Per i Paesi dell’Eurozona è arrivato il momento di “cedere sovranità” all’Europa per quanto riguarda le riforme strutturali. A lanciare il sasso nello stagno è stato il presidente della Bce, Mario Draghi. “E’ probabilmente giunto il tempo di iniziare a condividere la sovranità a livello europeo anche per quanto riguarda le riforme strutturali”, ha detto in particolare al termine del consiglio direttivo dell’Eurotower sottolineando la necessità di “fare sul piano delle riforme strutturali quello che è stato fatto a livello di bilancio“. Ogni riferimento all’Italia non è puramente casuale, visto che secondo Draghi “una delle componenti del basso Pil italiano è il significativo debole livello degli investimenti privati, nonostante una riprese dei consumi”. La causa? “L‘incertezza e la mancanza di riforme strutturali che non sono condotte con sufficiente impegno” e sono all’origine dello scoraggiamento degli investimenti, mentre occorrono passi avanti su “mercato del lavoro, nella giustizia civile e nella concorrenza” e “non c’è niente che la politica monetaria possa fare” per sopperire ai ritardi dei governi. Tra le priorità, anche il taglio del carico fiscale, tema che riguarda i Paesi euro “con il più alto livello tassazione in un’area in cui le tasse sono le più alte al mondo”.
Parole che pesano come pietre, che però Matteo Renzi ha fatto sapere di aver molto apprezzato, secondo quanto l’Ansa riferisce di aver appreso da fonti di Palazzo Chigi. “Sono assolutamente d’accordo con Draghi”, ha detto poi intervistato su La7 a In Onda, “se è un affondo, affondo anche io. Il presidente della Bce ha detto una cosa sacrosanta, noi dobbiamo rimettere in ordine l’Italia per farla diventare più competitiva. E le parole di Draghi sono la migliore risposta ai critici del Senato, che è una delle riforme che stiamo facendo”. Anche perché, specifica: “Sulla questione della cessione di sovranità Draghi ha fatto un ragionamento più ampio sull’Europa. Non ha detto che l’Italia deve andare verso una cessione di sovranità sulle riforme ma ha parlato di Eurozona. L’Italia non è finita, con buona pace dei gufi e degli sciacalli”. Il premier punta a 16 miliardi di spending review per il 2015 che permetterebbe di stare sotto il 3% deficit/pil. “Questo governo ha iniziato a tagliare sulla spesa” pubblica, con il taglio alle auto blu, il tetto agli stipendi dei manager, l’intervento sui quarantamila centri di spesa. “Ma si è fatto abbastanza? No. Cosa dice Cottarelli? Cottarelli ha un compito da governo Letta: di fare una revisione della spesa. Se facesse anche delle proposte, io sarei contento”. [brightcove]3719886168001[/brightcove]
Da Francoforte, era arrivata anche una risposta indiretta, alle fresche dichiarazioni del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che poco prima dell’intervento di Draghi da Francoforte, a Roma aveva detto alla Camera che “è sbagliato e fuorviante, come fanno molti commentatori, prendere in considerazione un quadro macroeconomico di pochi trimestri per valutare l’efficacia e l’impatto dell’azione di governo”. Valutazione che il numero uno della Banca Centrale europea condivide solo in parte: “Alcune riforme hanno un impatto immediato, mentre altre hanno bisogno di tempo – ha detto Draghi per poi puntare il dito – Gli investitori sono scoraggiati dal clima di incertezza che regna e che è molto esteso in Italia. Gli investitori privati sono scoraggiati perché devono aspettare mesi per ottenere autorizzazioni, 8-9 mesi per arrivare alla fine di un vero e proprio percorso a ostacoli“, ha puntato il dito.
