Slide e proposte fumose. Ma anche urgenze, tagli e riduzione degli sprechi di un ministero “da non considerare intoccabile”. La riforma della giustizia di Matteo Renzi ha ancora pochi punti fermi e molte intenzioni. A parlarne alla Festa del Fatto Quotidiano, ospiti di Marco Lillo, giornalista d’inchiesta, sono stati gli addetti ai lavori: il aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, il giudice della Corte di Cassazione Antonio Esposito e Bruno Tinti, ex magistrato, giornalista e scrittore. “Servono tagli concreti e non lineari per riformare davvero la giustizia” è l’idea Nicola Gratteri, che ha parlato delle sue proposte che dal prossimo autunno arriveranno sul tavolo del presidente del Consiglio. “Lo sapete che io sono un ministro mancato”, è l’incipit che Gratteri sceglie per il suo intervento, con una battuta che nei fatti rispecchia la realtà. Dato per favorito come guardasigilli per il governo Renzi, il magistrato è stato sostituito poco prima dell’annuncio dell’esecutivo. Oggi guida la commissione che deve redigere norme e procedure per combattere la criminalità organizzata e annuncia le proposte che verranno fatte nei prossimi mesi. “Io lo posso dire aboliamo la Dia“, continua Gratteri criticando il soprannumero di dirigenti, uffici e segreterie, mentre gli stessi uomini in surplus potrebbero essere riportati sul territorio. Sono queste le propose che avrebbe fatto se fosse arrivato al dicastero della giustizia. “Nessuno ha il coraggio di farlo, i politici mi chiamano e mi dicono: ‘Se lo facciamo ci danno dei mafiosi’. Allora lo dico io. Non possiamo pensare che non si possa chiudere un tribunale inutile. Non possiamo lasciare il 35 per cento di magistrati in più alla procura di Palermo. O si ha il coraggio di mandare a regime il ministero della giustizia oppure non cambierà mai nulla. Tra Marche, Abruzzo e Molise non ci possono essere tre corti d’appello. In Sicilia, ad esempio, non possono essercene quattro. In un distretto con meno di mille detenuti non possiamo avere il tribunale di sorveglianza. Non possiamo sperperare le energie”. La critica è diretta soprattutto agli interventi poco incisivi del passato: “Io sono d’accordo anche nel fare tagli, ma negli ultimi governi sono stati fatti solo quelli lineari del 5 per cento. Non si è avuto coraggio o la forza di entrare nel merito delle cose. Bisogna avere la forza di entrare nei ministeri e di chiudere le parti inutili. Vi parlo anche del sud e anche in zone di mafia. Non c’è giusta distribuzione delle forze. Io capisco le proteste della polizia per il blocco dei contratti. Ma vogliamo risparmiare davvero? Allora chiudiamo la Dia (Direzione investigativa antimafia). Parlo io: risparmiamo in dirigenti e segreterie e affitti e facciamoli tornare sul territorio. Aboliamo il Dap: sapete quanto guadagna un dirigente? 20mila euro”. Ed è proprio lì che, secondo Gratteri, bisogna intervenire.
Molti i provvedimenti da adottare per evitare gli sprechi: inviare le notifiche attraverso indirizzi email di posta certificata e processi in videoconferenza non solo per i detenuti al 41bis. Poi ancora tablet con le ordinanze di custodia cautelare da far tenere al detenuto in carcere: quando esce i documenti potrebbero essere dati su una penna usb. “Tutte queste idee le presenteremo dal prossimo autunno e gireremo l’Italia per farle conoscere agli italiani”.
Gratteri guida la commissione incaricata dal presidente del Consiglio di riscrivere le norme e le procedure per attuare un maggiore contrasto alla criminalità organizzata. “Io ho accettato di lavorare per questo organo perché si trattava di un impegno gratuito. Ho lavorato tutta estate e in autunno presenteremo le nostre proposte. L’obiettivo è quello di introdurre tante modifiche di modo tale che non sia conveniente delinquere. Importante è pensare a modifiche normative senza preoccuparci di nulla. Siamo dei tecnici e parliamo con tutti i politici: quest’inverno mi vedrete dappertutto, sarò una soubrette, per spiegare le modifiche che noi pensiamo indispensabili per la riforma della giustizia”.
