“Micuzzo si è messo in mezzo alla porta, per non farmi andare via, mi ha fermato e l’ho preso per la mano, l’ho spinto e gli ho detto di levarsi dai piedi, li ho piantati come dei broccoli a tutti quanti, mentre parlavano, perché se quella mattina avessi tirato fuori (la pistola, ndr) per come già… a lui lo avrei ammazzato… e se qualche altro si alzava lo sparavo pure”. Letto così sembra il riassunto di una movimentata riunione di ‘ndrangheta avvenuta in Calabria, magari in uno dei paesini dell’Aspromonte dove le regole non sono quello dello Stato italiano. O meglio, dove la legge è quella delle famiglie mafiose. Invece questa conversazione, inserita nell’inchiesta Helvetia, non è avvenuta in Italia. Bensì in Svizzera. Al centro dell’intercettazione, eseguita dai carabinieri, c’è uno scontro tra locali di ‘ndrangheta a migliaia di chilometri dalla Calabria ma che, nonostante questo, rispondono al “capo crimine” di Polsi rappresentato da don Mico Oppedisano.
L’operazione “Helvetia”, scattata alcune settimane fa, ha fatto luce sulla cosiddetta “questione Svizzera”. Già l’inchiesta “Patriarca” aveva svelato l’esistenza della “locale” di Singen, guidato da Bruno Nesci. Con la nuova indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri e dal sostituto della Dda Antonio De Bernardo, è emerso che la leadership di Nesci “era insidiata – è scritto nel provvedimento di fermo emesso dalla Procura – da un altro gruppo dislocato in Svizzera, a Frauenfeld, alla cui testa risultava un personaggio, successivamente identificato per Antonio Nesci, alias cucchiarune che nelle intercettazioni veniva indicato ‘quel cornuto della Svizzera’… ‘la montagna della Svizzera’”. Siamo nella primavera del 2010 quando al termine del summit tenutosi vicino alla città di Frauenfeld, le due famiglie rivali hanno trovato una soluzione di equilibrio.
Come altre indagini della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, anche l’operazione “Helvetia” ha dimostrato che “dal territorio calabrese, – scrivono i pm – la ‘ndrangheta si è da tempo proiettata verso i mercati del centro-nord Italia, verso l’Europa, il Nord America, il Canada, l’Australia. L’infiltrazione e la penetrazione di questi mercati ha comportato la stabilizzazione della presenza di strutture ‘ndranghetiste in continuo contatto ed in rapporto di sostanziale dipendenza con la casa madre reggina”. Non fa eccezione la Svizzera dove “la ‘ndrangheta si è diffusa non attraverso un modello di imitazione, nel quale gruppi delinquenziali autoctoni riproducono modelli di azione dei gruppi mafiosi, ma attraverso un vero e proprio fenomeno di colonizzazione, cioè di espansione su di un nuovo territorio, organizzandone il controllo e gestendone i traffici illeciti, conducendo alla formazione di uno stabile insediamento mafioso”.
I pm Gratteri e De Bernardo non hanno dubbi: in Svizzera, “la ‘ndrangheta ha ‘messo radici‘, divenendo col tempo un’associazione dotata di un certo grado di indipendenza dalla ‘casa madre’, con la quale però comunque continua ad intrattenere rapporti molto stretti e dalla quale dipende per le più rilevanti scelte strategiche. Dalle indagini emerge, quindi, l’esistenza in Svizzera di una struttura associativa sufficientemente articolata, retta da regole e rituali tipici della ‘ndrangheta diffusa sia in Calabria che in altre località del Nord Italia e persino dell’estero”. Gli investigatori la chiamano “società di Frauenfeld”, “una organizzazione ‘ndranghetista strutturata in maniera rigidamente gerarchica che ha un substrato di fortissima tradizione ed una proiezione esterna moderna e camaleontica né́ può dimenticarsi che il rituale di affiliazione è presupposto necessario per far parte dell’organizzazione”.