Il Tribunale di Roma è giunto a una decisione d’importanza storica, che però è stata denigrata e addirittura segnalata dai vari Giovanardi di turno, nell’ordine, come “colpo di Stato”, “sentenza choc”, fino al “tribunale speciale contro la famiglia tradizionale”. Critiche che abbiamo già sentito più e più volte, insomma, ma che ora assumono contorni grotteschi.
Come al solito, infatti, a parlare è la politica becera e ignorante, quella stessa politica che si scandalizza e grida al golpe ma che finora non ha prodotto nulla – e sottolineo nulla – di neppure lontanamente vicino al minimo sindacale necessario per assicurare alle coppie e alle famiglie composte da persone dello stesso sesso quella tutela giuridica che la Costituzione imporrebbe invece di approntare, e con grande urgenza.
Quello di Roma è uno dei tanti casi di famiglie omogenitoriali, sempre più numerose anche nel nostro Paese. Nella fattispecie, due donne hanno concepito una bambina ricorrendo a un procedimento di fecondazione assistita in Spagna, dove si può accedere all’eterologa senza i vari isterismi o nervosismi che il tema suscita da noi.
Un progetto procreativo, il loro, che ha richiesto ovviamente impegno, tempo ed energie, esattamente come avviene anche in molte famiglie eterosessuali. La scelta della madre biologica è stata dettata dalle probabilità di successo della fecondazione. E’ degno di nota che la compagna della madre biologica – scrive il Tribunale di Roma – “sin dalla nascita [della bambina] ha gestito il ruolo di genitore, assistendola sia materialmente che affettivamente, anche per quanto riguarda i rapporti esterni alla famiglia, tanto che la bambina riconosce anche lei come ‘mamma’”. Tale ruolo è stato confermato da una serie di accordi privati che le due donne hanno sottoscritto, limitatamente a quanto la legge attualmente consente loro, per disciplinare la loro relazione anche e soprattutto nei riguardi della piccola. Dopo essersi iscritte al registro delle unioni civili del Comune di Roma, le due donne si sono sposate in Spagna.
Sposate, volenterose e responsabili. Cosa manca?
Ora, la compagna chiede solo di assumere il ruolo di madre (anche) giuridica della bambina e quindi di adottarla, come prevede la legge sulle adozioni, nella parte in cui si occupa dell’adozione in casi particolari.
Nel corso del processo, l’assistente sociale e la psicologa che si sono occupate del caso hanno evidenziato che la bambina è “vivace, intelligente e carina” e “si relazione con le due donne come ai suoi due genitori, manifestando un intenso legame affettivo con entrambe“; che anche i nonni supportano pienamente la famiglia; che la casa in cui abitano è assolutamente adeguata; che anche a scuola la bimba è “socievole e serena” ed è “accettata da[i compagni di scuola] con spontaneità“. Infine, secondo le perizie “non sono emersi elementi che possono indurre a ritenere l’esistenza di un qualsivoglia disagio o disturbo nella bambina causato, in ipotesi, dalla sua realtà familiare“. Insomma, un ambiente familiare indubbiamente positivo e arricchente, come avviene in moltissime famiglie italiane, idoneo pertanto a far crescere bene e in salute un minore.
Come tutto questo sia più che sufficiente per ammettere la possibilità di riconoscere la co-madre come idonea ad assumere anche tutti i diritti e i doveri che le impone il comune ruolo giuridico di genitore, è intuitivo. Non è forse perfettamente conforme al superiore interesse della minore, che costituisce l’orizzonte che deve guidare il giudice nelle sue decisioni, ad avere non uno solo, ma proprio i due genitori che ha avuto sin dalla nascita e che insieme l’hanno voluta, cresciuta e amata, e che quotidianamente si spendono per lei, esattamente come fanno tutte le famiglie con genitori di sesso diverso?
Proprio questo ha fatto il Tribunale di Roma: considerare giuridicamente rilevante il fatto, accertato con rigore, che entrambe le donne svolgono il ruolo di madri per la piccola, “partecipando entrambe dell’affetto della bambina e ricambiandolo parimenti entrambe, con slancio e abnegazione intelligente, per garantirle la migliore qualità della vita in un periodo così importante qual è l’infanzia“. Insomma, non è l’orientamento sessuale o il genere dei genitori “a garantire le condizioni di sviluppo migliori per i bambini, bensì la loro capacità di assumere i ruoli e le responsabilità educative che ne derivano“.
Essere madre o padre non dipende dai gameti, ma dalla loro assunzione di responsabilità.
Si capisce allora l’assurdità e la pretestuosità delle critiche sollevate. Ma quale violazione della Costituzione? Quale adombrata ferita dell’ordinamento? Ma quale “mero desiderio trasformato in diritto“, come scrive Avvenire? L’unica vera ferita, quella sì vera e profonda, è l’assenza di considerazione per il fatto, semplice e di buon senso, che questa bambina non esisterebbe senza le sue due mamme.
Chi mette davvero al centro i bambini dovrebbe riflettere anzitutto su questa circostanza. E smetterle di spararle grosse.