Il mare? Non subirà contraccolpi. La spiaggia? Non sarà sfiorata. La pineta? Si passerà al di sotto. Gli ulivi? Si possono ripiantare. I muretti a secco? Verranno ricostruiti. I turisti? Torneranno a frotte. I residenti? Saranno ricompensati. Non sarà che un tubo invisibile. E non ci sarebbero ragioni, se non “sinceramente insensate”, per opporsi al gasdotto Tap. Parola di Giampaolo Russo, country manager della multinazionale svizzera che punta a costruire il metanodotto lungo 871 chilometri e che collegherà l’Azerbaijan con l’Europa, dopo aver attraversato per 510 chilometri la Grecia e per 151 l’Albania. L’approdo previsto in provincia di Lecce, a San Foca (marina di Melendugno), pare essere l’unica zanzara a disturbare un sonno tranquillo.
L’iter è a buon punto nonostante i no di Regione Puglia e Comuni interessati
“Entro fine agosto avremo l’ok definitivo”, ha infatti confermato Russo a Panorama a fine luglio. Nessun dubbio, nessuna titubanza. “Ci sono già un accordo intergovernativo firmato, un parere favorevole dell’Unione Europea e un iter lungo e complicatissimo che abbiamo accettato. Non vedo cos’altro potrebbe accadere”. Un dettaglio sembra essere il parere negativo della Regione Puglia nell’ambito della procedura di Valutazione di impatto ambientale: endoprocedimentale, non vincolante, perciò quasi insignificante. Una minuzia, poi, sarebbe il profondo dissenso che matura sul territorio tra delibere dei Comuni, controinformazione degli attivisti, rinunce a laute sponsorizzazioni. E’ la commissione nazionale Via a dover dare il vero responso, che si attendeva già alla fine del mese scorso. Se anche dovesse non essere affermativo, c’è poi la tappa dell’Autorizzazione unica necessaria per avviare i lavori.
Il pressing internazionale e il ruolo di Tony Blair
E, ad ogni modo, il colosso del gas un’altra strada pensa di trovarla comunque: sarà la politica a decidere. Anche a costo di scavalcare il volere del Salento? Probabilmente sì. Il pressing internazionale si fa sentire e si concentra: il 14 luglio, il presidente della Repubblica dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, è volato fino a Roma per incontrare il presidente del Consiglio Matteo Renzi in seduta riservatissima. E’ degli inizi di agosto la notizia, riportata dal quotidiano inglese Guardian, di Tony Blair, ex premier laburista britannico, diventato lobbista per il consorzio che realizzerà l’opera, con il compito di facilitare la soluzione dei problemi “politici, sociali e di reputazione” con cui si sta scontrando il progetto.
Le resistenza del territorio per salvare l’economia del turismo
La resistenza del territorio, si diceva, un fastidioso ronzio. L’incubo di una nuova Val di Susa agita quella che da sempre è stata considerata una periferia dell’impero. Il ruolo di protagonista, di modello nel rilancio del Mezzogiorno, qual è diventato il Leccese, cambia, tuttavia, i termini della questione. Perché gli assi nella manica che ha tirato fuori una delle province più povere d’Italia per Pil pro capite non sono altro che le sue bellezze naturali, storiche e culturali. E la ruota, da dieci anni a questa parte, ha preso a girare. Ecco perché la levata di scudi è così fragorosa: il sì ad una grande opera come la Trans Adriatic Pipeline è avvertito come un tentativo di sconfessare il percorso fatto finora, che ha portato i suoi frutti ma è ancora agli albori, fragilissimo.
