Gli spagnoli di Telefonica sono pronti a uscire da Telecom Italia. E a consegnare il pacchetto dell’8,3% nelle mani di Vincent Bolloré, presidente del gruppo francese media Vivendi e socio di peso di Mediobanca, che è a sua volta azionista Telecom. In cambio Madrid vuole rafforzarsi in Brasile conquistando Gvt – filiale del gruppo francese in predicato di una fusione con la controllata locale di Telecom, Tim Brasil – per la quale Telefonica ha presentato un’offerta da 5,3 miliardi di dollari mettendo sul piatto il 12% di Telefonica Brasil. Per Vivendi che stava già trattando con Telecom sul fronte opposto, si tratta di una proposta allettante che amplia il ventaglio delle possibilità dei francesi in Brasile. Anche se da Oltralpe le diplomazie fanno sapere che “nessuna delle controllate è in vendita” e che la strategia transalpina “è quella di creare un gruppo industriale focalizzato sulla crescita organica delle sue attività e di sostenerle nel loro sviluppo”. In ogni caso “l’Organismo di Vigilanza prenderà in considerazione l’offerta di Telefonica nella sua prossima riunione (il 28 agosto, ndr), nel migliore interesse dei suoi azionisti e dei dipendenti GVT, e deciderà quali azioni intraprendere di conseguenza”.
Fatto sta, però, che l’offerta degli spagnoli è arrivata a una manciata di giorni da tre eventi rilevanti: la revisione del patto di controllo di Mediobanca con il rafforzamento di Bolloré, l’incontro fra il finanziere bretone e Piersilvio Berlusconi, numero uno di Mediaset e socio di Piazzetta Cuccia, e l’ingresso di Telefonica nel capitale della pay tv Mediaset premium. E che dal fronte italiano le attese erano ben diverse, come testimonia la reazione a caldo del presidente della Cassa Depositi e Prestiti, Franco Bassanini, che via twitter ha parlato della proposta di Telefonica ai francesi come di un “atto ostile contro il progettato merger GVT-Tim Brasil, fatto da chi è ancora il primo azionista di Telecom”, chiedendosi poi se non sia una “questione nazionale”?.
E’ chiaro che se l’offerta dovesse andare in porto entro il termine fissato del 3 settembre, per Telecom sarebbe bella batosta ritrovarsi con un concorrente rafforzato in Brasile invece che con un nuovo alleato forte. Senza contare che, con l’ex alleato in pectore diventato padrone di casa, cambierebbero ancora i delicati e complessi equilibri azionari di Telecom allungando probabilmente anche i tempi per lo sviluppo della fibra nel Paese. Anche a dispetto del fatto che sul tavolo di Palazzo Chigi ci sia già un progetto per una rete pubblica condiviso da una parte del Pd e gradito ai grandi gruppi statunitensi come Google e Amazon. Di certo nel futuro di Telecom non saranno solo i soci europei ad avere un peso. Oltre ai grandi investitori americani come il fondo Blackrock, un ruolo da protagonista lo avrà anche banca centrale cinese, la People’s Bank of China, che è appena salita al 2,1% del capitale ed è ormai protagonista a Piazza Affari. L’istituto centrale più ricco e solido del mondo, è partner del resto gradito alla Cassa Depositi e Prestiti che proprio una manciata di giorni prima ha ceduto il 35% di Cdp reti alla multiutility cinese State Grid Corporation of China.
Un investimento particolarmente importante perché proprio la Cdp reti, alla quale fanno capo Snam e Terna, è il contenitore in cui, secondo i progetti del presidente della Cassa depositi, dovranno confluire tutte le reti del Paese. Comprese quelle di telecomunicazioni in cui la Cassa depositi ha investito accanto al fondo F2i. E in cui non è escluso possa avere anche un ruolo le Poste dell’ex mister Agenda digitale, Francesco Caio. Da tempo, del resto, Bassanini tenta di convincere Telecom a realizzare un progetto comune, ma finora non è riuscito a trovare un accordo sulla valorizzazione della rete in rame e fibra di Telecom Italia che è la principale garanzia del pesante debito (26 miliardi) dell’ex monopolista spolpato negli anni dopo la privatizzazione decisa dal governo di Romano Prodi nel 1997.
L’esecutivo Renzi vorrebbe scorporarla, ma il processo è lento. E Telecom non può aspettare. Lo testimonia il piano di dismissioni non strategiche messe a punto dall’amministratore delegato di Telecom, Marco Patuano che, nonostante il default di Buenos Aires, spera ancora di poter vendere a Fintec la filiale argentina entro il 12 agosto incassando 960 milioni di dollari. Il gruppo, del resto, non solo deve andare veloce verso la soluzione dei suoi problemi contabili, ma deve anche costruire un futuro redditizio. Soprattutto in uno scenario europeo in cui si sta realizzando la convergenza fra media e telecomunicazioni. Le grandi manovre sono iniziate da tempo. Ma l’esito finale non è affatto scontato.
Lo sanno bene a Piazza Affari, dove il titolo Telecom in scia all’offensiva brasiliana arrivata dal “fuoco amico” di Telefonica, è crollato di oltre il 5% e ha chiuso la seduta in calo del 4,62% a 0,82 euro. “Difficile per Telecom reagire con un’offerta elevata se non con un misto di cash e azioni che costringerebbe il gruppo a un aumento di capitale di 1,6-1,8 miliardi di euro a seconda della valutazione di Tim Brasil”, commentano gli analisti. Il mercato vede infatti la posizione negoziale di Telecom indebolirsi “eliminando l’alternativa strategica di breakup di Tim Brasil”, aggiungono da Intermonte. Secondo la lettura degli esperti di Mediobanca Securities, invece, la mossa di Telefonica è in fondo una rinuncia al progetto pan-europeo e apre tante strade: “Telefonica sembra essere meno convinta della possibilità di un consolidamento del mobile in Brasile; forse era preoccupata per i colloqui tra Telecom e Vivendi e ha deciso di anticipare le sue mosse, gli spagnoli hanno indirettamente confermato di essere disposti a uscire dal mercato italiano – spiegano – Mentre non siamo sorpresi per il movimento brasiliano che ha senso da un punto di vista strategico, l’uscita da Telecom Italia significherebbe la fine del progetto Pan Europeo. In questo momento, Telecom dovrà accelerare qualsiasi scelta strategica e forse qualche aggiornamento verrà dal consiglio di amministrazione di oggi”.