Per la prima volta dall’inizio dell’attuale offensiva antiterrosimo in Iraq, l’esercito degli Stati Uniti ha attaccato posizioni dello Stato islamico vicino Baghdad. Lo ha riferito il Comando centrale Usa a Tampa, in Florida. Sono stati effettuati due raid aerei nel sudovest della capitale irachena, così come vicino al monte Sinjar. L’attacco nei pressi di Baghdad fa parte dell’operazione “estesa” annunciata dal presidente americano Barack Obama l’8 settembre scorso e ha avuto lo scopo di aiutare le truppe irachene a terra nella loro offensiva. Non è stato precisato il luogo degli attacchi, né che tipo di postazione sia stata colpita. La scorsa settimana il presidente americano aveva annunciato che una campagna estesa cercherà di “far retrocedere e, in definitiva, distruggere l’Isis”, con il Pentagono che annuncia: “distruggeremo i loro santuari”. Intanto, cellule terroristiche legate ad AlQaeda invitano i jihadisti dell’Isis a unirsi a loro nella lotta contro la coalizione occidentale.
Pentagono: “Colpiremo i loro santuari in Siria”
Tra le strategie ipotizzate, non si esclude l’autorizzazione di raid in Siria. Il capo del Pentagono, Chuck Hagel, ha dichiarato di voler colpire “i santuari dell’Isis” nel paese, ossia “i centri di comando e quelli logistici, oltre alle infrastrutture”. Un piano aggressivo, quello dell’esercito americano, che prevederebbe un massiccio ricorso ai raid aerei annunciati da Obama. Alcuni ufficiali Usa, parlando a condizione di anonimato, hanno confermato che risponderebbero se le forze aeree siriane inseguissero gli aerei americani coinvolti negli attacchi contro i militanti dello Stato islamico nel Paese. L’aeronautica militare americana sa dove sono localizzate le forze aeree siriane e i loro centri di comando e di controllo. Se il presidente siriano Bashar Assad provasse a usare queste capacità per minacciare le forze Usa, allora metterebbe la propria aeronautica militare a rischio, hanno sottolineato gli ufficiali, che hanno parlato a condizione di anonimato.
Dempsey: “Pronti a intervento di terra”. Casa Bianca smentisce
Durante un’audizione al senato americano, Martin Dempsey, capo di Stato maggiore, ha sostenuto che gli Stati Uniti sono pronti a estendere il numero di consiglieri in Iraq e non ha del tutto escluso, qualora fosse necessario, la possibilità di un “coinvolgimento di truppe sul campo“. Immediata la smentita da parte dell’amministrazione Obama: “E’ responsabilità del comandante in capo (Obama, ndr) definire una chiara politica e il presidente è stato chiaro in che cosa consiste” ha dichiarato John Earnest, portavoce della Casa Bianca. E ha aggiunto: “Ciò in cui (il presidente degli Stati Uniti) è stato molto preciso e chiaro è la sua volontà di non schierare truppe di terra con un ruolo di combattimento in Iraq o in Siria”.
Frange di AlQaeda chiamano l’Isis: “Uniamoci contro l’Occidente”
In un comunicato diffuso il 15 settembre un gruppo armato legato all’organizzazione AlQaeda nel Maghreb (Aqim) ha annunciato di volersi unire alla lotta dello Stato Islamico contro la coalizione occidentale. Una decisione che segue quella già presa un mese fa da AlQaeda nella Penisola Arabica (Aqap) e da un’altra fetta di Aqim denominata “Coloro che firmano col sangue”, entrambi gruppi legati ai terroristi guidati dal dottore egiziano, Ayman al-Zawahiri. La nuova fazione di combattenti si fa chiamare “Soldati del califfato in Algeria” e, in un comunicato diffuso domenica, spiegano i motivi del loro abbandono: “AlQaeda ha perso la strada – scrive Khaled Abu Suleimane, leader del gruppo”. E rivolgendosi all’autoproclamato califfo, Abu Bakr al-Baghdadi, aggiunge: “Hai uomini nel Maghreb islamico. Se gli darai ordini, loro obbediranno”.