La multinazionale: “Nessuna cicatrice sul territorio”
“Nessuna ripercussione, nessuna cicatrice”, ha garantito a più riprese la multinazionale. Sul suo sito ufficiale, si legge: “La realizzazione del gasdotto non comporterà l’industrializzazione dell’area né tantomeno apporterà modifiche al magnifico paesaggio”. A corredo, foto del prima e del dopo l’interramento di un tubo in un grande prato verde. Peccato che la zona interessata dal cantiere sia decisamente un’altra cosa. Bisogna attraversarli quei luoghi, bisogna sobbarcarsi la fatica di esplorarli metro per metro, di ascoltare storie e persone per capire cosa siano davvero: un groviglio senza soluzione di continuità di ulivi spesso secolari, macchia mediterranea che incornicia le strade, piccoli e redditizi allevamenti di asini e capre, costruzioni rurali minute e abitazioni, tratturi che corrono a breve distanza da chiesette e dolmen preistorici. Il ripristino ambientale obbligatorio non potrà restituire tutto questo. E’ solo poesia? No, è diventata anche economia.
Oltre al tubo a San Foca, ci sarà da fare il collegamento con la rete nazionale a Mesagne
“L’impatto residuale sarà comunque oggetto di compensazione”, ribadisce Tap. Ma sono soldi che, forse per una delle prime volte in questa terra, paiono avere meno valore di quanto si andrà a perdere frammentando, scomponendo un puzzle mozzafiato. Senza contare, inoltre, che da Melendugno Snam dovrà proseguire i lavori fino a Mesagne, in provincia di Brindisi, per il collegamento alla rete nazionale. E’ a 800 metri dal litorale di San Foca che, a 18 metri di profondità, si infilerà un “microtunnel” largo tre metri e lungo due chilometri. Così come descritto nel progetto definitivo stilato da Saipem, all’imboccatura, sul fondale, sarà costruito un terrapieno in calcestruzzo cementizio, proprio di fronte alla spiaggia che per il quarto anno consecutivo ha conquistato la bandiera blu. Il tubo scaverà come una talpa il sottosuolo, per riemergere, al di là della pineta a ridosso della litoranea, in un pozzo artificiale, da dove prosegue per otto chilometri nell’entroterra. Lungo quel percorso interrato di un metro, saranno abbattuti 1.900 ulivi, da sistemare altrove o tramutare in legna da ardere.
La centrale di depressurizzazione: un ecomostro tra ulivi e muretti a secco
C’è un vociare di cicale assordante nella campagna dove, tra masserie e trulli, subito fuori il centro abitato, dovrà essere costruita la centrale di depressurizzazione. Sarà estesa su dodici ettari, abbellita sì da arbusti e pietre locali, ma ospiterà due macchine termiche a gas della potenza di 3,5 megawatt, con due camini alti dieci metri per smaltire i fumi delle combustioni. E’ il motivo fondamentale per cui in campo contro la realizzazione dell’opera è scesa anche la Lilt: il Salento, che detiene l’anomalo primato italiano per tumori al polmone negli uomini, non può permettersi di inalare altre emissioni.
Tra cinquant’anni le opere saranno abbandonate sul territorio
Poi, c’è il capitolo dismissione: a fine vita, tra cinquant’anni, si prevede che le condutture in terra e in mare siano lasciate in loco come opera persa. Arrivederci e grazie, Tap saluterà San Foca. Dove, però, resteranno ovvi “problemi di liberazione progressiva di polimeri, metalli, residui solidi del passaggio del gas naturale oltre che naturalmente gli altri problemi geomorfologici e geoidrologici, biologici e ecosistemici in genere legati alla presenza dell’infrastruttura”. E’ uno dei passaggi più delicati del controrapporto depositato dal Comune di Melendugno al Ministero dell’Ambiente ed elaborato da decine di tecnici, giuristi, docenti universitari, sotto il coordinamento di Dino Borri, ordinario di Ingegneria del territorio al Politecnico di Bari. E’ alla luce di tutte le considerazioni tecniche e della conoscenza vera del contesto in cui andrà a incunearsi che, più che un tubicino, Tap torna ad assumere i contorni di quello che è: un’opera di ingegneria industriale dall’impatto ambientale non indifferente.
