamente dalle commissioni Bilancio e Affari sociali della Camera, presentata giovedì a Montecitorio. Che, oltre a fotografare dettagliatamente la situazione con le sue luci e ombre, non manca di formulare proposte per il futuro. Tra quali, oltre all’annosa questione del ticket sanitario, trova un ampio spazio l’ipotesi di un ruolo sempre più crescente per le compagnie assicurative, che si affianca, questa volta però in un ambito più istituzionale, alle ipotesi formulate nei giorni scorsi nell’ambito della presentazione del rapporto Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali di Censis e Unipol. Quello cioè che spingeva per “le proposte, di alcuni operatori privati, in primis Unipol, di attivare fondi sanitari integrativi di tipo territoriale, con una forte compartecipazione degli Enti locali”, che avevano prontamente suscitato il plauso del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin.
Una spesa sanitaria “tra le più basse dei Paesi avanzati” – Per quanto rigarda lo stato dell’arte, il documento delle Commissioni di Montecitorio sottolinea come “le azioni messe in campo per il controllo della spesa sanitaria hanno prodotto risultati significativi dal punto di vista economico-fìnanziario, tanto che nel 2012 tale spesa si è attestata a quota 110,8 miliardi di euro, facendo registrare, per il secondo anno consecutivo, una riduzione in termini nominali (pari allo 0,7 per cento contro lo 0,8 per cento dell’anno precedente). La spesa del comparto rappresenta comunque una quota significativa della spesa pubblica al netto degli interessi: circa il 15,5 per cento. Si tratta di un aggregato di spesa che, per altro, non trova separata evidenziazione nell’ambito della contabilità nazionale, ma è dato dalla somma delle diverse tipologie di spesa riconducibili al settore sanitario e, principalmente, ai costi del personale, facenti parte dell’aggregato redditi da lavoro dipendente, e alle spese per l’acquisto di beni e servizi, contabilizzati nei consumi intermedi”.
In termini di rapporto con il Prodotto interno lordo, secondo i dati Istat la spesa sanitaria pubblica si situa su un valore pari al 7,1 per cento del Pil nel 2012. “Tale percentuale sale, sempre nel 2012, a circa il 9,2 per cento con riguardo alla spesa sanitaria complessiva (che considera anche la componente di spesa sanitaria privata, cifrabile intorno ai 30 miliardi) e risulta tra le più basse dei paesi avanzati, attestandosi sia sotto la media OCSE, pari al 9,3 per cento, sia sotto quella dei Paesi UE-15, pari al 10 per cento”. Per quanto riguarda invece l’apporto pubblico, “il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale cui concorre ordinariamente lo Stato per l’anno 2013 è stato determinato in 107.004,50 milioni di euro. Per altro, negli ultimi anni, alla riduzione delle risorse destinate al Fondo sanitario nazionale si è sommata la riduzione di quelle per le politiche socio-assistenziali e per le non autosufficienze“. Tutto ciò, sottolineano le Commissioni, “ha fatto emergere la piena consapevolezza che il Servizio sanitario nazionale non può sopportare ulteriori definanziamenti, pena l’impossibilità di garantire i livelli di assistenza e quindi l’equità nell’accesso alle prestazioni socio-sanitarie. Pertanto, eventuali risorse recuperate attraverso misure di razionalizzazione della spesa dovranno essere destinate al miglioramento dei servizi sanitari”.
“Basta tagli lineari, serve un cambiamento di metodo” – Tanto più che “nel corso dell’indagine conoscitiva, la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha lamentato, sia a causa delle misure di contenimento della spesa di cui si dirà tra breve, sia a causa della riduzione del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, una contrazione delle risorse destinate dallo Stato alle regioni pari a circa 31 miliardi e 553 milioni di euro nel periodo 2011-2015″. Ma se da un lato “non appare ragionevole pensare ad un reperimento di ulteriori risorse da destinare al finanziamento del Servizio, d’altro lato non sembra nemmeno possibile tagliare ancora risorse al settore della sanità, né è più pensabile ricorrere ulteriormente alla logica del taglio lineare, poiché essa ha obbligato il sistema e le regioni ad intervenire indistintamente su alcuni settori che non necessariamente rappresentano punti di debolezza o fattori di spreco”. I tagli lineari, spiegano ancora le Commissioni, “non possono essere il rimedio per tutte le necessità né la giusta medicina per affrontare il tema degli sprechi; le risorse necessarie devono invece essere reperite tenendo conto delle differenti capacità organizzative, culturali, nonché degli sforzi e dei successi già ottenuti negli anni dalle singole realtà regionali”. In sostanza, è necessario un “cambiamento di metodo, impostando il tema del contenimento della spesa non in termini di tagli (riduzione del livello e del volume dei servizi) ma in termini di razionalizzazione della spesa, vale a dire spendere meno con gli stessi fattori produttivi, prevedendo misure premiali non solo per le regioni che abbiano avviato percorsi virtuosi di rientro dal deficit sanitario, ma anche per quelle sottoposte a piani di rientro che abbiano intrapreso processi efficaci di riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali in grado di rispondere in modo appropriato ai bisogni di cura e di salute dei cittadini”.
