Ecco il cambio di verso per la televisione: i ricchi pagano di meno, i poveri pagano di più. Oppure: mercato sempre più comodo per i ricchi e sempre più scomodo per i poveri. Anzi, impossibile per i poveri. Questo clamoroso cambio di verso, nonostante i rimproveri dell’Unione europea e la ribellione dei piccoli editori, verrà ratificato la settimana prossima (martedì) dall’Autorità di garanzia (Agcom) che applicherà uno sconto milionario a Mediaset e Rai sul canone per la concessione delle frequenze televisive, un bene pubblico: in sette anni, il Biscione potrebbe risparmiare almeno 80 milioni di euro, la Rai addirittura più di 100 (quasi 126). In totale: 200 per due.
Il cambio di verso funziona così: Cologno Monzese e Viale Mazzini non dovranno versare più l’uno per cento del fatturato aziendale, ma un obolo (meno di 10 milioni ciascuno) estratto dai conti di quelle società controllate che gestiscono le antenne, cioè Elettronica Industriale e Rai-Way (che sarà pure quotata in Borsa e ceduta ai privati per il 40%). Con questa mossa masochista, lo Stato rinuncia a 131,7 milioni di euro nei 7 anni, a essere ottimisti. Perché l’Agcom crede di poter recuperare un po’ di denaro caricando i costi su La7, Persidera (Telecom-Espresso), H3G e, soprattutto, su quegli imprenditori locali che di certo non raggiungono i miliardi registrati dal duopolio.
In media, in questi anni, il Biscione e Viale Mazzini garantivano assieme tra i 50-55 milioni di euro: in futuro non supereranno i 20, se va male. I dati qui riportati sono quelli che circolano all’Agcom per le proiezioni sul periodo 2014-2021. Oltre a un imperituro impegno politico per salvaguardare il patrimonio di Silvio Berlusconi il gran riformatore, non ci sono spiegazioni plausibili al provvedimento che l’Agcom si appresta a emanare. I dissidenti, su cinque componenti, sono la coppia Angelo Cardani (presidente) e Antonio Nicita (commissario). Agguerriti, più che favorevoli: Antonio Martusciello, ex dirigente di Publitalia, cioè Mediaset e sottosegretario nel governo di Berlusconi; Antonio Preto, ex collaboratore di Renato Brunetta e Antonio Tajani di Forza Italia e Francesco Posteraro, eletto in quota Udc. I numeri non danno scampo.
Il governo, tramite il sottosegretario Antonello Giacomelli, è intervenuto formalmente (in passato) per ottenere un rinvio. I giorni che restano sono una manciata, e neppure una lettera spedita a metà luglio da Bruxelles è riuscita a far desistere Martusciello e colleghi. I burocrati europei Linsley McCallum e Anthony Whelan – come ha riferito Aldo Fontanarosa su Repubblica– ordinarono all’Agcom di rispettare “le pari opportunità tra i vari operatori economici” e notarono che “l’importo dei diritti non può ostacolare l’accesso al mercato”. Bruxelles aveva perfettamente inteso gli effetti di questi inediti criteri di tassazione sul canone per l’utilizzo delle frequenze: i ricchi pagano di meno, i poveri pagano di più (se riescono a pagare).
L’ex commissario Nicola D’Angelo, che già all’epoca del suo mandato s’era trovato a fronteggiare il problema, frantuma le eventuali giustificazioni di Agcom: “Non sono costretti a vidimare questo grave errore. La norma che viene richiamata per ridurre il canone, poteva essere interpretata diversamente, perché la revisione è sì obbligatoria, ma deve essere proporzionale e ragionevole per salvaguardare il pluralismo. E non devono copiare il sistema in vigore per le telecomunicazioni o avvantaggiare i soliti”.
Il governo, se ne avesse intenzione, ha un paio di giorni di tempo per contrastare l’Agcom, non è sufficiente promettere un ostruzionismo postumo. Perché una volta decretato lo sconto, non si potrà tornare indietro. A Palazzo Chigi, così disponibile con l’amico di Arcore, conviene evitare l’aiutino a Mediaset? Non conviene. Anche se i saldi Agcom non sono convenienti né per le casse statali né per la “figuraccia” con Viale Mazzini: prima Matteo Renzi impone un prelievo di 150 milioni di euro e poi li restituisce a rate. E tra una rata e l’altra, ci scappano (almeno) 80 milioni per Mediaset.
Da Il Fatto Quotidiano del 25 settembre 2014