Aspetto occupazionale: 50 posti di lavoro, ma è difficile che vadano agli italiani
Servirà a portare “sviluppo”? Durante il cantiere, tra il 2016 e il 2019, impiegherà a tempo determinato circa cinquanta persone, che saranno ridotte a una decina nella fase di esercizio. Per ammissione della stessa società (Rapporto di Via, Allegato Impatti e Mitigazioni), non si potranno assumere preferenzialmente lavoratori locali o italiani rispetto ad altri candidati maggiormente qualificati. Anzi, nel documento Esia si parla chiaramente di “aspettative disattese in termini di occupazione di forza lavoro locale”. Ci sarà posto, magari, per qualche vigilante o giardiniere. E “saranno meno di quanti una buona pasticceria sa impiegare già in zona”, ha sottolineato Borri. Certo, ci sarà anche l’indotto. Ma è poca cosa rispetto a quello che si ha già e si potrebbe avere ancora: solo nell’estate 2013, San Foca è stata in grado di calamitare circa 400mila presenze turistiche stimate. Il gasdotto servirà all’Italia? I dubbi non mancano, dati i consumi in continuo calo e la sovrabbondanza di metano ora esistente, per quanto si abbia l’ambizione di diventare l’hub del gas per l’Ue. Tap servirà, dunque, all’Europa? E’ considerata “opera strategica” da Bruxelles. Di sicuro, però, da sola non basterà a compensare il fabbisogno ora coperto da Gazprom e a sganciarsi dalla Russia. Servirà, quindi, solo all’Azerbaijan e alla stessa multinazionale?
Foto di Emiliano Buffo
Ambiente & Veleni
Tap, il gasdotto che preoccupa il Salento servirà tanto all’Europa e poco all’Italia
La Regione Puglia e i Comuni interessati sono contrari, ma la partita è a livello internazionale e la multinazionale svizzera che costruirà l'impianto si dice certa di avere a breve il nulla osta definitivo dal Ministero. Non solo: garantisce che l'impatto ambientale della Trans Adriatic Pipeline sarà minimo, ma gli operatori turistici e i cittadini leccesi la pensano diversamente. Sul territorio non ci saranno ricadute occupazionali, ma 'solo' il tubo che unirà San Foca all'Albania, quello che collegherà il litorale a Mesagne e la centrale di depressurizzazione tra ulivi e muretti a secco. E tra cinquant'anni tutte le opere verranno abbandonate
Il mare? Non subirà contraccolpi. La spiaggia? Non sarà sfiorata. La pineta? Si passerà al di sotto. Gli ulivi? Si possono ripiantare. I muretti a secco? Verranno ricostruiti. I turisti? Torneranno a frotte. I residenti? Saranno ricompensati. Non sarà che un tubo invisibile. E non ci sarebbero ragioni, se non “sinceramente insensate”, per opporsi al gasdotto Tap. Parola di Giampaolo Russo, country manager della multinazionale svizzera che punta a costruire il metanodotto lungo 871 chilometri e che collegherà l’Azerbaijan con l’Europa, dopo aver attraversato per 510 chilometri la Grecia e per 151 l’Albania. L’approdo previsto in provincia di Lecce, a San Foca (marina di Melendugno), pare essere l’unica zanzara a disturbare un sonno tranquillo.
L’iter è a buon punto nonostante i no di Regione Puglia e Comuni interessati
“Entro fine agosto avremo l’ok definitivo”, ha infatti confermato Russo a Panorama a fine luglio. Nessun dubbio, nessuna titubanza. “Ci sono già un accordo intergovernativo firmato, un parere favorevole dell’Unione Europea e un iter lungo e complicatissimo che abbiamo accettato. Non vedo cos’altro potrebbe accadere”. Un dettaglio sembra essere il parere negativo della Regione Puglia nell’ambito della procedura di Valutazione di impatto ambientale: endoprocedimentale, non vincolante, perciò quasi insignificante. Una minuzia, poi, sarebbe il profondo dissenso che matura sul territorio tra delibere dei Comuni, controinformazione degli attivisti, rinunce a laute sponsorizzazioni. E’ la commissione nazionale Via a dover dare il vero responso, che si attendeva già alla fine del mese scorso. Se anche dovesse non essere affermativo, c’è poi la tappa dell’Autorizzazione unica necessaria per avviare i lavori.
