C’è chi finge di non capire, chi mesta nel torbido e chi la butta in caciara: speculandoci politicamente sopra. Il caso giudiziario – perché di questo si tratta – della singolare condanna a un anno e tre mesi del sindaco di Napoli Luigi de Magistris viene da lontano e affonda le sue radici in un contesto torbido e inquietante. Impugnando bene il bandolo e seguendo a ritroso il filo della memoria ci si ritrova in una matassa ancora oggi ingarbugliatissima. Qui una melassa maleodorante, viscosa, oleosa dove interessi più disparati e trasversali trovano coaguli dall’impressionante potenza criminale.
L’attacco-difesa di De Magistris nel corso della seduta del Consiglio Comunale contro pezzi dello Stato e di alcuni giudici non è stato casuale.
Sbaglia e bestemmia chi paragona il De Magistris furioso al Silvio Berlusconi d’antan contro le toghe rosse. L’ex pm anche indossando la fascia tricolore di sindaco non ha mai distolto o allontanato lo sguardo da alcune notizie di reato che lo portarono ad indagare e conseguentemente scandagliare quei santuari probiti calabresi e lucani. E’ chiaro che De Magistris conosce fatti, circostanze e segreti di pezzi importanti delle istituzioni e personaggi infedeli. Ci sono azioni che non si perdonano. Ci sono affronti che devono essere puniti. Ci sono condotte imperdonabili. Luigi De Magistris dovrebbe ringraziare San Gennaro se è vivo. A volte nel nostro paese il tritolo viene utilizzato per fatti meno importanti.
Alla luce di ciò che sta accadendo trovo interessantissimo e degno di segnalazione un documento. Sono andato a ripescare una puntata di Annozero del 4 ottobre del 2007. De Magistris era ancora pm a Catanzaro e titolare di una serie d’inchieste scottanti Why not, Poseidone e Toghe lucane. Fascicoli che puntualmente e immotivatamente gli sono stati scippati. Nel corso della trasmissione di Michele Santoro viene mandata in onda un’intercettazione telefonica originale tra Giuseppe Chiaravalloti, ex presidente della Regione Calabria e Giovanna Raffaelli, sua segretaria. Oggetto dell’inquietante conversazione è manco a dirlo il pm partenopeo e futuro primo cittadino di Napoli.
L’ex governatore “usa” la sua segretaria per mandare precisi e sinistri messaggi. “Questo è un pagliaccio, ha scomodato e dato fastidio a un sacco di gente, clamore mediatico”. Poi sibillino: “Se Dio vuole che le cose vadano come devono andare… Lo dobbiamo ammazzare… gli facciamo le cause civili per risarcimento danni e ne affidiamo la gestione alla camorra napoletana…” ma l’interlocutrice sbotta: “Non dirlo neanche per scherzo per carità di Dio”. In altro passaggio l’ex governatore dice sprezzante sempre parlando di De Magistris: “Se è cornuto non lo so… non ho prove su questo… indagheremo anche in questa altra direzione”. La telefonata si sta per concludere e il tono della voce di Giuseppe Chiaravalloti si fa duro, minaccioso, le sue parole acquistano un valore profetico verso quello accadrà negli anni successivi a De Magistris: “Va bè ma c’è quel principio… quella sorta di principio di Archimede che ad ogni azione corrisponde una reazione e mò siamo tanti così tanti ad aver subito l’azione che quando esploderà la reazione sarà adeguata”.
Sempre per rincorrere il filo della memoria ho trovato un articolo del collega Antonio Massari, giudiziarista de Il Fatto Quotidiano, che più di molti altri seguì da vicino le strane vicende che si agitavano dentro e fuori il palazzo di Giustizia di Catanzaro. Un pezzo che ricostruisce intrecci, collusioni e connivenze e fa capire per chi vuole davvero capire l’aria che si respirava a Catanzaro che poi guarda caso è la stessa che si respira da tempo a Napoli dalle parti di un altro palazzo quel Municipio sempre più simile a un fortino assediato.
Twitter: @arnaldcapezzuto