Il futuro del ticket – Tra le altre proposte, invece di un innalzamento del ticket sanitario, le commissioni propongono “la fissazione di una franchigia, calcolata in percentuale al reddito, fino al concorrere della quale si dovrà pagare interamente secondo le attuali tariffe ogni prestazione fruita nel corso dell’anno. Superata la franchigia, che potrebbe essere anche progressiva – le prestazioni sarebbero invece gratuite o con minime forme di compartecipazione ad effetto dissuasivo e comunque legate a percorsi di appropriatezza clinica”. Dunque, secondo questo sistema, si dovrebbe pagare ogni prestazione fino al raggiungimento di un tetto massimo, variabile in base al reddito, superato il quale le prestazioni diventerebbero gratuite o compartecipate.
Alla base della proposta un’articolata analisi che ricorda come la vigente legislazione nazionale prevede per le prestazioni di assistenza specialistica l’applicazione di un ticket pari al valore della prestazione fino ad un massimo di 36,15 euro, “con ampie categorie di esenzione, per patologie e per reddito, tanto che circa il 70 per cento delle prestazioni viene fruita da assistiti esenti”. In particolare per l’assistenza farmaceutica l’eventuale applicazione di un ticket è demandata alle regioni. “La maggior parte delle regioni ha disposto l’applicazione del ticket, generalmente di importo pari a 2 euro per ogni farmaco a carico del SSN, prevedendo al contempo ampie categorie di cittadini esenti. Il gettito complessivo dei predetti ticket è pari a circa 2,9 miliardi di euro annui: circa 2,3 per la specialistica e circa 0,6 per l’assistenza farmaceutica”. Nel corso dell’indagine conoscitiva, tuttavia, “è stato riscontrato come l’innalzamento dei ticket sulla specialistica piuttosto che ridurre il numero delle prestazioni le abbia invece trasferite sul settore privato, posto che la compartecipazione per alcune prestazioni è risultata addirittura più onerosa del loro stesso prezzo, facendo così venir meno il gettito atteso”.
Non solo: “la problematica dei crescenti importi dei ticket contribuisce, per coloro che preferiscono rivolgersi al privato, al crescente fenomeno della spesa privata” che ammonta a circa 30,3 miliardi “costituendo in tal modo una percentuale rilevante della spesa sanitaria complessiva, e con una presenza molto più elevata in alcuni settori, quali quello delle cure odontoiatriche“. E’ stato tra l’altro segnalato come “tale spesa venga a determinare un aumento delle differenze nella tutela della salute al crescere del reddito, rivestendo per tale profilo una natura regressiva, in quanto dà luogo ad una offerta di prestazioni crescente all’aumentare del reddito del richiedente”. Essa, inoltre, “pur collocandosi su un livello non dissimile da quella di altri Paesi europei, è nel nostro Paese quasi per l’intero out of pocket,mentre altrove è in buona parte intermediata da assicurazioni e fondi. Si tratta di una spesa che, in quanto out of pocket, è individuale (spesso cash), e non ha pertanto alcun potere contrattuale nei confronti degli enti erogatori”.
Incentivare il ruolo delle assicurazioni con defiscalizzazioni – E qui si passa a un’altra proposta delle Commissioni: incentivare la sanità integrativa. “Un ultimo tipo di proposte, per aumentare l’efficienza del sistema sanitario, su cui molti degli auditi hanno convenuto, verte sull’incentivazione della sanità integrativa costituita da fondi integrativi, polizze assicurative, collettive ed individuali”. La richiesta, recita il documento “è di una maggior defiscalizzazione, i cui oneri per l’erario troverebbero compensazione nella minor pressione che la polizza sanitaria può determinare sulla richiesta di prestazioni pubbliche, diminuendo il numero di prestazioni erogabili dal sistema”. Secondo le Commissioni, poi, “una maggior presenza dei fondi integrativi, in quanto pagata dai fondi e dalle polizze, a fronte del versamento del premio assicurativo da parte dell’interessato, riduce la spesa privata out of pocket che, come prima detto, presenta effetti regressivi”.