Il pressing internazionale e il ruolo di Tony Blair
E, ad ogni modo, il colosso del gas un’altra strada pensa di trovarla comunque: sarà la politica a decidere. Anche a costo di scavalcare il volere del Salento? Probabilmente sì. Il pressing internazionale si fa sentire e si concentra: il 14 luglio, il presidente della Repubblica dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, è volato fino a Roma per incontrare il presidente del Consiglio Matteo Renzi in seduta riservatissima. E’ degli inizi di agosto la notizia, riportata dal quotidiano inglese Guardian, di Tony Blair, ex premier laburista britannico, diventato lobbista per il consorzio che realizzerà l’opera, con il compito di facilitare la soluzione dei problemi “politici, sociali e di reputazione” con cui si sta scontrando il progetto.
Le resistenza del territorio per salvare l’economia del turismo
La resistenza del territorio, si diceva, un fastidioso ronzio. L’incubo di una nuova Val di Susa agita quella che da sempre è stata considerata una periferia dell’impero. Il ruolo di protagonista, di modello nel rilancio del Mezzogiorno, qual è diventato il Leccese, cambia, tuttavia, i termini della questione. Perché gli assi nella manica che ha tirato fuori una delle province più povere d’Italia per Pil pro capite non sono altro che le sue bellezze naturali, storiche e culturali. E la ruota, da dieci anni a questa parte, ha preso a girare. Ecco perché la levata di scudi è così fragorosa: il sì ad una grande opera come la Trans Adriatic Pipeline è avvertito come un tentativo di sconfessare il percorso fatto finora, che ha portato i suoi frutti ma è ancora agli albori, fragilissimo.
La multinazionale: “Nessuna cicatrice sul territorio”
“Nessuna ripercussione, nessuna cicatrice”, ha garantito a più riprese la multinazionale. Sul suo sito ufficiale, si legge: “La realizzazione del gasdotto non comporterà l’industrializzazione dell’area né tantomeno apporterà modifiche al magnifico paesaggio”. A corredo, foto del prima e del dopo l’interramento di un tubo in un grande prato verde. Peccato che la zona interessata dal cantiere sia decisamente un’altra cosa. Bisogna attraversarli quei luoghi, bisogna sobbarcarsi la fatica di esplorarli metro per metro, di ascoltare storie e persone per capire cosa siano davvero: un groviglio senza soluzione di continuità di ulivi spesso secolari, macchia mediterranea che incornicia le strade, piccoli e redditizi allevamenti di asini e capre, costruzioni rurali minute e abitazioni, tratturi che corrono a breve distanza da chiesette e dolmen preistorici. Il ripristino ambientale obbligatorio non potrà restituire tutto questo. E’ solo poesia? No, è diventata anche economia.
Oltre al tubo a San Foca, ci sarà da fare il collegamento con la rete nazionale a Mesagne
“L’impatto residuale sarà comunque oggetto di compensazione”, ribadisce Tap. Ma sono soldi che, forse per una delle prime volte in questa terra, paiono avere meno valore di quanto si andrà a perdere frammentando, scomponendo un puzzle mozzafiato. Senza contare, inoltre, che da Melendugno Snam dovrà proseguire i lavori fino a Mesagne, in provincia di Brindisi, per il collegamento alla rete nazionale. E’ a 800 metri dal litorale di San Foca che, a 18 metri di profondità, si infilerà un “microtunnel” largo tre metri e lungo due chilometri. Così come descritto nel progetto definitivo stilato da Saipem, all’imboccatura, sul fondale, sarà costruito un terrapieno in calcestruzzo cementizio, proprio di fronte alla spiaggia che per il quarto anno consecutivo ha conquistato la bandiera blu. Il tubo scaverà come una talpa il sottosuolo, per riemergere, al di là della pineta a ridosso della litoranea, in un pozzo artificiale, da dove prosegue per otto chilometri nell’entroterra. Lungo quel percorso interrato di un metro, saranno abbattuti 1.900 ulivi, da sistemare altrove o tramutare in legna da ardere.
