Il fungo viene dall’Africa e porta un nome minaccioso: Peronospora Belbahrii. Si annida nel seme della pianta e la infetta durante la fioritura. O attraverso le spore delle piante malate, trasportato dal vento o dalle mani degli ortolani, attacca le foglie delle piante sane al momento della germinazione. Il risultato è identico: la pianta di basilico muore. In Liguria l’insidia si è manifestata una decina di anni fa, l’anno scorso aveva pressoché dimezzato i raccolti. Quest’anno, i coltivatori hanno adottato le opportune contromisure preventive. Eppure l’allarme non è cessato. Il connubio fra la presezza del parassita e il ricorrente maltempo che ha saturato l’aria di umidità, minaccia di provocare altri gravi danni. Qua e là, a macchia di leopardo.
Ufficiosamente nessuno accetta di fare previsioni precise, ma la quantità di prodotto destinato ad andare perduta si attesta attorno al terzo del totale. Circa novemila quintali. In Liguria sono un centinaio le aziende che lo coltivano, con un valore commerciale attorno ai 6 milioni di euro l’anno, che salgono a 15 conteggiando l’indotto. I lavoratori occupati nel settore sono 500 e 50 sono le aziende di trasformazione. In termini di mazzetti ne vengono prodotti ogni anno oltre un milione (precisamente 1.072.000), che equivalgono a 28mila quintali di prodotto. In tutta l’Italia nel 2000 si coltivavano a basilico appena 83 ettari, nel 2013 sono diventati 800, dei quali 100 in Liguria. La patria del basilico Dop. E del pesto, la salsa fredda più diffusa al mondo.
Il basilico ligure dal 1996 ha otteeuto la Dop (la denominazione di origine protetta) dalla Commissione europea. Dice a ilfattoquotidiano.it Giovanni Minuto, direttore del Cersa, il Centro Regionale di Sperimentazione Agraria della Camera di Commercio di Savona, che ha sede ad Albenga: “Nel 2013 registrammo perdite di prodotto oltre il 50%, sebbene con danni variabili da zona a zona, e il parassita si rivelò particolarmente aggressivo. Questa volta molti agricoltori sono intervenuti per tempo utilizzando antiparassitari che hanno circoscritto l’azione della Peronospora”. Minuto esclude rischi per la salute umana derivanti dall’uso dei fitofarmaci antifungo. “Faccio parte della Commissione europea che si occupa di regolamentare l’uso di questi prodotti. Dal 1994 due terzi degli antiparassitari utilizzati fino ad allora sono stati vietati. Gli agricoltori stessi sono i primi a rifiutarsi di impiegare prodotti tossici, a salvaguardia della propria salute”.
Esiste viceversa, ed è conclamato, il problema della applicazione uniforme delle normative europee in materia. L’Italia non ha dato il via libera ad una serie di antiparassitari impiegati in altre nazioni, come la Francia. Fitofarmaci di nuova generazione, che sarebbero preziosi per contrastare l’avanzata del fungo. Problemi burocratici – pare che manchino i formulari da compilare per le domande impediscono ai nostri coltivatori di utlizzarli. Il malcontento monta e le proteste si sprecano. “Ci stiamo lavorando – spiega Minuto – assieme alle associazioni di categoria e col Ministero della Salute“. Il Cespe è impegnato a ‘resuscitare’ varietà di basilico abbandonate da tempo. “Un paio di queste varietà vennero scartate negli anni Ottanta perché sensibili ad un altro parassita, il Fusarium. Fortunatamente le sementi furono conservate e oggi stiamo effettuando esperimenti su quelle sementi per testare il loro grado di resistenza alla Peronospora, che si annuncia elevato. Occorreranno 34 anni però prima che il programma di miglioramento del seme sia portato a termine e si possa tornare a coltivarle”.
Giuseppe Barbagallo, assessore all’Agricoltura della Regione Liguria, dice a ilfattoquotidiano.it: “Da un anno e mezzo stiamo lavorando per ridurre i danni provocati dalla Peronospora. Se i danni si verificassero non avremmo fondi per risarcire gli agricoltori, gli interventi di finanziamento del piano rurale riguardano esclusivamente il rifacimento delle attrezzature e il rinnovo delle coltivazioni. Negli ultini anni la coltivazione del basilico si è diffusa enormemente in tutta la Liguria, in conseguenza della domanda crescente che proviene soprattutto dall’industria di trasformazione”. Mario Anfossi, presidente del Consorzio del Basilico Dop ligure e proprietario di 47 ettari coltivati a basilico, la varietà Ocimum basilicum nella piana di Albenga, non coglie motivi di particolare allarme: “Siamo intervenuti per tempo contro il fungo. Abbiamo seminato in maggio il seme “conciato”, una pratica che consiste nell’avvelenare il seme con antiparassitari, contrastando così subito lo sviluppo del fungo e permettendo alla pianta di crescere protetta. Qui da noi il basilico è stupendo, un mese fa in effetti dava segni di sofferenza. Oggi non è possibile fare un bilancio, il raccolto in pieno campo (ossia all’aria aperta, ndr) si prolungherà fino ad ottobre e solo allora potremo verificare i danni causati dalla Pronospora”. E’ dunque il basilico coltivato in serra anche d’estate ad aver sofferto maggiormente l’assalto del parassita africano.