“Armare i curdi senza portare avanti una decisa azione politica potrebbe portare l’Iraq alla rovina”. Le commissioni di Camera e Senato hanno approvato l’invio di aiuti militari ai combattenti del Kurdistan per fermare l’avanzata dello Stato Islamico, ma secondo gli analisti per risolvere il problema in Iraq serve ben altro. Il presidente del Ce.S.I., Centro Studi Internazionali, e consigliere strategico del ministro della Difesa, Andrea Margelletti, auspica una lotta al califfato islamico che non sia solo militare, ma anche e, soprattutto, politica.
Andrea Margelletti, com’è possibile che un esercito come quello iracheno, addestrato, numeroso e sostenuto dalle potenze occidentali, non sia stato in grado di fermare l’avanzata dello Stato Islamico?
Vede, in guerra il fattore che conta di più è la motivazione. Da una parte abbiamo un gruppo terroristico, meno numeroso dei militari iracheni, ma mosso da forti ideali, per quanto sbagliati possano essere. Un gruppo di combattenti poco addestrati ma molto abili nel convincere e motivare i propri miliziani. Dall’altra c’è l’esercito dell’Iraq che risente delle forti spaccature all’interno delle istituzioni e composto da uomini che non sono mossi da forti motivazioni. Vede, se io e lei facciamo a pugni con 5 persone e siamo molto più motivati di loro, vinciamo.
Per questo si è deciso di armare i peshmerga curdi? Per le loro motivazioni?
Loro sono certamente più motivati dell’esercito iracheno, ma non si speri di risolvere la situazione semplicemente dando loro le armi. Non possiamo armarli nella speranza che questi si sostituiscano all’esercito regolare e sconfiggano lo Stato Islamico. Io sono del parere che gli interventi militari debbano essere portati avanti secondo strategie studiate e mirati al raggiungimento di precisi obiettivi. L’obiettivo è sconfiggere l’IS? Ok, non basta un intervento militare, ma è necessario mettere tutte le parti in gioco sedute allo stesso tavolo, a Baghdad, per risolvere un problema che è, prima di tutto, politico. Dare semplicemente armi ai curdi potrebbe portare al definitivo sgretolamento del paese.
Da cosa si deve partire per dare il via a questo cambiamento politico?
È necessario portare dalla nostra parte chi appoggia lo Stato Islamico, combattendolo quindi dal suo interno. Dobbiamo riconquistare le tribù di Al Anbar, le stesse che combatterono contro Al Qaeda e che oggi appoggiano l’IS. Ciò che preoccupa, ma che nessuno dice, non è tanto l’avanzata dei miliziani di Abu Bakr al-Baghdadi verso il Kurdistan, ma il fatto che, nei territori del califfato, lo Stato Islamico abbia un controllo politico e sociale che lo rende potentissimo. Le forze occidentali e lo stato iracheno devono minare questa struttura fin dalle basi, trattando con queste tribù perchè tolgano l’appoggio agli jihadisti.
La destituzione dell’ex primo ministro iracheno, Nuri Al Maliki, è un primo passo in quella direzione?
Direi di sì. Al Maliki e la sua politica sono tra le principali cause di questa situazione. Non è stato capace di garantire una coalizione nazionale che tenesse fuori gli estremismi, anzi si può dire che ha proprio remato contro. Se le tribù di Al Anbar hanno preferito mettersi con i tagliagole del’IS piuttosto che appoggiare il primo ministro un motivo ci sarà.
Adesso, però, sono necessarie azioni rapide e incisive. Come ci si deve muovere?
Sicuramente un’azione militare è necessaria.
Solo aerea o pensa anche a operazioni di terra?
No, solo aerea. Non abbiamo né la forza economica di portare avanti l’ennesima campagna militare in Medio Oriente, né la voglia di aprire un nuovo fronte.
I raid aerei, i curdi che tentano di fermare l’avanzata dello Stato Islamico e la ricerca di una coalizione nazionale saranno sufficienti?
Non lo so, lo spero. Di sicuro posso solo dire che un’azione militare senza, in parallelo, una discussione politica non porterà alcun successo. Ci stiamo focalizzando troppo sul ruolo svolto dai curdi, come se fossero loro a dover salvare l’Iraq. L’obiettivo principale, invece, deve essere la lotta allo Stato Islamico e questa può essere portata avanti solo se si realizza una coalizione politica nazionale.
In poco tempo l’IS è cresciuto e ha conquistato vasti territori tra Siria e Iraq. Tutto questo non era prevedibile?
Assolutamente sì. Le dirò di più: noi come Centro Studi Internazionali lo scriviamo e diciamo da tempo, ma noi siamo analisti e non prendiamo decisioni di tipo politico.
Non crede che, una volta sconfitto l’IS, i curdi avanzeranno richieste d’indipendenza per il contributo offerto?
«Per questo c’è la politica, per evitare che quelle richieste possano diventare realtà».