Mentre le banche creditrici si apprestano a firmare con Sorgenia l’accordo di ristrutturazione del debito, preparandosi a diventare proprietarie della società energetica del gruppo Cir, la famiglia De Benedetti continua il conto delle perdite. Dopo il rosso 2013 di Cir, 270 milioni che sarebbero stati molti di più senza l’incasso ricevuto da Fininvest per il Lodo Mondadori, anche quest’anno continua a portare brutte sorprese al presidente Rodolfo, affiancato dall’ad Monica Mondardini (il padre Carlo ha lasciato il cda mantenendo solo la carica di presidente onorario). Se la holding ha chiuso il primo trimestre in perdita per 2,6 milioni, martedì è emerso che Sogefi, l’azienda di componentistica auto di Cir, ha archiviato il primo semestre con un risultato negativo per 7,3 milioni, contro l’utile di 16,2 dei primi sei mesi del 2013. I ricavi consolidati sono rimasti stabili a 683 milioni mentre l’indebitamento finanziario netto è salito a 340,8 milioni rispetto ai 322,5 del 31 marzo. Il risultato, spiega una nota, è stato influenzato da “oneri di ristrutturazione”, in particolare quelli legati alla chiusura di uno stabilimento in Francia.
La famiglia dell’Ingegnere (che ha lasciato il cda mantenendo solo la carica di presidente onorario) si consola pensando alla futura buonuscita prevista dall’accordo con le banche. Come anticipato da Il Sole 24 Ore, infatti, a valle di quasi un anno di negoziati è stata trovata la quadra su Sorgenia, affossata dalla crisi dei consumi energetici arrivata proprio al picco di un piano di investimenti miliardario. E gravata da un debito di oltre 1,8 miliardi e perdite di 783 milioni solo l’anno scorso. La società controllata al 53% da Cir e al 47% dagli austriaci di Verbund, come atteso da mesi, passerà appunto ai diciannove istituti creditori, che convertiranno 600 milioni di crediti in quote azionarie ottenendo in cambio il 98% del gruppo. In particolare 400 milioni arriveranno attraverso un aumento di capitale e altri 200 sotto forma di un prestito che sarà poi rimborsato con l’emissione di nuove azioni (in gergo”convertendo”). In più nelle casse aziendali verrà iniettato ulteriore denaro fresco per 256 milioni.
Mps sarà primo azionista – Entro mercoledì gli amministratori delegati dei sei principali istituti creditori, cioè Mps, Unicredit, Ubi Banca, Banco Popolare e Bpm, incontreranno Andrea Mangoni, presidente e amministratore delegato di Sorgenia, che resterà al timone anche sotto l’egida delle banche. A valle dell’operazione, il primo azionista sarà l’istituto senese presieduto da Alessandro Profumo, con il 22% circa. A seguire Ubi al 18%, Banco Popolare all’11,5%, Unicredit e Intesa con il 9,8% circa e Bpm al 9%, per limitarsi agli attuali maggiori creditori. Dopo mesi di tira e molla su una sua partecipazione alla ricapitalizzazione di Sorgenia, la holding Cir ha invece deciso di uscire totalmente di scena. Il gruppo a cui fanno capo anche Repubblica e L’Espresso e Verbund cederanno il residuo 2% in portafoglio al prezzo simbolico di 1 euro.
Per i De Benedetti “buonuscita” garantita – I soci storici non escono però a bocca asciutta. Infatti, una volta rimborsato il debito e ottenuta una remunerazione del 10% sul capitale investito, le banche si sono impegnate a girare a Cir e Verbund il 10% della eventuale plusvalenza che otterranno cedendo la società risanata. E la clausola non prevede limiti temporali.
Resta sotto sequestro la centrale tirreno Power di Vado. Gip: “Progetto né serio né concreto” – Tutto da risolvere invece il nodo Tirreno Power: la società, di cui Sorgenia ha ancora il 39% (la maggioranza è dei francesi di Gdf Suez) gestisce la centrale a carbone di Vado Ligure sequestrata su richiesta della magistratura. E due giorni fa il gip savonese Fiorenza Giorgi ha bocciato la richiesta di togliere i sigilli giudicando “né serio né concreto” il progetto dell’azienda per adeguarsi alle prescrizioni relative alle emissioni. Una tegola non da poco per le banche creditrici, esposte per 875 milioni. A partire dalla stessa Unicredit che di Sorgenia si appresta a diventare azionista. Tanto più che la società non ha rispettato la scadenza sul debito fissata per fine giugno e entro agosto deve presentare agli istituti un nuovo piano industriale corredato di una manovra finanziaria. Ma le basi stesse del piano, dopo il no del giudice, appaiono molto deboli.