Schiuma bianca e liquami a getto continuo. In piena riserva naturale di Torre Guaceto, una delle aree marine incontaminate della Puglia, presa d’assalto in estate da migliaia di turisti. L’allarme è stato lanciato venerdì, con foto e video, dal Consorzio di gestione dell’area protetta dopo l’attivazione, il 22 settembre, del depuratore dell’Acquedotto Pugliese che raccoglie le acque fognarie dei comuni di San Michele Salentino e San Vito dei Normanni, in provincia di Brindisi, alle quali si aggiungeranno quelle di Carovigno.

Dalle case al mare, insomma. Senza filtri, denunciano dal Consorzio. La situazione continuerà per i prossimi due mesi. Ovvero i tempi tecnici per portare a regime l’impianto che scaricherà ogni giorno 10mila metri cubi di acque depurate nel canale Reale, la cui foce è nella zona A della riserva naturale brindisina, la più tutelata e nella quale è perfino vietata la balneazione per non alterare l’ecosistema marino. Una situazione che mette a rischio l’area nel punto di maggiore interesse naturalistico e ambientale.
 

Sull’operazione c’è il via libera della Regione, governata dal leader di Sel Nichi Vendola. L’ok all’Acquedotto Pugliese è arrivato il 2 settembre grazie alla firma del direttore del Servizio Risorse Idriche regionale. Un atto che ha chiuso una querelle iniziata cinque anni fa e finita anche dinanzi al Tar nel 2012. Una strada, quella della giustizia amministrativa, che il Consorzio ha percorso nuovamente (udienza 8 ottobre). Ma la decisione dell’Aqp di avviare in maniera rapida il depuratore ha spinto il gestore dell’oasi a un passo in più. Il 19 settembre, infatti, ha presentato denuncia alla Procura di Brindisi, alla Capitaneria di porto del capoluogo pugliese, al Noe dei carabinieri e al Corpo forestale dello Stato, che in seguito all’esposto ha effettuato i controlli nel sito del depuratore e denunciato Aqp per la mancanza dell’autorizzazione per le emissioni in atmosfera.

Ma quel che preoccupa di più il Consorzio sono gli effetti sull’ecosistema marino. L’onda marrone ha spinto anche a sospendere “le autorizzazioni per la pesca sportiva – si legge in una nota dei gestori – in attesa di valutare le conseguenze a livello sanitario sugli stock ittici della riserva”. Aspettando di capire se e quali danni siano stati prodotti (sabato mattina è stata effettuata la campionatura delle acque) restano i dubbi anche sulla possibilità che il depuratore possa effettivamente scaricare nel mare della riserva, anche terminato il periodo di avviamento. Il Consorzio si appella al decreto interministeriale del 4 dicembre 1991, quello istitutivo dell’oasi che vieta con l’articolo 4 all’interno dell’area “l’alterazione, con qualsiasi mezzo, diretta o indiretta, dell’ambiente geofisico e delle caratteristiche chimiche e biologiche delle acque, nonché la discarica di rifiuti solidi o liquidi e in genere l’immissione di qualsiasi sostanza che possa modificare, anche transitoriamente, le caratteristiche dell’ambiente marino”.

Mentre dalla Regione tutto tace, l’Acquedotto Pugliese denuncia il sabotaggio della struttura, avvenuto giovedì, e difende il progetto: “Il nuovo depuratore consortile di Carovigno è un presidio sanitario a tutela del territorio e della qualità di vita complessiva dell’area servita, con l’esclusivo compito di restituire al loro ciclo naturale e con modalità compatibili e rispettose dell’ambiente, le acque provenienti dalle abitazioni dei cittadini allacciate regolarmente alla pubblica fogna”. Tutto il contrario di quel che pensano i gestori della riserva, che insistono perché lo scarico avvenga ad almeno due chilometri dalla costa, oltre la prateria di posidonia, essenziale per l’intero ecosistema della riserva. Un progetto fattibile se venisse ripristinata una vecchia condotta sottomarina. “Nel 2009 il Consiglio regionale aveva già deciso che era quella la strada da percorrere. Perché non sono mai partiti i lavori? Non siamo contro le acque depurate e sappiamo bene che i liquami prima finivano in falda, in un’area esterna alla riserva. E non andava bene – dice a ilfattoquotidiano.it il direttore del Consorzio Alessandro Ciccolella – ma continueremo a chiedere interventi rapidi per garantire maggiore tutela dell’area marina protetta. Non ci sono studi che ci dicano qual è l’impatto né esiste un sistema d’emergenza in caso di problemi al depuratore, il che comporterebbe lo scarico in mare del ‘tal quale’. Ripristinare la condotta è una necessità”. Secondo le stime più ottimistiche ci vorrebbero almeno due anni, pari a circa 7 milioni di metri cubi di acque dolce depurata sfociata sotto costa.

Twitter: @AndreaTundo1

 

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