Il ragionamento è in dettaglio questo. “La necessità di riorganizzare la spesa sanitaria privata mediante idonee forme assicurative deriva anche dalla diffusa percezione dell’insostenibilità del prelievo sia per le imprese (Irap) che per i cittadini (addizionali Irpef) nelle regioni sottoposte a piani di rientro. Tale riorganizzazione potrebbe operarsi aumentando la convenienza fiscale nei confronti dei fondi – posto che le imprese non godono di alcun vantaggio fiscale per i contributi versati ai fondi – in modo che questi arrivino ad una massa critica ed intermedino più spesa privata. In questo modo, i fondi, oltre ad intervenire necessariamente a fronte di fatturazione, raggiungendo una certa massa critica, potrebbero giungere ad avere un potere contrattuale nei confronti degli enti erogatori”, sostiene il documento.
Secondo il quale “ciò potrebbe consentire una maggior sostenibilità fiscale, una maggior equità sociale, in termini di attenuazione degli effetti regressivi della spesa privata individuale, di cui prima si è detto, e una miglior efficienza delle prestazioni del sistema se il predetto potere contrattuale divenisse significativo. In questo ambito è stata quindi richiesta una intensificazione degli sforzi per una progressiva messa a punto di sistemi complementari di intervento, ad esempio affiancando agli esistenti fondi integrativi – comunque da meglio sviluppare, come ripetutamente richiesto nel corso delle audizioni – un maggior ruolo ai fondi assicurativi “aperti”, sul modello seguito da altri Paesi dell’Unione europea, al fine di mantenere la piena copertura sanitaria anche in quelle aree che il sistema attuale dovesse non riuscire a coprire”.
Il tema dei fondi assicurativi presenta ovviamente anche diversi profili problematici, è l’ammissione, “atteso che essi danno luogo, per come attualmente composti, ad una segmentazione della popolazione protetta, che determina una differenziazione delle tutele offerte dal sistema. Essi inoltre presentano frequentemente forme di autotutela, in termini di franchigie, massimali ed altro, tese a scoraggiare taluni tipi di richiesta di prestazioni, nonché, si potrebbe dire, di selezione avversa – con riguardo alla cronicità, alle situazioni di long term care, di accesso oltre elevate soglie di età – meritevoli di approfondimento da parte del legislatore nel momento in cui si dovesse procedere ad un ampliamento del ruolo dei fondi stessi”. Sopra a tutto, però, secondo i deputati “la possibilità di ricorrere alla sanità integrativa dovrebbe comunque essere affrontata senza pregiudizi ideologici e valutando preventivamente con molta attenzione i costi e i benefici derivanti dal ricorso a tale soluzione”.
Prevenire, innovare, controllare – Gli altri punti non secondari toccati dal documento parlano di aumento degli investimenti in prevenzione primaria, innovazione e ammodernamento delle strutture e delle tecnologie, informatizzazione del sistema sanitario e migliore utilizzo dei dati, maggiore rapidità e omogeneità nell’accessibilità ai farmaci innovativi, aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), incremento dell’attività della Consip, un’azione di coordinamento a livello centrale più forte e mirata di quella prevista e attuata con la riforma del Titolo V.
Su quest’ultimo tema le commissioni propongono di assegnare allo Stato la definizione degli standard, degli obiettivi di salute da raggiungere, e il controllo riguardo all’erogazione dei Lea; alle Regioni spetterebbe così un ruolo di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari. Le commissioni chiedono inoltre “maggiore autonomia delle aziende in presenza di difficoltà sul lato delle risorse, al fine di gestire nel modo migliore possibile ed in modo flessibile i fattori produttivi disponibili, puntando, ad esempio, più sui vincoli, sulla responsabilizzazione e sulla verifica dei risultati sia sotto il profilo economico-finanziario sia dal punto di vista dell’efficienza e dell’efficacia dei servizi offerti”.
“L’assistenza di domani non può essere più progettata per una popolazione di ‘pazienti acuti‘, ma sempre più dovrà prestare attenzione all’attività di presa in carico nel territorio del ‘paziente cronico’ – si legge infine – Bisogna dunque superare la logica ospedalo-centrica a favore della domiciliarizzazione di strutture intermedie, vale a dire luoghi sanitari di prossimità dotati di una piccola equipe multiprofessionale, che consenta all’ospedale di divenire il luogo dell’intesività assistenziale, e non più, come spesso avviene ora, la struttura di intervento generalista”.
