Lo spauracchio tante volte evocato negli ultimi mesi, quello della deflazione, si materializza per l’Italia proprio nel giorno del già ridimensionato Consiglio dei ministri con cui Matteo Renzi voleva “stupire” gli italiani. E va a braccetto con un nuovo scatto in avanti della disoccupazione. In agosto l’indice dei prezzi al consumo misurato dall’Istat ha segnato un calo dello 0,1% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Insomma, i prezzi hanno invertito la rotta. A luglio salivano ancora (+0,1%), come è normale in un’economia in salute, ma in dieci grandi città, tra cui Roma e Torino, erano già in discesa. Un campanello di allarme che ora suona come l’anticipazione di una tendenza generalizzata. E quasi inedita: è la prima volta dal settembre del 1959, quando però l’economia era in forte crescita. A peggiorare il quadro c’è il fatto che sono scesi anche i prezzi del cosiddetto carrello della spesa, cioè l’insieme dei beni essenziali che comprende l’alimentare e i prodotti per la cura della casa e della persona. Il ribasso annuo in questo caso è pari allo 0,2%, anche se in recupero rispetto al -0,6% di luglio. Dopo la Spagna, dunque, anche l’Italia vede concretizzarsi lo spettro che, anche alla luce della frenata di Germania e Francia, è al centro del dibattito europeo. In questo quadro, da Berlino arriva anche un avvertimento a non aspettarsi troppo dalle mosse della Banca centrale europea. A cui i mercati guardano sperando in un rapido e energico intervento per contrastare il calo dei prezzi. Wolfgang Schaeuble, ministro delle finanze tedesco, ha infatti detto in un’intervista a Bloomberg Tv che “la Banca centrale europea ha esaurito le munizioni per aiutare l’Eurozona”. Il falco Schaeuble, che due giorni fa aveva smentito l’interpretazione pro-flessibilità delle recenti parole di Mario Draghi a Jackson Hole, ha aggiunto: “Ad essere sinceri non penso che la politica monetaria della Bce abbia gli strumenti per combattere la deflazione”. E comunque ”la liquidità sui mercati non è troppo bassa, anzi è troppa”.
Un circolo vizioso che porta alla stagnazione – La notizia dell’ingresso in deflazione è una doccia gelata per il governo, che venerdì pomeriggio si riunisce per dare il via libera al decreto Sblocca Italia e al pacchetto giustizia, dopo che la riforma della scuola è stata rimandata a settembre. Il calo dei prezzi è una vera batosta, su molti fronti: sulle prime può sembrare positivo per i consumatori, ma innesca in realtà un circolo vizioso che conduce alla stagnazione dell’economia. O non le permette di uscirne. Perché i cittadini rimandano gli acquisti più corposi sperando di poter risparmiare di più in futuro e di conseguenza le aziende investono meno e non assumono. Così la disoccupazione sale, nel Paese circola meno denaro e l’intero motore economico riduce i giri. Come è accaduto in Giappone negli anni 90, non per niente noti come “il decennio perduto” del Sol Levante. Non basta: più scende l’inflazione più il tasso d’interesse reale pagato sui titoli di Stato diventa svantaggioso e il rapporto tra debito pubblico e pil nominale aumenta. L’ultima cosa di cui l’Italia ha bisogno, dopo che il nostro debito ha toccato i 2.168 miliardi. Ma l’effetto vale anche per le famiglie che hanno un mutuo: il valore reale della somma da restituire cresce.
Disoccupazione di nuovo in salita. Le donne senza lavoro aumentano del 9,3% rispetto a luglio 2013 – Una spirale in cui di fatto l’Italia è già precipitata, come dimostrano il nuovo ingresso in recessione nel secondo trimestre dell’anno (quando il Pil è calato dello 0,2%, come confermato dai dati definitivi dell’Istat) il ristagno delle vendite al dettaglio, il crollo della fiducia di consumatori e imprese, le retribuzioni praticamente ferme e i dati sui senza lavoro. Questi ultimi sono stati aggiornati dall’istituto di statistica sempre venerdì: in luglio il tasso di disoccupazione è tornato al 12,6%, in aumento dello 0,5% sui dodici mesi e dello 0,3% rispetto a giugno. Non prosegue dunque l’inversione di tendenza registrata prima dell’estate, che aveva fatto ben sperare il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e indotto Renzi (era il 10 luglio) a rivendicare “54mila posti di lavoro in più”, “un dato che non passa mentre quelli negativi sì”. Oggi però di dati positivi da sottolineare non ce ne sono. Lo scorso mese si è registrato un calo degli occupati pari a 35mila unità: come se si fossero persi più di mille posti al giorno, ha calcolato l’Ansa. In Italia i senza lavoro sono a questo punto 3 milioni e 220 mila, in aumento del 2,2% rispetto al mese precedente (+69mila) e del 4,6% su base annua (+143mila), mentre gli occupati calano a 22.360.000, 71mila in meno su base annua. Rispetto al mese precedente la disoccupazione aumenta sia per la componente maschile (+3,3%), sia per quella femminile (+1%). Ma se il confronto è con luglio 2013, le disoccupate risultano in salita del 9,3% contro il +0,9% degli uomini. Il divario tra uomini e donne sul mercato del lavoro, insomma, resta enorme. Lo attesta soprattutto il tasso di occupazione, che per i primi è stato in luglio del 64,7%, mentre le lavoratrici erano solo il 46,5% del totale delle donne attive. Entrambi i dati sono in calo dello 0,1% sull’anno prima.
L’incidenza dei disoccupati tra i giovani sale dell’1,1% – L’unico segnale positivo arriva dalla disoccupazione giovanile, con il tasso che scende al 42,9%, -0,8 punti rispetto al mese prima. Si può ipotizzare che sia l’effetto del lavoro stagionale, che fa anche salire il numero degli occupati a 939mila, +36mila in confronto a giugno. Ma allargando lo sguardo a un periodo di tempo più lungo si vede come il tasso di disoccupazione resti più alto del 2,9% rispetto al luglio 2013. Non solo: l’incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari all’11,8%, +1,1 punti su base annua.
Sempre più precari e lavoratori part time – Basta poi uno sguardo alla tabella Istat con i dati sulla tipologia di occupazione per rendersi conto che gli assunti a tempo indeterminato diminuiscono per lasciare il posto a lavoratori precari e spesso a tempo parziale. Nel secondo trimestre dell’anno gli “stabili” sono scesi di 44mila unità rispetto allo stesso periodo del 2013, mentre i dipendenti a termine sono saliti di 86mila unità di cui però 56mila a tempo parziale.