La scienza procede nel dubbio e, a differenza di altre imprese umane, è capace di riconoscere i propri errori e autocorreggersi. Come insegna il metodo sperimentale di Galileo. È già avvenuto ad esempio con i neutrini, che non si sono dimostrati più veloci della luce. E in questi giorni con la presunta osservazione delle onde gravitazionali – increspature dello spazio-tempo previste dalla Teoria della Relatività di Einstein mai osservate finora – rilanciata a marzo dagli scienziati di Harvard responsabili dell’esperimento Bicep2 (Background imaging of cosmic extragalactic polarization), in Antartide. Sono, infatti, da correggere le misure dei primi vagiti del Big Bang, 13,8 miliardi di anni fa. Tutta colpa della polvere interstellare della nostra galassia.

La nuova interpretazione arriva dagli ultimi dati di Planck, il telescopio orbitante dell’Agenzia spaziale europea (Esa) che studia l’universo bambino. L’analisi dei dati del satellite dell’Esa è già online sul sito specializzato della comunità dei fisici ArXiv, in attesa della loro pubblicazione definitiva sulla rivista “Astronomy and Astrophysics”. “Il telescopio spaziale Planck ha analizzato l’effetto di tenui nubi di polvere interstellare, costituite dai granelli di materiale solido dispersi nella galassia al termine dell’evoluzione delle stelle – spiega al fattoquotidiano.it Paolo De Bernardis, astrofisico dell’Università La Sapienza di Roma, tra gli scienziati che hanno interpretato i dati di Planck -. La misura fatta in Antartide è corretta, ma l’origine di buona parte di quanto misurato è dovuta ai granelli della polvere interstellare, e non è ancora certo che ci sia anche un secondo contributo dovuto all’inflazione cosmica, l’espansione rapidissima dell’universo primordiale. L’interpretazione data a marzo è stata troppo affrettata. È un peccato – commenta l’astrofisico italiano -, ma quando si fanno misure così importanti e difficili ci vuole prudenza nell’interpretarle. Il senso di ogni pubblicazione scientifica – fa notare De Bernardis – è proprio questo: rendere un risultato disponibile a tutti, in modo che ci sia la possibilità di critiche costruttive, e quindi di eventuali correzioni”.

Già all’indomani dell’annuncio da parte degli scienziati di Harvard dell’osservazione dei primi tremori del Big Bang si erano, infatti, sollevate perplessità all’interno della comunità scientifica. Adesso arriva la conferma dei primi dubbi. In pratica, quello che a marzo è stato presentato al mondo come un segnale proveniente dall’alba del cosmo, ha in gran parte origine nel giardino di casa nostra, nella Via Lattea. “Purtroppo queste emissioni provenienti dalla polvere interstellare – chiarisce De Bernardis – si sovrappongono e nascondono quelle che invece arrivano da molto più lontano, e che potrebbero portarci informazioni sui primi attimi di evoluzione dell’universo, quando potrebbe essersi verificato il fenomeno dell’inflazione cosmica, ad energie che non si possono sperimentare sulla Terra. Per questo – sottolinea il cosmologo italiano – è importante misurare con grande precisione le emissioni della Via Lattea, per poter dire se oltre ad esse è davvero presente anche quella dell’universo primordiale. È su questo che il team di Planck sta lavorando duramente, prevedendo di pubblicare i risultati delle sue analisi entro la fine di quest’anno”.

Ma allora si può considerare ancora valida l’idea di un’inflazione cosmica? “Diverse sue previsioni sono già state verificate sperimentalmente – sottolinea De Bernardis -. Quella delle onde gravitazionali primordiali ne rappresenterebbe la conferma definitiva. È quasi impensabile spingersi ancora più indietro nel tempo”. Ma volendo avventurarsi in questo incerto cammino, quali scenari è possibile tratteggiare oltre il Big Bang? “In un certo senso lo stesso fenomeno dell’inflazione cosmica va oltre il concetto di Big Bang – spiega il cosmologo -. Esistono molte idee su cosa ci sia stato prima dell’inflazione. Forse un universo sempre esistito, in forma di campo di energia fluttuante, in cui per caso si verificano in un certo punto e in un certo attimo, che chiameremo Big Bang, le condizioni per l’inflazione e quindi per la successiva formazione dell’universo osservabile oggi. Forse più universi, i cosiddetti multiversi. Forse un universo ciclico. È davvero troppo presto per dirlo”.

Per i cosmologi è il momento giusto per fare misure ancora più precise. In fondo, è proprio così che opera la scienza, procedendo per ipotesi, che devono poi trovare conferma in esperimenti riproducibili. Al fianco di Bicep2 e di Planck, un contributo importante nell’osservazione dell’eco del Big Bang è atteso anche dall’esperimento italiano Lspe (Large scale polarization explorer), finanziato dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) e dall’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn). “Questo esperimento – spiega De Bernardis – utilizza rivelatori di nuova generazione e un pallone stratosferico, che verrà lanciato nel 2015 durante la notte artica. Potrà osservare in un solo volo di due settimane gran parte del cielo, senza disturbi dall’atmosfera terrestre e dal Sole. I primi dati pubblicati in questi giorni da Planck sono solo uno dei passi necessari per arrivare alla misura delle onde gravitazionali primordiali originate dall’inflazione cosmica. Una teoria molto affascinante – sottolinea lo scienziato -, che collega le dimensioni più grandi che conosciamo a quelle più minuscole, il macrocosmo al microcosmo. Ma, oltre all’inflazione – conclude l’astrofisico italiano -, ci sono ancora altri aspetti da chiarire, altrettanto importanti, nel nostro modello di universo, come la natura di materia oscura ed energia oscura”.

I dati del telescopio Planck

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