“No comment. Le sentenze si rispettano”. A caldo è Lorenzo Guerini, vice segretario del Pd, quello che andò ad accogliere Silvio Berlusconi sulla porta del Nazareno il 18 gennaio, il giorno del patto, a dare la linea del Pd. Matteo Renzi non parla, non commenta la sentenza, ci tiene a far trapelare la sua fiducia nella magistratura. Il crinale è delicato e qualsiasi parola può essere di troppo. Chi l’la visto a Firenze, dove era ieri per un pranzo con il premier greco, Samaras, però, lo descrive “molto contento”. Perché l’assoluzione di Silvio Berlusconi dal premier e dai suoi più stretti collaboratori viene vissuta come una garanzia per il cammino delle riforme. Senza enfatizzare però: dalle parti di Palazzo Chigi si ricorda anche che il patto del Nazareno è stato fatto “nel bene degli italiani” e che – trattandosi di un accordo politico non sarebbe cambiato nulla comunque. Perché poi, Berlusconi, è comunque condannato per altre vicende. Ma è abbastanza evidente che un ex Cavaliere assolto è un ex Cavaliere più forte e dunque più in grado di portare Forza Italia a votare con il governo. Chi nel suo partito voleva metterlo da parte e pensava che la sentenza Ruby potesse essere un’occasione, dovrà trovare adesso una nuova strategia.
Il patto del Nazareno è sano, salvo e gode di ottima salute, insomma. Vedere Andrea Marcucci, senatore renzianissimo, tra i più attivi nell’accompagnare le mosse del governo: “Le sentenze non si commentano e le riforme naturalmente vanno avanti. Le catastrofi di tanti Nostradamus non si avverano”. E Renzi parlando al suo entourage dell’impatto sulle riforme sottolinea: “Siamo in dirittura, lavoriamo sodo per portare a casa il risultato”. Ragiona un renziano: “Berlusconi a questo punto ha la possibilità di uscire di scena da padre costituente. Non la sprecherà”. Sentenza politica? La domanda serpeggia sotto traccia. Perché certo, un anno fa, il clima era completamente diverso: “Non pensavamo prima che ci fosse persecuzione nei confronti di Berlusconi, così oggi non pensiamo che si tratti di una sentenza influenzata dal clima politico, come qualcuno in queste ore ha ventilato”, sostiene il deputato Walter Verini, membro della Commissione Giustizia della Camera.
Fatto sta che la prima cosa che si arena è il possibile e futuribile accordo con i Cinque Stelle. L’aveva chiarito Guerini, a sentenza ancora non nota: “Abbiamo aspettato per sei mesi il Movimento 5 Stelle, finalmente sono arrivati. Bene il confronto, le regole si scrivono insieme. Se però l’obiettivo è rallentare le riforme il Pd andrà avanti per la sua strada”. Il riferimento è all’ostruzionismo a Palazzo Madama. La strada adesso sembra più in discesa, e relega i Cinque Stelle a un ruolo marginale. Sulla legge elettorale, l’impianto dell’Italicum non si tocca, come ha detto e ripetuto il premier. Sul punto centrale, le preferenze, durante lo streaming dell’altroieri, non ha chiuso, né ha aperto. L’intenzione sarebbe quella di scegliere una parte degli eletti con liste bloccate, un’altra, appunto, con le preferenze. E su questo trovare la quadratura del cerchio. Un modo per provare a tenere il piede in due staffe. Ma su questo pronto è arrivato l’altolà di Beppe Grillo: “Al tavolo si è ipotizzato un altro appuntamento. Ma al momento si preferisce la ratifica degli attuali punti fin qui negoziati. Saremo pronti a votare la legge elettorale, inclusiva delle preferenze, direttamente in Aula. Mi dispiace per il Pd, ma non c’è più tempo”.
Secondo forno chiuso, insomma . Trattativa interrotta. Luigi Di Maio, il più esposto nel dialogo con Renzi, prova a sfumare, con deciso imbarazzo: “Sbaglia chi parla di chiusura al confronto: non mi sembra. Abbiamo dato un’accelerata al dibattito perché l’ennesimo tavolo sarebbe stato stucchevole. Ma, finiti i tavoli, non significa che sia finito anche il confronto: ci aspettiamo che le preferenze siano nella legge elettorale in Aula. Il Pd dia una risposta”. Renzi, informalmente, dà intanto una indicazione, che recepisce la chiusura e non cerca di rovesciarla: “Non hanno fatto in tempo a sedersi al tavolo, che subito è arrivata la sconfessione a mezzo blog”. L’interlocutore privilegiato, ieri più che mai, resta Silvio Berlusconi.
da il Fatto Quotidiano di sabato 19 luglio 2014