Lavoratori migranti pagati meno di un euro l’ora nel progetto di infrastrutture del lusso che prevede spese complessive per oltre 150 miliardi di euro. Lavoratori costretti a dormire in sette per stanza in baraccopoli prive di servizi, per costruire un grattacielo chiamato La Torre del Calcio che ospita il Comitato organizzatore del Mondiale 2022. Lavoratori che non ricevono lo stipendio da oltre un anno. Chi protesta è licenziato senza che gli siano restituiti i documenti per espatriare, o è addirittura arrestato. Non solo corruzione, tangenti, e lotta politica per il controllo del calcio dunque, ma anche una situazione sempre più insostenibile dal punto di vista dei diritti umani.
Benvenuti in Qatar, l’emirato del Golfo Persico che si appresta a ospitare la Coppa del Mondo del 2022, un evento che sulla scia di Brasile 2014 servirà a rimpinguare le già ricchissime tasche della Fifa alla faccia dell’aspetto sportivo. L’inchiesta di Robert Booth e di Pete Pattisson, pubblicata a puntate su The Guardian, è impressionante. La Torre del Calcio, che già ospita i comitati organizzatori al 38 e al 39 piano dell’edificio, diviene cartina di tornasole di un progetto non più praticabile. All’interno il lusso più sfrenato: pregiati mobili italiani, vetri intagliati e toilette riscaldate. Al lavoro migranti provenienti per lo più da Nepal, India e Sri Lanka al lavoro per 7,5 euro al giorno che non sono pagati da 13 mesi, come denuncia Amnesty International. Oltretutto il progetto è governativo.
Fu commissionato dall’azienda governativa Katara Projects per diretta volontà dell’allora sceicco erede al trono Tamim bin Hamad al-Thani, l’attuale emiro, alla compagnia privata Lee Trading, responsabile dei mancati pagamenti e delle allucinanti condizioni di vita cui sono costretti i lavoratori migranti. La compagnia governativa Katara ha detto che ha rescisso il contratto con Leee Trading non appena Amnesty ha portato alla luce la questione, adoperandosi perché i lavoratori fossero rilocati o aiutati nel rimpatrio. Ma finora questo non è successo. Solo dei lavoratori alla Torre tredici sono rimasti in Qatar, privi di soldi e dei documenti necessari al rimpatrio. Cinque sono stati arrestati e non hanno nemmeno i soldi per andare in tribunale a difendersi.
“Si sta verificando un abuso inqualificabile dei diritti fondamentali, cui il Qatar rimane insensibile fino a che non è colto con le mani nel sacco”, ha dichiarato Sharan Burrow, segretario del sindacato internazionale ITUC. Si è detto costernato anche Jim Boyce, uno dei vicepresidenti della Fifa. Il tutto mentre il suo capo Blatter e il segretario generale Valcke pochi giorni fa hanno incontrato l’emiro a Doha per discutere di come sta andando l’organizzazione del Mondiale 2022, e non hanno fatto alcuna obiezione in merito. La Fifa fattura 1,4 miliardi l’anno, altrettanto conserva come riserve, e dai Mondiali arriva a guadagnarne tre-quattro volte tanto. E’ una multinazionale che non può perdere tempo con i diritti dei lavoratori. E’ del gennaio 2013 il rapporto di Human Right Watch che denunciava: “Per il 2022 saranno più i lavoratori deceduti nell’opera di costruzione degli stadi e delle infrastrutture che non i giocatori a scendere in campo per il Mondiale”.
Di settembre le prime denunce sui 44 lavoratori nepalesi morti in quattro giorni nella costruzione degli stadi, e le conseguenti promesse della Corte Suprema del Qatar di intervenire sul tema. Ma non si è mosso nulla, e ora i numeri sono impressionanti. In due anni sono almeno 144 i lavoratori migranti morti sul lavoro, 56 quelli che si sono suicidati, e un altro centinaio sono morti misteriosamente di caldo (50 gradi all’ombra) e di stenti nelle baraccopoli o nei campi profughi in cui sono alloggiati. Morire perché siano trasmesse in mondovisione una sgroppata di Cristiano Ronaldo o un pallonetto di Messi non può e non deve avere senso.