Un sistema composto da politici, imprenditori amici ed esponenti di Cosa Nostra: un do ut des fatto di voti elargiti dagli uomini della piovra in cambio di concessioni e appalti pubblici. Sullo sfondo il ruolo del potentissimo editore Mario Ciancio Sanfilippo. È il quadro che emerge dalle motivazioni della sentenza che il 19 febbraio scorso ha condannato Raffaele Lombardo a sei anni e otto mesi di carcere per concorso esterno a Cosa Nostra.”Appare provato – scrive il gup di Catania Marina Rizza nelle 325 pagine di motivazione – che Lombardo abbia contribuito sistematicamente e consapevolmente, anche mediante le relazioni derivanti dalla sua pregressa militanza in più partiti politici, alle attività e al raggiungimento degli scopi criminali dell’associazione mafiosa per il controllo di appalti e servizi pubblici”.
Sono almeno tre, secondo la sentenza di primo grado, i casi in cui l’ex governatore della Regione Siciliana sarebbe stato in contatto con boss di Cosa Nostra etnea, eredi del sodalizio Santapaola – Ercolano: appaiono infatti provati per il giudice i contatti con il boss di Caltagirone Ciccio La Rocca, con il boss di Enna Raffaele Bevilacqua e con il plenipotenziario di Ramacca Rosario Di Dio. “L’ex presidente – spiega il giudice – ha sollecitato, direttamente o indirettamente, i vertici di Cosa nostra a reperire voti per lui e per il partito per cui militava in alcune competizioni elettorali, le regionali in Sicilia del 2001 e nel 2008 e le provinciali a Enna nel 2003, ingenerando nei medesimi il convincimento sulla sua disponibilità a assecondare la consorteria mafiosa nel controllo di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici”.
La storia giudiziaria dell’ex presidente della Sicilia, però, non è soltanto una vicenda di scambio di voti e favori con Cosa Nostra: è soprattutto un affare con al centro imprenditori di prima grandezza. “Il contributo più rilevante – continua il gup – concreto e effettivo prestato dal Lombardo all’associazione Santapaola-Ercolano a ben vedere, consiste nella creazione di un complesso sistema organizzativo ed operativo di cui facevano parte, quali componenti parimenti necessari, gli imprenditori amici e gli esponenti della famiglia, creando vantaggi di cui beneficiava anche l’associazione mafiosa”. Il modus operandi del sistema era semplice: “Acquistavano terreni agricoli nella prospettiva di ottenerne la variazione di destinazione urbanistica, e poi realizzare elevati guadagni con la plusvalenza della proprieta”.
Negli anni i casi di speculazione simile a cavallo dell’asse Lombardo – Cosa Nostra sarebbero stati almeno quattro. Le motivazioni della sentenza, non si fermano qui: il gup infatti racconta anche del ruolo fondamentale giocato da Mario Ciancio Sanfilippo, potentissimo editore del quotidiano La Sicilia, già ai vertici di Fieg e Ansa, ancora oggi indagato per concorso esterno dalla stessa procura etnea. Secondo il giudice Rizza infatti in almeno due affari Ciancio sarebbe stato socio di un esponente di Cosa Nostra palermitana. “Il modus operandi e la presenza di elementi vicini alla mafia palermitana fanno ritenere con un elevato coefficiente di probabilità che lo stesso Ciancio fosse soggetto assai vicino al detto sodalizio”.
Secondo il giudice quindi i rapporti tra Ciancio e la mafia etnea sarebbero passati “attraverso i contatti con Cosa nostra di Palermo”: in quel modo l’editore “avrebbe quindi apportato un contributo concreto, effettivo e duraturo alla ‘famiglia’ catanese”. Gli atti su Ciancio prodotti al processo Lombardo sono dunque stati trasmessi alla procura di Catania, che da due anni lo indaga per concorso esterno, dopo essersi vista per due volte bocciare la richiesta di archiviazione. L’editore, dal portale on line del suo giornale, ha duramente replicato alle notizie diffuse dalle agenzie di stampa sulle motivazioni della sentenza, tirando in ballo direttamente Giovanni Salvi, il capo della procura etnea. “Sorprende la gravità di una valutazione in ordine alla posizione di una persona estranea al processo e che non ha potuto certamente interloquire con il giudice. Ho dato mandato ai miei avvocati di affrontare immediatamente i temi sollevati dal Gup con l’unico interlocutore possibile, il Procuratore della Repubblica di Catania il quale certamente non ha bisogno di un giudice che gli dica cosa fare”.
Lombardo al momento non ha rilasciato alcuna dichiarazione. Il leader del Movimento per l’Autonomia si era dimesso da governatore il 30 luglio del 2012 dopo che il gip Luigi Barone me aveva ordinato l’imputazione coatta, rispondendo alla richiesta di archiviazione avanzata dalla procura. Seppur soltanto in primo grado, Lombardo è il secondo governatore della Sicilia condannato consecutivamente per fatti di mafia, dopo il caso del suo predecessore Totò Cuffaro, al momento detenuto nel carcere di Rebibbia dove sta scontando la pena definitiva a sette anni per favoreggiamento aggravato.
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