Bisogna essere guerrieri per affrontare la tracimante Vogue Fashion’s Night Out. Intanto armarsi di santa pazienza per superare intasamenti di traffico e ingorghi umani milanesi. Gli intenti sarebbero buoni, moda e cultura, musica e beneficenza, 600 negozi, da Via Montenapoleone a Corso Buenos Aires, aperti fino a mezzanotte, dj set in vetrina, strimpellatori da strada. Eppure la città ha rischiato il collasso. Tutta la provincia da Cinisiello Balsamo a Vanzaghello si è riversata nello shopping district per arraffare un bicchierino di frizzantino sfiatato e ingurgitare un canapè che sa di plastica.
“La moda non è democratica. Non lo sono i suoi riti e tanto meno le sue dinamiche. Quando si vuole aprire a tutti senza aggiungere contenuti, il rischio è quello di mettere in scena un circo“, sibillano gli addetti ai lavori che hanno preferito blindarsi in casa. E così il tentativo di democratizzazione della moda fallisce e l’atmosfera è più da sagra della porchetta che da evento glamour. Ma chi se la può permettere una canotta di coccodrillo a 19mila euro, griffata Hermes? E infatti la storica maison è rimasta serrata. Ha addirittura abbassato le saracinesche mezz’ora prima della abituale chiusura la gioielleria Chantecler, malgrado la sede di via Sant’Andrea, fresca di un nuovo restyling, volesse mostrarsi in pubblico. “La notte bianca della moda non è il nostro target”, manda a dire lo storico brand caprese famoso in tutto il mondo per la sua campanella. Anche per Cartier e Vhernier, tutti a casa, prima della Grande Ammuina.
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Tanto da ieri va in scena il caravanserraglio della settimana della moda e largo ai più giovani come Francesco Scognamiglio (di Pompei), Nicholas K (newyorkese) e Fausto Puglisi (siciliano). Si comincia con gli orologi d’autore Parmigiani Fleurier, espressione di alto artigianato svizzero, che da Pisa, storico negozio milanese, hanno inaugurato la settimana della moda. Dedizione e passione, da piccola azienda rivolta a un mercato di nicchia il brand si è fatto global, ma non ha perso il suo dna artigianale. A fare gli onori di casa il fascinoso Ceo che sembra un attore, Jean Marc Jacot, che racconta di come gli artisti-artigiani della maison impieghino mesi e mesi di lavoro per ogni singolo manufatto. Non conoscono la parola assemblaggio, la componentistica di accurata precisione è tutta realizzata a mano, ogni pezzo è unico, da collezionista. E un loro capolavoro può costare anche 100.000 euro (non dicevamo che la moda non è per niente democratica?). A rendere fluttuante l’atmosfera fra immagini e suoni ci ha pensato la video installazione di Felice Limosani, narratore digitale (come ama definirsi) e curatore dell’immagine Parmigiani che per l’evento milanese ha scelto un nome evocativo: “Il Tempo sospeso. Dall’uomo al pixel…”. La testimonial è l’attrice Francesca Cavallin, vestita di neoprene griffato Domenico Cioffi, altro designer emergente. Scelta del food assolutamente gourmet: tapioca allo yogurt di barbabietola, foglie di salvia fritte al curry, paccheri ripieni di burrata e dessert fumante all’azoto. Il menù porta la firma del giovanissimo chef stellato Michelin Lorenzo Cogo del ristorante “El Coq” , bello come un modello, che ha improvvisato una cucina tra le vetrine scintillanti.
Trentotto chili di farfalline e fiorellini di carta dalla Cina sono piovuti a Villa Meissen, la raffinata manifattura di porcellane sassone vecchia di 300 anni. Nel cortile trasformato in giardino incantato le modelle posavano in tableaux vivants con impalpabili tessuti in “Shades of white” ( 50 sfumature di bianco?) disegnati da Frida Weyer. Svizzeri e tedeschi ce lo vengono a insegnare a noi. Intanto Cyprien Richiardi, audace fashion blogger, azzarda una corazza bustier, che calzerebbe a pennello a Lady Gaga. E siamo solo agli inizi…
Twitter@piromallo