In lavorazione in questo momento c’è il codice antimafia: avvocati e boss in videoconferenza e aumento di pena per il 416 bis. Un contesto in cui matura una forte critica per la modifica apportata dal Parlamento al 416ter, modifica che ha di fatto depenalizzato il voto di scambio. “Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fatto scuola – spiega Marco Lillo, giornalista d’inchiesta del Fatto Quotidiano che moderava il dibattito – quella relativa al caso Antinoro, un politico siciliano vicino a Totò Cuffaro. Si tratta di una vicenda in cui c’era uno scambio conclamato, una busta di 5.000 euro in cambio di un pacchetto di 60 voti, un’intercettazione telefonica e un incontro a provare l’avvenuto scambio politico-mafioso. Con Antinoro condannato in primo secondo grado, la sentenza viene annullata in Cassazione con la motivazione che nel frattempo la legge era stata riformata, la nuova norma è favorevole al reo e quindi va applicata anche ai fatti precedenti. “Proprio su questo punto sono stato ascoltato dalla Commissione antimafia come consulente e ho gridato che non ero d’accordo con questa modifica – protesta Gratteri – e ai legislatori ho domandato: “Non riesco a capire per quale motivo proprio voi vi state preoccupando di dare a questo reato una pena edittale più bassa: sembra che qualcuno abbia già paura dell’applicazione di questa norma. E poi il legislatore ha l’idea che il capomafia per essere ascoltato debba minacciare. Ma il mafioso, più mafioso è, più usa gentilezza e cortesia, fa l’inchino quando va al comune a chiedere un atto illecito. Non ha bisogno di minacciare”. Il problema, per Gratteri, è che “c’è gente che ha il potere di legiferare e non si rende conto di quello che fa”. Per questo – conclude il magistrato – noi dobbiamo cercare di tradurre questa minaccia in un atto normativo in modo che, la prossima volta che sarà chiamato a giudicare, il giudice di Cassazione non si trovi in questa difficoltà”.
Antonio Esposito: “Ci aspettavamo di più sulla prescrizione”
Tra i pochi punti certi della riforma del governo Renzi c’è quello della modifica della prescrizione. Ma cosa cambia concretamente? A spiegarlo è stato Antonio Esposito, giudice della Corte di Cassazione e presidente della sezione feriale che nel 2013 ha condannato in via definitiva Silvio Berlusconi per frode fiscale: “Per quanto riguarda il diritto penale è stata modificata la legge ex Cirielli. Devo dire che mentre gran parte delle norme della riforma sono efficaci, sulla prescrizione ci si aspettava molto di più. La modifica lascia in piedi il vecchio l’impianto”. La legge fu fortemente criticata in passato e su questa si è espresso anche il Consiglio superiore della magistratura: sono 150mila i processi all’anno, tra cui quelli di frode fiscale, che si estinguono. “C’era una grossa attesa”, ha continuato Esposito, “anche perché il termine non è sufficiente per fare il processo: l’attuale sistema processuale italiano è talmente ingolfato che non riesce a portare a termine questo carico di lavoro. C’erano delle aspettative che sono andate deluse. Il disegno di legge non aumenta i termini di prescrizione, ma si è intervenuti solo sulla sospensione: una volta che si è arrivati alla sentenza di condanna il termine rimane bloccato per due anni per l’appello e un anno per la cassazione. Ma non basta. Nel caso in cui ci sia una sentenza di appello di assoluzione: quel termine non vale più”.
Due i sistemi europei in proposito: da un lato l’esempio potrebbe essere quello di Spagna, Germania e Francia, dove il termine di prescrizione è di 10 anni, dall’altra il sistema è quello auspicato da Esposito ovvero quello inglese di common law. “E’ più aderente alla prescrizione”, ha detto Esposito, “è una norma di diritto sostanziale. Incide sull’azione non sull’estinzione del reato. Di prescrizione moderna si occupò per primo il codice francese: un termine per esercitare l’azione penale. Se tu Stato sei inerte o rinunci a perseguire allora dopo un po’ devi rinunciare, ma se lo persegui il termine non decorre mai più. In Inghilterra c’è questo sistema: in un termine di tempo che sia 3, 4, 5 anni la prescrizione non decorre. Sarà poi lo Stato a dover intervenire perché il processo abbia una durata ragionevole”.
Al termine del dibattito una domanda sul processo Berlusconi. “Si è pentito?”, ha chiesto il giornalista Marco Lillo. “No. Era un processo come gli altri, tanto che lo chiamavo processo ‘numero 8’. Affronterò il procedimento disciplinare a breve. Ho solo chiesto di farlo con il prossimo Csm. Io non condivido di attribuire il giudizio ad una corte diversa, ma preferisco una commissione disciplinare che sia fatta da membri che non facciano parte di altre commissioni giudicanti”.
Bruno Tinti: “Quando parliamo delle riforme del governo Renzi parliamo di niente”
“Avete capito perché Gratteri non è diventato ministro?”. Bruno Tinti, ex magistrato, scrittore ed editorialista del Fatto Quotidiano ha invece duramente criticato il governo Renzi in materia di giustizia. “Qualsiasi riforma oggi non avrà nessun esito. La riforma della giustizia è finta. Stiamo parlando di niente. Nessuno mai userà questi strumenti che ci presenta Matteo Renzi. Avrebbe dovuto intervenire in altro modo sul processo civile e su quello penale. Sta annunciando cose che sembrano vere, ma in realtà sono finte. Ad esempio le intercettazioni. Bisogna farle ma nessuno le deve conoscere? Questo prevede la riforma. Si tratta di uno scambio, un intervento influenzato dal patto con il pregiudicato: voto per la riforma del Senato in cambio di una tutela degli intercettati. Renzi sta parlando di nulla”. Altro punto molto grave secondo Tinti è la riforma del Consiglio superiore della magistrature. “Se il Parlamento ha operato dei cortocircuiti tra costituzione e prassi. E’ ancora niente rispetto a quello che può fare nel Csm, perché è l’organo che si occupa dei giudici e se messo sotto il controllo della politica va a minacciare la loro indipendenza”.