Per Unicredit il 2014 dovrebbe essere l’anno del riscatto dopo la maxi perdita da 14 miliardi di europortata a casa nel 2013. E la prima metà dell’anno sembra confermare le aspettative di rilancio con un utile di 1,1 miliardi di euro (403 milioni solo nel secondo trimestre), superiore alle attese nonostante gli oltre 200 milioni di imposta retroattiva voluta dal governo Renzi sulla rivalutazione della partecipazione nella Banca d’Italia.

La tabella di marcia per raggiungere l ’obiettivo annunciato a marzo di 2 miliardi di profitti a fine anno sembra per ora rispettata. Bisogna però tenere presente che statisticamente i guadagni delle banche tendono a concentrarsi nei primi trimestri, mentre il quarto è generalmente quello più problematico.  Tra la ripresa italiana che non arriva e tensioni nell’Est Europa dove il gruppo vanta una presenza significativa i fattori di rischio non mancano. Nei conti del terzo trimestre dovrebbero però farsi sentire gli effetti della quotazione della controllata Fineco completata lo scorso luglio e che ha fruttato 800 milioni.

Nel complesso i ricavi del semestre si sono attestati a 11,3 miliardi con una flessione del 3,2% sulla prima metà del 2013. Scendono però anche i costi diminuiti di quasi il 2% a 6,9 miliardi. Tra le singole voci del bilancio salgono i proventi da commissioni e interessi, mentre precipitano quelli dell’attività di trading con un calo di ben il 38 per cento. Tra le notizie migliori della semestrale c’è da segnalare la ripresa delle erogazioni di crediti, soprattutto mutui, sul mercato italiano. Sei miliardi di nuovi finanziamenti con una crescita del 52% rispetto all’anno prima. Il balzo dei mutui è addirittura del 146 per cento. Complessivamente migliora la situazione dei crediti dubbi che scendono, di poco, a 82,4 miliardi di euro in termini lordi con un tasso di copertura (cioè le perdite già messe a bilancio) del 51,2% a fronte di una media delle prime 15 banche italiane del 42 per cento. Aumenta però il livello delle sole sofferenze (il comparto dei crediti dubbi più problematico) salite a 49,6 miliardi con un incremento dello 0,6% nel periodo marzo-giugno.

Nel secondo trimestre dell’anno il gruppo ha restituito 10 miliardi presi a prestito dalla Bce nell’ambito delle operazioni LTRO. I rimanenti 9 miliardi verranno gradualmente ripagati a Francoforte nei prossimi mesi. Il numero uno di Unicredit Federico Ghizzoni, ha confermato la richiesta di altri 14 miliardi di Tltro (targeted long term refinancing operations) di cui, ha aggiunto, 7,5 miliardi verranno utilizzati per prestiti alle imprese in Italia. Il Tltro sono la nuova forma di prestiti escogitata da Mario Draghi per evitare che si ripeta quanto accaduto in passato vale a dire l’uso dei fondi Bce da parte delle banche per comprare attività finanziarie invece che per erogare credito all’economia. I finanziamenti Tltro, concessi con un tasso dello 0,25%, sono vincolati alla concessione di prestiti all’economia reale (mutui esclusi per non alimentare bolle immobiliari).

Il problema, messo in luce da diversi osservatori, è che non sono previste particolari penalizzazioni per le banche “inadempienti”. L’unica conseguenza è l’obbligo di restituzione dei fondi dopo due anni. Ventiquattro mesi in cui con denaro preso a prestito allo 0,25% si possono far soldi a palate comprando titoli di Stato anche se a basso rischio. Improbabile, però, che Unicredit punti su quelli italiani. “Per quanto riguarda i titoli di Stato italiani la situazione è un po diversa rispetto a quella delle altre banche italiane. Noi siamo già diversificati, perché abbiamo 90 miliardi di titoli di Stato di cui 50 circa italiani, 25 circa tedeschi e poi il resto di altri Paesi in cui siamo presenti. Siamo già abbastanza diversificati”, ha detto Ghizzoni dopo che nei giorni scorsi il suo omologo in Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, aveva annunciato che la sua banca diversificherà il portafoglio di titoli di Stato. “È un tema importante quello che ha sottolineato Carlo Messina perché riguarda una potenziale valutazione dei titoli di Stato da parte del Comitato di Basilea – ha aggiunto Ghizzoni – e potrebbe darsi che pesino sui bilanci futuri delle banche. È chiaro che tutte le banche dovranno porsi il problema dei titoli di Stato e del rating. Questo avrà qualche impatto sul corso dei titoli di Stato”.

Restando in tema di rapporti con la Bce, il gruppo Unicredit pare essersi presentato con le carte in regola all’esame dei bilanci a cui sono sottoposte tutte le principali banche europee in vista del passaggio alla vigilanza unica. Gli indicatori patrimoniali appaiono infatti sufficienti e in miglioramento. In particolare il Common equity tier raggiunge il 10,4% (pur già tenendo conto dei benefici della quotazione Fineco e della cessione della quota nella banca on line Dab) a fronte dell’8% richiesto. Il livello di leverage, o rapporto di indebitamento, è al 4,7%. Significa che per ogni 10 euro di capitale Unicredit ha attivi per 212 euro, un rapporto che risulta tra i migliori in Europa. Per quanto riguarda infine i rapporti con Russia e Ucraina, per Ghizzoni le sanzioni nei confronti della Russia “non sono da sottovalutare, monitoriamo attentamente la situazione” ma “non c’è un rischio sistemico per il gruppo”. Nel Paese “sicuramente importante e strategico”, ha aggiunto, Unicredit “è una delle poche banche che ha le scadenze sui depositi più lunghe dei crediti” e, inoltre, “i ricavi sono cresciuti del 20% bimestre su trimestre”. Quanto invece alle trattative per la vendita della controllata in Ucraina, sottolinea che “non sono mai state chiuse, sono ovviamente influenzate dal day by day ma sono aperte”.

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