“L’istituzione, quasi quarant’anni fa, del Servizio sanitario nazionale ha rappresentato un punto di svolta nel modo di concepire la sanità e il suo rapporto con gli italiani. Nato per garantire l’universalità e l’equità delle cure, al Nord come al Sud, ai ricchi come ai poveri, questo strumento va oggi ripensato se si vogliono conseguire gli obiettivi che hanno ispirato la sua costituzione”, è stato uno dei commenti del presidente della Camera, Laura Boldrini. “Innovazione strutturale e tecnologica, omogeneità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, lotta agli sprechi e alla corruzione costituiscono le direttrici da seguire – ha aggiunto Boldrini – per una riforma del sistema sanitario non più procrastinabile, necessaria a garantire standard qualitativi nell’offerta di prestazioni sanitarie compatibili con il diritto alla salute, riconosciuto dalla nostra Costituzione“. Tanto più che, secondo l’analisi, l‘illegalità e la corruzione rappresentano all’incirca il 5-6 per cento della spesa sanitaria (cioè circa 5-6 miliardi di euro), “un fenomeno preoccupante che non solo incide sull’efficienza e sull’equità dei servizi, ma che mina alla radice il rapporto di fiducia tra istituzioni e i cittadini, in un settore essenziale per la vita del Paese quale quello sanitario”
Articolo Precedente
Snam, per la procura “Italgas sapeva che suo fornitore era vicino a Cosa Nostra”
Articolo Successivo
Poste, deputati M5S: “Non è un bancomat per ripianare le perdite Alitalia”
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Politica
Riarmo, il Pd si spacca, Schlein: ‘Restiamo contrari’. Fronda dem: ‘Serve un confronto’. M5s compatto: ‘Noi coerenti’. Destra divisa: FdI e FI per il sì, Lega vota no
Zonaeuro
Dall’Ue via libera al riarmo di von der Leyen e critiche a Trump: “Bisogna inviare più armi a Kiev”
Politica
I vescovi: “No ai tamburi di guerra, l’Europa recuperi una voce di pace. Investire sullo sviluppo sostenibile”
Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - "Affronterò il processo con la massima serenità e con la consapevolezza di poter dimostrare la correttezza del mio operato, avendo sempre agito nel pieno rispetto del regolamento previsto dall’Assemblea Regionale Siciliana. Non ho mai, nella mia vita, sottratto un solo centesimo in modo indebito e confido che nel corso del giudizio emergerà la verità, restituendo chiarezza e trasparenza alla mia posizione. Resto fiducioso nella giustizia e determinato a far valere le mie ragioni con il rispetto e la serietà che ho sempre riservato alle istituzioni". Così Gianfranco Miccichè, rinviato a giudizio per l'uso dell'auto blu, commenta il processo che partirà a luglio. "Sono però amareggiato da quanto la stampa riporta sul fatto che, secondo il pm avrei arraffato quanto più possibile- dice - Nella mia vita non ho mai arraffato alcun che e su questo pretendo rispetto da parte di tutti".
Palermo, 12 mar. (Adnkronos) - L'ex Presidente dell'Assemblea regionale siciliana Gianfranco Miccichè è stato rinviato a giudizio con l'accuaa di peculato e concorso in truffa aggravata il. La prima udienza del processo si terrà il 7 luglio davanti alla terza sezione del tribunale di Palermo. Secondo l'accusa il politico, ex viceministro dell'Economia, avrebbe usato l'auto blu in dotazione, in quanto ex Presidente dell'Ars, per fini personali. In particolare avrebbe usato, non per fini istituzionali, l’Audi della Regione, per una trentina di volte, tra marzo e novembre del 2023, anche per fare visite mediche, e persino per andare dal veterinario con il gatto. Avrebbe fatto salire sull'auto anche componenti della sua segreteria e familiari.
