E alla fine trovarono la «quadra». Le furiose lotte intestine alla Lega del Veneto non si cheteranno del tutto, ma grazie alla richiesta del referendum sull’indipendenza i diversi leader hanno trovato la parola chiave, proprio qui a Cittadella, in occasione della tradizionale festa dei popoli padani, per giocarsi la campagna elettorale per le regionali dell’anno prossimo. Malgrado l’esito negativo del referendum scozzese, i dirigenti leghisti issano le vele confidando nel vento indipendentista.
Sarà il contesto più accogliente che offre la cittadina dell’alta padovana, quintessenza delle politiche d’ordine della Lega, fatto sta che l’odierna festa dei popoli padani servirà a prendere in mano la battaglia per il referendum consultivo per l’indipendenza veneta indetto nel giugno di quest’anno dal consiglio regionale del Veneto e impugnato dal governo in agosto. La battaglia è frontale, chiara e limpida – “in gioco è la democrazia” ripetono all’unisono -, che c’è di meglio per una forza che del conflitto, magari “mediaticamente simulato”, ha fatto la sua fortuna?
Non più tardi di dieci giorni fa, il sindaco di Verona, Flavio Tosi ha dato il suo appoggio alla ricandidatura di Luca Zaia, attuale presidente della Regione. Contemporaneamente hanno litigato perfino sui lupi che popolano numerosi i monti Lessini sopra Verona: Tosi ha dato il via libera al grilletto, Zaia si è mostrato contrario. A parte la caccia ai lupi, le due anime della Lega in Veneto hanno litigato quasi su tutto: ultimo episodio il piano regionale sulle cave, vacante da più di vent’anni – nel frattempo, in deroga, si è continuato a scavare di tutto e di più -, proposto dall’assessore “tosiano” all’ambiente Maurizio Conte e impallinato dall’assenza di numerosi consiglieri del proprio partito.
Il referendum si basa su presupposti giuridici non grossolani, tanto che viene difeso da un costituzionalista come Mario Bertolissi, ma politicamente sembrerebbe cozzare con la strategia del segretario federale Matteo Salvini di sverniciare la patina etnica della Lega – con tutto il corredo ampolle e chincaglieria varia – e puntare dritti a destra sulla scia dell’alleanza con Marie Le Pen.
Anche il nuovo stile “riformista” di Flavio Tosi – che sembra non aver rinunciato, con la sua fondazione, ad un ruolo nazionale come protagonista del centrodestra – stride con la nuova ondata indipendentista. Ma il vecchio partito padano ha ancora nel dna l’agilità bossiana di zompare sulla battaglia d’occasione dirottando le linea fin lì seguita e spiegando poi solo a posteriori la stridente giravolta. E poi i leghisti veneti hanno oggi molta più autonomia di determinare la linea di quanto non accadesse con il vecchio Bossi (che dei veneti notoriamente diffidava assai).
Giravolte che la Lega può comunque permettersi proprio perché mantiene, in comune solo con il Pd, un forte insediamento territoriale garantito da una rodata classe di amministratori locali, vere cinghie di trasmissione del consenso. Tutti i leader leghisti veneti – al contrario della vecchia leadership lombarda e dello stesso Salvini – hanno fatto la stessa trafila: partendo dai comuni. E di questo Cittadella – e non certo la scomoda, costosa e inospitale Venezia – è il simbolo più luccicante. Da qui è partito Massimo Bitonci con ordinanze severe che gli garantirono, meno di dieci anni fa, la ribalta mediatica a livello nazionale. Quest’anno ha clamorosamente conquistato Padova, presidiata da vent’anni da un Pd lacerato e stanco, e da qui ripropone le sue semplici e crude ricette – obbligo di crocefissi negli edifici pubblici o ordinanze contro i mendicanti – badando che abbiano l’utile impatto mediatico a cui aspira.
Anche l’attuale sindaco di Cittadella, Giuseppe Pan, segue la stessa strada: malgrado la recente sentenza del Tar che ha abrogato la sua ordinanza rimane impegnato in una strenua battaglia contro la locale moschea. “Paroni (impauriti) a casa nostra”: uno slogan, all’apparenza, inossidabile.
di Gianni Belloni