Scaduto il termine imposto dai militanti del Califfo per la conversione all’Islam, tutti i cristiani hanno lasciato la città irachena di Mosul e gran parte delle zone settentrionali nelle mani dello Stato islamico. Ad annunciarlo è stato Bashar Kiki, capo del consiglio locale nella provincia di cui Mosul fa parte. “Gli ultimi cristiani rimasti” nel territorio “se ne sono andati dopo le recenti minacce dei gruppi terroristici”, ossia dell’Isis che ha posto un aut aut ai cristiani ordinando loro di diventare seguaci di Allah, pagare una tassa, o affrontare la morte. La maggior parte ha scelto quindi di fuggire nella vicina regione curda o in altre zone protette. Un’intolleranza ribadita da Human rights Watch, che denuncia che lo Stato islamico “uccide, sequestra, minaccia” gli esponenti delle minoranze etniche e religiose di Mosul, confermando che il 10 giugno il gruppo jihadista ha commesso sequestri e ordinato a tutti i cristiani di convertirsi o lasciare la città. L’Isis “deve immediatamente porre fine alla sua perversa campagna contro le minoranze”, ha dichiarato Sarah Leah Whitson, direttore dell’area Medio Oriente di Human Rights Watch sottolineando come l’appartenenza ad una minoranza etnica o religiosa sotto controllo del Califfato “possa costare la libertà e anche la vita”.
La persecuzione dei cristiani da parte dei guerriglieri dell’Isis era iniziata da diverse settimane. Prima avevano segnato le loro porte di rosso, per segnalarli. Poi, li avevano lasciati senz’acqua e gli avevano tolto i rifornimenti di cibo. L’ultimo ultimatum, quello della scelta tra la conversione all’Islam o la morte. E alla fine, sono riusciti a cacciarli dalla provincia settentrionale dell’Iraq. E’ uno scorcio dell’esodo dei cristiani che vivono nel novello Califfato dell’Isil, che da un paio di settimane sta adottando strategie, più o meno sottili, per allontanare gli “infedeli” non musulmani dai territori appena conquistati. “Tutti i cristiani sono scappati da Mosul, la seconda città irachena”, denuncia il patriarca caldeo, Louis Sako. “Le famiglie cristiane sono in fuga verso Dohuk e Arbil”, continua Sako: “Per la prima volta nello storia dell’Iraq Mosul è senza cristiani”.
“Sono scioccato. Non era mai successo”: la testimonianza del vescovo di Baghdad
“Siamo senza parole. I cristiani sono a Mosul da secoli e quelle famiglie sono state improvvisamente strappate via dalla loro città, dalla loro casa, dalla loro vita”, ha detto il vescovo caldeo di Baghdad, Saad Syroub, dopo che le ultime famiglie hanno dovuto lasciare la città controllata dai miliziani jihadisti dell’auto-proclamato Califfato Islamico. “Siamo davvero preoccupati per il futuro dei cristiani in questo Paese”, continua il vescovi, sottolineando che non era mai accaduto che i cristiani fossero cacciati dalle proprie case “come se non avessero alcun diritto”. Il monsignore ha fatto appello alla comunità internazionale perché faccia pressione sul governo iracheno al fine di trovare soluzioni concrete.
Ban Ki-moon: “E’ un crimine contro l’umanità”
Secondo il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, la persecuzione dei cristiani per mano dei jihadisti dello Stato islamico può essere considerata “un crimine contro l’umanità“. Attesa per oggi la riunione tra i vescovi delle varie confessioni cristiane di Mosul, il patriarca caldeo e i “diplomatici stranieri e politici locali” nel Kurdistan iracheno. L’incontro è finalizzata a “decidere quali passi intraprendere” alla luce delle minacce e delle persecuzioni contro i cristiani iracheni.
Secondo il primo ministro iracheno “servono aiuti internazionali”
“Un atto criminale“, secondo il premier iracheno Nuri al-Maliki, che ha rivolto un appello a tutti i Paesi del mondo perché reagiscano uniti contro l’ultimo l’espulsione dei cristiani da Mosul. “Quello che le bande dell’Isis stanno facendo ai cristiani rivela senza ombra di dubbio la loro natura e i loro intenti terroristi e criminali”, ha affermato il premier. Maliki appartiene alla confessione musulmana sciita, una comunità anch’essa vittima delle violenze dell’Isis, che si ispira ad una dottrina fondamentalista sunnita. Ieri, intanto, circa duecento musulmani hanno partecipato in segno di solidarietà ad una messa celebrata a Baghdad dal patriarca della Chiesa caldea, monsignor Louis Sako. Alcuni innalzavano cartelli con la scritta: “Sono un iracheno, sono un cristiano“.
Papa Francesco: “Sono vicino ai perseguitati, spogliati di tutto”
Si è detto preoccupato anche Papa Francesco, che dopo l’Angelus ha rivolto un momento di preghiera alla comunità cristiana dell’Iraq: “Sin dall’inizio del cristianesimo, in Medio Oriente i cristiani hanno vissuto con i loro concittadini offrendo un significativo contributo al bene della società. Oggi sono perseguitati e devono lasciare le loro case senza avere la possibilità di portare niente”. Il Papa ha continuando assicurando “a queste famiglie la mia vicinanza e la mia preghiera. So quanto soffrite, so che siete spogliati da tutto“.
La lotta del Califfato contro gli “infedeli”
Nel tentativo di piegare la popolazione di Mosul e delle altre località della fascia settentrionale di Ninive, i miliziani del neonato Stato Islamico e del Levanti (Isis) – creato nell’Est della Siria e nell’Ovest dell’Iraq il 29 giugno – avevano minacciato chiesto ai cristiani di abbandonare la città, creando un esercito di sfollati. Fin dai primi giorni dalla sua nascita, i fedeli di Abu Bakr al-Baghdadi avevano identificato la loro anche come una missione di riconquista della purezza cristiana del territorio, non senza lanciare minacce verso il vicino occidente cristiano. Anche Roma – considerata come centro della cristianità e quindi degli infedeli – era entrata nel mirino, califfo. In un audio-messaggio diffuso da siti jihadisti, lo sceicco si appellava ai musulmani perché fossero pronti a nuove battaglie: “Se Iddio vorrà, conquisteremo Roma e il mondo intero“, mentre a inizio luglio il capo jihadista, nel primo messaggio audio dall’autoproclamazione del califfato, aveva puntato il dito contro gli Stati Uniti,minacciandogli un attacco “peggiore dell’11 settembre”. Una battaglia religiosa che il Califfato sta rivolgendo non soltanto all’esterno dei suoi confini, ma anche all’interno di Siria e Iran, con sempre più pericolosa intensità.