La centrale di depressurizzazione: un ecomostro tra ulivi e muretti a secco
C’è un vociare di cicale assordante nella campagna dove, tra masserie e trulli, subito fuori il centro abitato, dovrà essere costruita la centrale di depressurizzazione. Sarà estesa su dodici ettari, abbellita sì da arbusti e pietre locali, ma ospiterà due macchine termiche a gas della potenza di 3,5 megawatt, con due camini alti dieci metri per smaltire i fumi delle combustioni. E’ il motivo fondamentale per cui in campo contro la realizzazione dell’opera è scesa anche la Lilt: il Salento, che detiene l’anomalo primato italiano per tumori al polmone negli uomini, non può permettersi di inalare altre emissioni.
Tra cinquant’anni le opere saranno abbandonate sul territorio
Poi, c’è il capitolo dismissione: a fine vita, tra cinquant’anni, si prevede che le condutture in terra e in mare siano lasciate in loco come opera persa. Arrivederci e grazie, Tap saluterà San Foca. Dove, però, resteranno ovvi “problemi di liberazione progressiva di polimeri, metalli, residui solidi del passaggio del gas naturale oltre che naturalmente gli altri problemi geomorfologici e geoidrologici, biologici e ecosistemici in genere legati alla presenza dell’infrastruttura”. E’ uno dei passaggi più delicati del controrapporto depositato dal Comune di Melendugno al Ministero dell’Ambiente ed elaborato da decine di tecnici, giuristi, docenti universitari, sotto il coordinamento di Dino Borri, ordinario di Ingegneria del territorio al Politecnico di Bari. E’ alla luce di tutte le considerazioni tecniche e della conoscenza vera del contesto in cui andrà a incunearsi che, più che un tubicino, Tap torna ad assumere i contorni di quello che è: un’opera di ingegneria industriale dall’impatto ambientale non indifferente.
Aspetto occupazionale: 50 posti di lavoro, ma è difficile che vadano agli italiani
Servirà a portare “sviluppo”? Durante il cantiere, tra il 2016 e il 2019, impiegherà a tempo determinato circa cinquanta persone, che saranno ridotte a una decina nella fase di esercizio. Per ammissione della stessa società (Rapporto di Via, Allegato Impatti e Mitigazioni), non si potranno assumere preferenzialmente lavoratori locali o italiani rispetto ad altri candidati maggiormente qualificati. Anzi, nel documento Esia si parla chiaramente di “aspettative disattese in termini di occupazione di forza lavoro locale”. Ci sarà posto, magari, per qualche vigilante o giardiniere. E “saranno meno di quanti una buona pasticceria sa impiegare già in zona”, ha sottolineato Borri. Certo, ci sarà anche l’indotto. Ma è poca cosa rispetto a quello che si ha già e si potrebbe avere ancora: solo nell’estate 2013, San Foca è stata in grado di calamitare circa 400mila presenze turistiche stimate. Il gasdotto servirà all’Italia? I dubbi non mancano, dati i consumi in continuo calo e la sovrabbondanza di metano ora esistente, per quanto si abbia l’ambizione di diventare l’hub del gas per l’Ue. Tap servirà, dunque, all’Europa? E’ considerata “opera strategica” da Bruxelles. Di sicuro, però, da sola non basterà a compensare il fabbisogno ora coperto da Gazprom e a sganciarsi dalla Russia. Servirà, quindi, solo all’Azerbaijan e alla stessa multinazionale?
Foto di Emiliano Buffo
Lady Etruria
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(Adnkronos) - Serie di attacchi aerei di Israele nella Striscia di Gaza, ripresi nella notte su ordine di Benjamin Netanyahu, che ha ordinato "la ripresa della guerra" contro Hamas, dopo che gli sforzi per estendere il cessate il fuoco sono falliti. Il bilancio delle vittime continua a salire. Secondo il direttore del ministero della Sanità della Striscia, Mohammed Zaqout, i morti sono saliti "ad almeno 330, per la maggior parte donne e bambini palestinesi, mentre i feriti sono centinaia"
Secondo quanto appreso dall'Afp da due fonti del movimento di resistenza islamico, tra le vittime c'è anche il generale di divisione Mahmoud Abu Watfa, che era a capo del ministero dell'Interno del governo di Hamas.