E questa situazione, secondo l’ex governatore della Banca d’Italia, “è legata all’assenza di riforme strutturali sui mercati dei prodotti, burocratico, del lavoro e a livello giuridico. Tutte queste riforme farebbero sentire rapidamente i loro effetti. Molti pensano che ci vuole molto tempo per registrare gli effetti delle riforme strutturali. Non è così. I Paesi che hanno condotto le riforme strutturali vanno bene, molto meglio di quei Paesi che non le hanno fatte o le hanno fatte solo in parte e l’occupazione è aumentata. E’ vero che alcune riforme strutturali si fanno sentire più rapidamente e che altre che necessitano più tempo”. Il rallentamento della Germania, poi, non c’entra con le riforme ma “è dovuto a fattori tecnici“. E “se i rischi geopolitici si materializzano ci sarà un allentamento della crescita, ma sarà del tutto diversa la situazione per i Paesi che hanno fatto le riforme”.
Tanto più che “la ripresa nell’area dell’euro è debole, frabile e disomogenea. Se guardiamo agli ultimi 2-3 mesi il trend di crescita è un pò rallentato”. E, appunto, i rischi geopolitici sono “cresciuti in tutto il mondo”, ma la crisi tra Russia e Ucraina “ha un peso maggiore sull’Europa” che nel resto del mondo. Le ripercussioni più temute sono soprattutto sui prezzi dell’energia, ma è difficile valutare le conseguenze e definire ora quali sono le opzioni nel futuro soprattutto se il conflitto si intensifica”. Difficoltoso quantificare anche “gli effetti delle sanzioni nei confronti della Russia e quello delle contro-sanzioni nei confronti dell’Ue”.
Al momento, però, secondo Draghi, “la crisi sui flussi finanziari e commerciali ha effetti molto limitati. Poche sono le istituzioni finanziarie che hanno legami con quelle russe”. Quanto alle banche di Mosca russe presenti nell’area dell’euro “avranno accesso agli strumenti di rifinanziamento ma dovranno far conoscere i loro bisogni in liquidità. Sarà dato soddisfazione alla loro richiesta se al termine dell’esame verrà determinato che queste liquidità non sono utilizzate per aggirare le misure restrittive decise a livello europeo”. Gli istituti di credito russi, ha aggiunto, “dovranno spiegare e giustificare le loro domande e il supervisore passerà al setaccio queste domande”. A proposito di banche, poi, soddisfazione e compiacimento per la soluzione portoghese del caso Banco Espirito Santo. “Le decisioni prese dalle Autorità portoghesi, dalla Bce e dall’Antitrust Ue su Banco Espirito Santo (Bes) sono state rapide e efficaci. La costituzione di una nuova banca e della bad bank ha rassicurato i mercati e le altre banche”, ha sottolineato Draghi. Tuttavia questo “non vuol dire che tutto il lavoro è stato ancora compiuto. Ora ci sarà il trasferimento degli asset alle due entità, bisognerà fissare il prezzo, guardare all’esposizione in Angola. Le azioni che sono state condotte hanno permesso di fare fronte alle perdite, alle difficoltà”. Il Fondo di Risoluzione, rileva Draghi, “è proprietario di questa banca e speriamo che provvederà a rivenderla al più presto. Nessun fondo pubblico è stato mobilizzato. Le differenze di prezzo durante il trasferimento degli asset dovranno essere assunti dal settore bancario e non dallo Stato”.
Quanto alla situazione generale, l’inflazione nell’eurozona “dovrebbe rimanere su livelli bassi nel corso dei prossimi mesi, per poi aumentare gradualmente durante il 2015 e il 2016”. Draghi ha quindi ribadito che il consiglio direttivo della Bce è pronto a utilizzare “tutte le misure non convenzionali, compreso il quantitative easing (l’immissione di liquidità nel sistema attraverso l’acquisto di beni sul modello seguito dalla Banca Centrale americana, ndr) se le prospettive nel medio termine sull’inflazione cambiano” in peggio. E all’interno del quantitative easing, “l’acquisto di titoli di Stato è sempre sul tavolo”, ha precisato a domanda puntuale. La Bce è cambiata con la crisi: “ha più strumenti a disposizione, perché in un tempo straordinario c’è bisogno di risposte straordinarie”, ma “agisce sempre all’interno del suo mandato, che resta quello di mantenere la stabilità dei prezzi”, ha quindi ribadito il concetto in implicita risposta ai suoi detrattori. “Siamo cresciuti ma non è cambiato il pilastro della nostra azione”.