E’ notizia di ieri che dopo la Apple, anche la Samsung, colosso coreano dell’elettronica di consumo ha deciso di alzare i prezzi, in Italia, in conseguenza degli aumenti delle tariffe del compenso per copia privata disposti, nelle scorse settimane, dal Ministro Dario Franceschini.

A pagare di più per smartphone, tablet, PC. Hard disk e, persino televisori è, dunque, ormai certo che saranno proprio i consumatori come era ovvio che fosse ma come il Ministro Franceschini e la SIAE hanno, sino all’altro giorno, platealmente negato, dicendosi certi – non è chiaro su quale base logica e giuridica – che il compenso non sarebbe mai ricaduto sui consumatori.

A questo punto c’è solo da augurarsi che il Ministro Franceschini si astenga dal rilasciare ulteriori dichiarazioni di fuoco all’indirizzo della Samsung come ha fatto nei giorni scorsi all’indirizzo della Apple dalle pagine de Il Foglio, accusando l’azienda di Cupertino di aver tenuto – aumentando i prezzi – un atteggiamento “ritorsivo”, “arbitrario”, “provocatorio” e “inaccettabile”.

Sono parole che un Ministro della Repubblica non dovrebbe mai pronunciare all’indirizzo di una società privata, specie mentre il suo Capo del governo, annuncia di voler volare proprio in Silicon Valley a presentare il nuovo piano strategico per la digitalizzazione del Paese.

E, egualmente, c’è da augurarsi che in SIAE, qualcuno non si faccia venire in mente un’altra “genialata” come quella messa in scena nei giorni scorsi, quando per protestare contro gli aumenti tariffari disposti dalla Apple, la Società che fu di Verdi e Carducci e che oggi è governata da Gino Paoli (Presidente) e Gaetano Blandini (Direttore Generale), ha deciso di volare in Francia, acquistare 22 iphone – a spese naturalmente dei suoi iscritti – e di regalarli ad altrettante associazioni non profit dalla Croce Rossa Italiana, a telefono azzurro, passando per una scuola di Jazz.

Difficile condividere l’iniziativa della SIAE che per protestare contro la Apple ha deciso di comprare 22 smartphone marcati Apple, versando così all’azienda di Cupertino oltre 15 mila euro e, come se non bastasse, di acquistarli in Francia, sottraendosi, dunque, al pagamento del compenso per copia privata e delle tasse in Italia.

Ma sembra che al Ministero dei beni e delle attività culturali ed in casa SIAE, in questo periodo – o, almeno, in questa vicenda – siano perseguitati da una qualche “maledizione” di raro potere perché, appena il “gatto e la volpe della copia privata”, dichiarano qualcosa in pubblico per difendere la loro ingiustificata decisione di aumentare a dismisura le tariffe del compenso, vengono fragorosamente smentiti dai fatti.

Accade così – appunto per questa curiosa “maledizione” – che il Ministro dei beni e delle attività culturali Dario Franceschini, nelle scorse settimane, si presenti davanti alla Commissione Cultura della Camera dei Deputati e oltre a brandire il suo Iphone, raccontando che il suo prezzo non sarebbe mai aumentato in ragione degli aumenti delle tariffe per copia privata disposti con la sua augusta firma, dichiari anche che dell’Inghilterra, non si è tenuto conto, nel guardare al panorama europeo perché nel Regno di Sua Maestà, ai cittadini inglesi sarebbe vietato fare copie private.

Detto, fatto.

Passano una manciata di settimane ed il governo di Sua Maestà annuncia l’approvazione di una nuova legge per effetto della quale dal primo ottobre, i cittadini britannici potranno fare copie private della propria musica e dei propri film senza pagare neppure una sterlina di compenso per copia privata.

Ma non basta perché, nel dare l’annuncio della notizia, il neo Sottosegretario alla Proprietà intellettuale del governo di David Cameroon, lancia una stoccata al nostro Paese ed alla manciata di altri Paesi europei che continuano a ritenere che per difendere i diritti degli autori e degli editori sia davvero necessario il compenso per copia privata.

Eccola, virgolettata, dalla viva voce di Lucy Neville-Rolfe, neo Sottosegretario: “i compensi per copia privata sono inefficienti, burocratici e sleali e penalizzano le persone che pagano per i contenuti”.

E neppure si dica che al Ministero dei beni e delle attività culturali, nel comitato permanente per il diritto d’autore – organo consultivo del Ministro – ed in casa SIAE nessuna sapeva che in Inghilterra la legge sulla copia privata stava cambiando perché, il governo di Sua Maestà, aveva annunciato le imminenti modifiche già da tempo, spingendosi, persino – cosa che da noi non è probabilmente mai accaduta – a pubblicare sul proprio sito un opuscolo esplicativo per i cittadini e consumatori allo scopo di chiarire i termini dei cambiamenti in arrivo.

Possibile che nessuno al MIBAC, in SIAE e tra i consiliori del Ministro abbia avvertito l’esigenza – prima di chiedere ai consumatori italiani di pagare oltre 150 milioni di euro all’anno in compenso da copia privata e di raccontare che tanto era necessario per adeguarsi alla media europea – di farsi un giro online, giusto per “annusare l’aria” che tirava nel resto d’Europa?

Ad ogni pagina che si scrive, la vicenda del Decreto Franceschini sulla copia privata, diventa di più una storia che non avremmo meritato di leggere.

 

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