L'ufficio del primo ministro Netanyahu ha dichiarato che lui e il ministro della Difesa Israel Katz hanno dato istruzioni alle Forze di Difesa Israeliane (Idf) di intraprendere “un'azione forte contro l'organizzazione terroristica di Hamas” nella Striscia di Gaza. “Questo fa seguito al ripetuto rifiuto di Hamas di rilasciare i nostri ostaggi, così come al suo rifiuto di tutte le proposte ricevute dall'inviato presidenziale statunitense Steve Witkoff e dai mediatori”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in un post su X. “Israele, d'ora in poi, agirà contro Hamas con una forza militare crescente”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in una dichiarazione riportata dal Times of Israel, aggiungendo che i piani per la ripresa delle operazioni militari sono stati approvati la scorsa settimana dalla leadership politica.
Israele continuerà a combattere a Gaza "fino a quando gli ostaggi non saranno tornati a casa e non saranno stati raggiunti tutti gli obiettivi", ha affermato Katz.
La Casa Bianca dal canto suo ha confermato che Israele ha consultato l'amministrazione americana prima di lanciare la nuova ondata di raid. "Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per estendere il cessate il fuoco, invece ha scelto il rifiuto e la guerra", ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, Brian Hughes, al Times of Israel, dopo la ripresa dei raid israeliani contro la Striscia di Gaza.
Dal canto suo Hamas ha dichiarato che Netanyahu, con la sua decisione di "riprendere la guerra", "ha condannato a morte gli ostaggi" che si trovano ancora a Gaza. "Netanyahu e il suo governo estremista hanno deciso di sabotare l'accordo di cessate il fuoco - accusa il movimento in una nota - La decisione di Netanyahu di riprendere la guerra è la decisione di sacrificare i prigionieri dell'occupazione e di imporre loro la condanna a morte”. Hamas denuncia poi che il premier israeliano continua a usare la guerra a Gaza come "una scialuppa di salvataggio" per distrarre dalla crisi politica interna.
Hamas ha quindi esortato i mediatori internazionali a “ritenere l'occupazione israeliana pienamente responsabile della violazione dell'accordo” e ha sottolineato la necessità di “fermare immediatamente l'aggressione”.
Il cessate il fuoco era rimasto in vigore per circa due settimane e mezzo dopo la conclusione della prima fase, mentre i mediatori lavoravano per mediare nuovi termini per l'estensione della tregua. Hamas ha insistito per attenersi ai termini originali dell'accordo, che sarebbe dovuto entrare in vigore nella sua seconda fase all'inizio del mese. Questa fase prevedeva che Israele si ritirasse completamente da Gaza e accettasse di porre fine definitivamente alla guerra in cambio del rilascio degli ostaggi ancora in vita. Sebbene Israele abbia firmato l'accordo, Netanyahu ha insistito a lungo sul fatto che Israele non porrà fine alla guerra fino a quando le capacità militari e di governo di Hamas non saranno state distrutte. Di conseguenza, Israele ha rifiutato anche solo di tenere colloqui sui termini della fase due, che avrebbe dovuto iniziare il 3 febbraio.
Gli Houthi dello Yemen "condannano la ripresa dell'aggressione del nemico sionista contro la Striscia di Gaza". "I palestinesi non verranno lasciati soli in questa battaglia e lo Yemen continuerà con il suo sostegno e la sua assistenza e intensificherà il confronto", minaccia il Consiglio politico supremo degli Houthi, che da anni l'Iran è accusato di sostenere, come riportano le tv satellitari arabe.
Genova, 18 mar. (Adnkronos) - Tragedia nella notte a Genova in via Galliano, nel quartiere di Sestri Ponente, dove un ragazzo di 29 anni è morto in un incendio nell'appartamento in cui abitava. L'incendio ha coinvolto 15 persone di cui quattro rimaste ferite, la più grave la madre del 29enne, ricoverata in codice rosso al San Martino. Altre tre persone sono state ricoverate in codice giallo all'ospedale di Villa Scassi. Sul posto la polizia che indaga sulla dinamica.
Dalle prime informazioni si sarebbe trattato di un gesto volontario del giovane che si sarebbe dato fuoco.
Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.