Il suo ex autista, Maurizio Messina, che ha scelto il rito abbreviato, è stato invece condannato dal giudice per l’udienza preliminare Marco Gaeta a un anno e mezzo di carcere per truffa, più sei mesi con l'accusa di avere sottratto la somma che gli era stata sequestrata durante le indagini.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - La Corte di Assise di Appello di Milano ha assolto, ribaltando la sentenza a sette anni inflitta in primo grado, Salvatore Pace per il concorso nell'omicidio di Umberto Mormile, l'educatore del carcere di Opera ammazzato l'11 aprile 1990. Il delitto fu rivendicato dalla Falange Armata, organizzazione terroristica sulla quale gravitavano mafiosi, 'ndranghetista e componenti dei servizi segreti deviati. Mormile, 34 anni, venne assassinato a Carpiano, nel Milanese, mentre andava al lavoro, quando due individui in sella a una moto esplosero contro di lui sei colpi di pistola. Secondo l'accusa, Pace, 69 anni, diventato collaboratore di giustizia, si sarebbe messo a disposizione dei mandanti dell'omicidio. "Attendo di leggere le motivazioni" è il commento dell'avvocato Fabio Rapici, legale di alcuni dei familiari della vittima.
Roma, 12 mar (Adnkronos) - La Difesa europea non salva il Pd. Anzi, lo spacca. A Strasburgo, al momento del voto sul piano ReArmEu, gli europarlamentari dem si sono divisi: 10 favorevoli e 11 astenuti. Non un banale testa a testa, che già sarebbe una notizia, ma una spaccatura politica. La prima, almeno così evidente, nella gestione di Elly Schlein. I riformisti dem, infatti, si sono tutti schierati per il sì. Mentre sino all'ultimo istante il capo delegazione Nicola Zingaretti ha lavorato per portare il gruppo sull'astensione in modo da disinnescare ogni tentazione a votare no. Ma la frattura non si è ricomposta.
Dopo il voto, la segretaria dem ha tenuto il punto, confermando le "molte critiche" avanzate su ReArmEu: "Quel piano va cambiato" e per farlo "continueremo a impegnarci ogni giorno", ha detto tra le altre cose. Ma l'onda del voto sulla Difesa Ue è arrivata fino al Nazareno, aprendo una discussione interna al partito in cui è riemersa anche la parola 'magica' Congresso. La foto di Strasburgo, del resto, è netta. Per il sì si sono schierati Stefano Bonaccini (il presidente del partito), Antonio Decaro, Giorgio Gori, Elisabetta Gualmini, Giuseppe Lupo, Pierfrancesco Maran, Alessandra Moretti, Pina Picierno, Irene Tinagli, Raffaele Topo.
Tra gli astenuti Zingaretti, Lucia Annunziata, Brando Benifei, Annalisa Corrado, Camilla Laureti, Dario Nardella, Matteo Ricci, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada, Marco Tarquinio, Alessandro Zan. Dalle tabelle dell'aula emerge tra l'altro che nel gruppo S&D gli unici ad astenersi sono stati gli italiani più un bulgaro, un irlandese e uno sloveno. Per non farsi mancare nulla, c'è stato anche il 'giallo' Annunziata, inizialmente conteggiata tra i sì e poi conteggiata come astenuta.
(Adnkronos) - Mentre a Strasburgo i più maliziosi hanno enfatizzato non solo la presenza di Nardella tra gli astenuti, ma soprattutto quella di Strada e Tarquinio: apertamente contrari al Piano Ue, alla vigilia erano dati certi tra i no. "C'è stato l'aiutino per non far vincere il sì", ha valutato un eurodeputato dem. Lo stesso Tarquinio, del resto, a Un giorno da pecora ha ammesso: "Se avessi votato no sarebbe mancato quel po' di più che ha consentito alla delegazione Pd di avere la maggioranza pro Elly Schlein".
"E' stata sconfitta la linea dell'astensione? E' stato sconfitto il no, perché si partiva dal no", è stata la valutazione di Lia Quartapelle. La deputata dem è stata tra quelli che hanno subito chiesto l'apertura di un confronto interno. "Dobbiamo dimostrarci all'altezza. Il Pd, un grande partito, deve argomentare dove vuole stare con una discussione che sino ad oggi non c'è stata", ha spiegato. Sulla stessa linea Piero Fassino e anche Marianna Madia: "Abbiamo la necessità di discutere e capire. Non possiamo fare tutto questo stando zitti o con un mezzo voto. Congresso o Direzione? Va bene tutto, basta che ci sia una discussione", ha detto la deputata.
Ai riformisti ha risposto Laura Boldrini: "Mi sarei aspettata che il gruppo del Pd al Parlamento europeo votasse compatto sull'astensione, che è la strada trovata dalla segretaria Schlein. Non è il momento di alimentare divisioni". Ma anche nell'area di maggioranza interna non è mancata la chiamata al confronto: "E' giusto che ci sia una discussione seria. E' una responsabilità che abbiamo tutti ed è interesse della segretaria, che io sostengo, che questa discussione si faccia nelle forme e con la rapidità necessarie", ha detto Gianni Cuperlo. Mentre è stato Andrea Orlando a chiedere un Congresso tematico: "Potrebbe essere utile anche per portare la discussione fuori dal solo gruppo dirigente" e per "chiarirsi le idee".