Continua ad allargarsi, così, il gruppo degli affiliati all’Isis a discapito delle cellule di AlQaeda sparse per il mondo. Sono sempre più numerose, infatti, le defezioni tra le fila dell'”esercito” di al-Zawahiri, soprattutto da parte della nuova generazione di terroristi. Un nuovo gruppo di combattenti, quelli legati agli ideali del califfo, che attira maggiormente l’interesse delle nuove reclute grazie alla loro natura sanguinaria. Proprio la differente visione tra i due gruppi terroristici aveva portato alla nascita, nell’aprile 2013, dello Stato Islamico. Se questa tendenza allo spostamento delle nuove generazioni da AlQaeda verso l’Isis venisse confermata su numeri ben più importanti, metterebbe a rischio un’organizzazione come quella guidata da al-Zawahiri che ha continuamente bisogno di uomini per tenere in vita le numerose cellule terroristiche sparse per tutto il pianeta. Gli organizzatori degli attentati al World Trade Center possono contrastare questo trend cambiando la loro politica e adattandola a quella delle nuove generazioni. Questo implicherebbe una svolta necessariamente più violenta.
Ambasciatore iracheno in Vaticano: “L’Isis vuole uccidere il Papa”
Intanto, dopo la presa di posizione del vertice di Parigi, cresce la preoccupazione in Europa. L’ambasciatore iracheno presso la Santa Sede Habeeb M.H. Al Sadr, intervistato dal Quotidiano nazionale, ha dichiarato che Papa Francesco sarebbe nel mirino del Califfato. “Bisogna garantire la sicurezza del Papa ovunque, perché credo che possano cercare di colpirlo durante i suoi viaggi o anche a Roma. Ci sono membri dell’Isis che non sono arabi ma canadesi, americani, francesi, britannici e anche italiani. Non sono a conoscenza di fatti specifici, di progetti operativi. Ma quanto dichiarato dai terroristi dell’ autoproclamato ‘Stato islamico’ è chiaro. Loro vogliono uccidere il Papa. In Vaticano mi dicono di essere tranquilli e che le affermazioni dell’Isis non cambieranno la loro posizione. Ma il Santo Padre è molto vicino ai rifugiati e ai cristiani perseguitati e non smetterà di esserlo perché l’Isis lo minaccia”.
Mille turchi arruolati con Isis
Secondo il New York Times, circa mille militanti di nazionalità turca combattono tra le fila dello Stato Islamico (Is), l’organizzazione jihadista che controlla parte della Siria e dell’Iraq settentrionale. Secondo il quotidiano, che cita fonti governative di Ankara, la Turchia è una delle principali fonti per il reclutamento di miliziani dell’Is. Nell’articolo si racconta la storia di un ex combattente turco di 27 anni arrivato in Siria con 10 amici e poi unitosi all’Is dopo 15 giorni di addestramento. L’uomo, la cui identità non è stata resa nota, ha dichiarato di aver sparato a due “nemici”, di aver partecipato a un’esecuzione in pubblico e di aver sepolto viva una persona. La Turchia ha annunciato nei giorni scorsi che non parteciperà attivamente alle operazioni militari della coalizione internazionale in Iraq e Siria e non concederà le sue basi per raid aerei contro obiettivi jihadisti. Ankara ha spiegato di non voler mettere a repentaglio la vita dei 49 turchi rapiti in un assalto al consolato di Mosul tre mesi fa e ancora nelle mani dell’Isis. In realtà, c’è un altro elemento che preoccupa il governo di Ankara: la paura di rappresaglie interne da parte dei numerosi jihadisti presenti nel paese. Il neopresidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, sa bene che il paese potrebbe essere il primo a entrare nel mirino dei terroristi se decidesse di esporsi troppo contro l’autoproclamato califfato. I 49 ostaggi in mano ai terroristi rischierebbero di essere le prossime vittime della lama degli jihadisti che hanno già decapitato James Foley, Steven Sotloff e David Haines. Inoltre, nel paese potrebbe esplodere un’emergenza attentati se le cellule operanti nelle città turche decidessero di dare il via a rappresaglie contro i civili. La Turchia, come Israele e l’Iran, dovrebbe essere uno dei paesi più interessati a firmare la dichiarazione di Jeddah che ha sancito l’accordo tra la coalizione anti-Isis e 9 stati arabi per la lotta allo Stato Islamico. Proprio per la sua vicinanza geografica all’area del califfato, però, non ha voluto partecipare all’accordo.