Grazie a una modifica al decreto sulla Pubblica amministrazione ha scampato il rischio del trasferimento obbligato da Napoli a Roma. Come per tutte le altre authority, sarà sufficiente che il 70% del personale sia basato nella sede principale. Ovvero, nel caso dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), il centro direzionale del capoluogo campano. Ma l’istituzione che vigila su concorrenza e pluralismo nel settore della comunicazione dovrà comunque stringere la cinghia. A dirlo è la relazione della Corte dei Conti sulla gestione amministrativa dell’Agcom dal 2009 al 2012. I magistrati contabili riconoscono infatti che l’autorità, a partire dal 2010, ha previsto “misure di contenimento dei compensi” e delle “spese per studi e incarichi di consulenza, rappresentanza, missioni e acquisto o noleggio di autovetture”. E dal 2011 ha raggiunto gli obiettivi abbattendo le uscite anche “al di là di quanto richiesto dal legislatore” per alcune voci di spesa, come quelle per le auto di rappresentanza. Ma il risultato di competenza è rimasto sempre negativo: 8 milioni di rosso nel 2011 e poco più di 2 milioni nel 2012. In più le entrate, spiega la Corte, sono destinate ad assottigliarsi sempre di più. Per cui occorre “monitorare attentamente la situazione” e “tenere sotto stretto controllo la spesa per il personale e le spese logistiche per le sedi”, su cui incide negativamente il fatto che al quartier generale di Napoli si aggiunge la succursale romana. Il che fa anche lievitare le spese di affitto, arrivate a 7 milioni l’anno.  

L’autorità guidata da Angelo Cardani, infatti, non riceve praticamente più finanziamenti statali e dipende per il 99% delle entrate (82 milioni nel 2012) dai contributi degli operatori della comunicazione, che per legge devono versarle il 2 per 1000 dei ricavi. Ne deriva, spiega la magistratura contabile, l’impossibilità di far conto su una cifra fissa. E, visto l’andamento del settore, è difficile immaginare che l’ammontare possa crescere. Per di più dal 2010 l’Agcom è tenuta a girare una parte dei suoi proventi alle autorità “in sofferenza” finanziaria, cioè la Commissione di garanzia sugli scioperi e l’Authority per la privacy: un esborso vicino ai 4 milioni l’anno. Di qui l’allarme della Corte. Che invita a contenere le spese per il personale, salite tra 2008 e 2012 da 34 a 42,3 milioni (su 83 di uscite) mentre l’organico lievitava a 419 persone dalle 260 previste alla nascita dell’autorità, nel 1997. E ben il 10% del totale gode di “qualifica dirigenziale”. “L’andamento incrementale della spesa per il personale”, si legge nella deliberazione della magistratura, “rischia di compromettere gli equilibri di bilancio dell’Autorità, in considerazione dell’assottigliamento (oggi azzeramento) del finanziamento statale e della recente interpretazione della Commissione europea in ordine alla natura e destinazione dei contributi privati”.

L’altro fronte su cui si concentra la relazione è la concreta attività amministrativa e contabile dell’Agcom, che “non sempre” è risultata “coerente con il generale principio di separazione dell’attività di indirizzo e controllo, spettante al consiglio, dall’attività gestionale intestata ai centri di responsabilità”. “Di fatto si verifica”, si legge nel rapporto, “una divaricazione dell’attività rispetto a quelle regole, come più volte ha segnalato la Commissione di garanzia: il Consiglio titolare delle funzioni di governo dell’Istituto e, quindi, di indirizzo e controllo, in molti casi esplica anche attività di gestione”. Ulteriore tasto dolente è rappresentato dall’assenza del Servizio di controllo interno, “scaduto ad aprile 2013” e “non ancora rinnovato”. E, sottolineano i magistrati, “Le conseguenze dell’assenza di controllo interno sono rilevanti e sono note: manca il controllo di gestione, la verifica della realizzazione degli obiettivi, in coerenza con una corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, mancano i parametri per la valutazione delle performance individuali anche ai fini dell’attribuzione del trattamento accessorio”.

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