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - "Morte naturale per infarto". Sono questi i primi risultati dell'autopsia per Carmine Gallo, l'ex super poliziotto protagonista della lotta contro la criminalità organizzata a Milano e ai domiciliari dallo scorso ottobre per l'inchiesta Equalize sui presunti dossier illeciti, morto domenica nella sua abitazione a Garbagnate Milanese. Si tratta dei primi riscontri dei medici legali, poi "arriveranno i tossicologici" chiesti in via precauzionale per escludere qualsiasi altra causa.
Roma, 12 mar (Adnkronos) - "Il libro di Follini rappresenta la foto di un mondo rovesciato rispetto al presente, un’America rovesciata, ieri prevaleva il senso della misura e il ragionamento, oggi prevale il populismo”. Lo ha detto il deputato del Pd Stefano Graziano presentando in conferenza stampa a Montecitorio il libro di Marco Follini 'Beneficio d’inventario'.
"Centrale è la parte che racconta della vita politica all’epoca del padre di Marco Follini, Vittorio, e dei leader politici del tempo da Francesco Cossiga, ad Aldo Moro, passando per Marco Pannella. Non tutti avevano la stessa idea politica ma erano tutti uniti nella forza di voler difendere la democrazia, una democrazia ottenuta con lotte, sangue, catastrofi e quindi seppur lontani politicamente, erano uniti dal dialogo. Una differenza abissale con l’Italia di oggi pericolosamente in mano ai sovranisti, dove tutto è concepito fuorché il dialogo. Forse questo abisso non è solo italiano ma sta prevalendo in tutto l’Occidente e la cosa è abbastanza preoccupante”, ha aggiunto Graziano.
Milano, 12 mar. (Adnkronos) - "La manovra repentina, improvvisa e del tutto imprevedibile, frutto certamente di una decisione di decimi di secondo attuata dal conducente del motoveicolo TMax non ha consentito al conducente del veicolo Giulietta di poter attuare alcuna manovra difensiva efficace". E' quanto sostiene la consulenza cinematica disposta dalla Procura di Milano e affidata all'ingegnere Domenico Romaniello. La relazione attribuisce la responsabilità dell'incidente a Fares Bouzidi, già indagato per omicidio stradale, l’amico di Ramy Elgaml che guidava lo scooter. Quando lo scooter da via Ripamonti svolta a sinistra verso via Quaranta, "con una deviazione improvvisa", per il consulente Fares imprime "una correzione di rotta verso destra", in direzione del marciapiede, e il carabiniere alla guida "non poteva certamente prevedere tale pericolosissima manovra e nulla ha potuto fare per evitare tale contatto, in ragione della impossibilità di poter attuare sia una correzione di rotta, sia una frenata efficace nello spazio a disposizione".
Non solo: il militare alla guida "non avrebbe altresì potuto neanche sterzare verso destra per la presenza del pedone (il testimone che riprende la scena con il cellulare) che per il conducente dell’autovettura è stato chiaramente percepito con la vista periferica" spiega l'ingegnere che ha realizzato la consulenza ricostruendo le condizioni di visibilità e velocità dell'inseguimento avvenuto la notte del 24 novembre scorso. Quella che mette in atto il carabiniere ora indagato per omicidio stradale (per lui si va verso la richiesta di archiviazione) è "una manovra difensiva obbligata": se lo scooter guidato da Fares avrebbe mantenuto la traiettoria 'naturale' chi guidava la Giulietta "non avrebbe sostanzialmente avuto problemi a mantenere il proprio veicolo iscritto nella curva da percorrere per la svolta a sinistra".
Quando Fares imposta la curva verso via Quaranta il T Max viaggia a una velocità di quasi 55 chilometri l'ora, quando il motociclo finisce la sua corsa contro il palo semaforico l'urto avviene a circa 33 chilometri orari. Per il consulente incaricato dalla procura la macchina che insegue, per evitare l'urto, "avrebbe dovuto disporre di uno spazio complessivo per l’arresto di circa 24 metri", mentre "il conducente aveva a disposizione circa 12 metri soltanto prima di giungere all’urto contro il palo semaforico".