Ottenere da Bruxelles, in vista della preparazione della legge di Stabilità, uno “sconto” sulla riduzione del debito che andrà messa a segno a partire dal prossimo anno per rispettare le regole del Fiscal compact. E portare a casa anche l’agognata flessibilità sul ritmo a cui occorre far dimagrire il rapporto deficit/Pil. Il tutto, eventualmente, nella cornice di un vero e proprio “accordo contrattuale” con la Ue, a cui il governo potrebbe delegare il compito di decidere quali sono le riforme prioritarie e quale il percorso da seguire per la loro attuazione. E’ lo scenario delineato da Repubblica e Messaggero. Secondo i quotidiani romani l’esecutivo di Matteo Renzi ha intenzione, fin dal Consiglio europeo straordinario di fine agosto, di discutere con i partner della possibilità di uno scambio tra flessibilità e riforme strutturali. Nulla di nuovo, detta così, ma si tratterebbe di un cambiamento radicale se davvero, come riporta il giornale della Capitale, “secondo il piano italiano dovranno essere l’Ecofin e poi il Consiglio europeo a stabilire le riforme ‘che devono essere considerate prioritarie’ e a indicare ‘gli incentivi ‘ per quagli Stati che le attuano – sotto monitoraggio europeo – ‘in modo coordinato’: più o meno la ‘cessione di sovranità’ invocata da Draghi“. Insomma: il retroscena prefigura esplicitamente il ricorso ai cosiddetti “contractual agreement” proposti da Angela Merkel: contratti tra la Commissione Ue e un singolo Stato che accetta di farsi dettare un piano di interventi e di portarlo avanti sotto la supervisione comunitaria in cambio di più margini per la riduzione del deficit e del debito. In pratica un’alternativa soft all’intervento diretto della troika. Una scelta che sembrerebbe in netto contrasto con quanto rivendicato dal presidente del Consiglio dopo la strigliata del presidente della Bce: “Non è l’Europa che ci deve dire cosa fare”, aveva attaccato Renzi. Che però pochi giorni dopo ha incontrato Mario Draghi in Umbria.
Il quotidiano di Largo Fochetti non si spinge a prevedere la firma di un accordo di questo tipo, ma si concentra sul contenuto della trattativa tra Roma e Bruxelles. Al centro del negoziato ci sarebbero le regole del Fiscal compact, che dal 2015 imporrà di ridurre di un ventesimo ogni anno la parte di debito pubblico eccedente il 60% del Pil (l’Italia ha superato quota 135%). Secondo Repubblica Renzi, alla luce dei recenti dati sul rallentamento dell’economia dell’intera Eurozona, Germania compresa, vuol chiedere per l’Italia e “per tutti i partner europei con un rapporto debito/pil appesantito” un dimezzamento della quota di riduzione della “zavorra”: non più 0,5% (un ventesimo, appunto), ma 0,25%. “Con un potenziale risparmio di diversi miliardi, tra i 4 e i 5”, che andrebbero ad alleggerire la legge di Stabilità riducendo i tagli a quota 15-17 miliardi. E, come effetto collaterale, la possibilità di “escludere una manovra correttiva a settembre”. In più, il governo vorrebbe ottenere la cancellazione dell’obbligo “di rispettare nel 2015 l’obiettivo fissato nell’ultimo Def di un rapporto deficit/Pil all’1,8%. L’asticella si potrebbe spostare verso il 2,2-2,4 per cento”.
Intanto dalla prima pagina del Corriere della Sera gli economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi suggeriscono al governo di sforare i parametri europei pur di far ripartire l’economia. Renzi, secondo il docente di Harvard e il collega della Bocconi, dovrebbe “tagliare subito e in modo permanente le tasse sul lavoro di almeno due punti di Pil (cioè circa 33 miliardi l’anno) e al tempo stesso approvare tagli di spesa della medesima entità” e “liberalizzare il mercato del lavoro affinché la maggior domanda che si creerebbe possa produrre posti di lavoro ‘veri’ e non solo precari“. Il deficit “per qualche anno aumenterebbe”, avvertono Alesina e Giavazzi, “con la conseguenza che violeremmo le regole europee”. E servirebbero dunque “un piano credibile di rientro e di riforme” che tranquillizzino i mercati. L’alternativa c’è: “Rimanere all’interno del 3% nel rapporto deficit-Pil” e “sperare che l’economia si riprenda da sola”. Ma “a noi pare che la situazione sia ormai così seria che i rischi della seconda strategia, cioè non contrastare con efficacia la recessione, siano maggiori della prima”.