“Non si palesano in capo ai magistrati procedenti omissioni o comportamenti di rilevanza disciplinare”. E’ la risposta del ministro della Giustizia Andrea Orlando all’atto di sindacato ispettivo dei senatori del Pd Luigi Manconi e Silvio Lai che aveva sollevato dubbi su alcune anomalie durante l’inchiesta-bis sulla tragedia del Moby Prince (10 aprile 1991, 140 morti), archiviata alla fine del 2010. In sostanza i senatori chiedevano conto del presunto conflitto d’interessi di un consulente della Procura che aveva avuto un ruolo non secondario sul finire dell’indagine e in particolare sull’Agip Abruzzo, la petroliera contro la quale finì il traghetto Moby.
Secondo Orlando, tuttavia, il perito Andrea Gennaro ha operato correttamente. Una presa di posizione che può porre il governo italiano di traverso rispetto all’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sulla più grande tragedia della marina civile italiana, in opposizione ai numerosi appelli dei familiari delle vittime (c’è anche una petizione che ha raggiunto oltre 20mila adesioni) e ai tre disegni di legge promotori che, forse non casualmente, giacciono da mesi in attesa di esame in due commissioni di Camera e Senato.
L’atto di Manconi e Lai – firmatari a loro volta di un ddl istitutivo di una commissione d’inchiesta – nacque dopo il confronto tra l’allora Guardasigilli del governo Letta, Annamaria Cancellieri, e i familiari delle vittime, avvenuto il 31 gennaio scorso a risoluzione della querelle sorta dopo la breve risposta della ministra ad un’analoga interrogazione parlamentare a firma Matteo Piras (Sel). L’incontro si risolse con la promessa della Cancellieri di esaminare il dossier tecnico consegnato dai familiari delle vittime e contenente le principali anomalie dell’inchiesta-bis sulla sciagura di Livorno. Tra queste anche la condizione di presunto conflitto d’interesse del consulente tecnico nominato dalla Procura di Livorno, Gennaro, che al tempo dell’incarico palesava tra i clienti citati nel sito internet del suo studio Eni e Moby Lines (eredi degli armatori di Agip Abruzzo e Moby Prince: Snam e Navarma). A seguito del cambio di governo, Manconi e Lai presentarono ad aprile la richiesta di esito delle verifiche promesse da Cancellieri al ministro Orlando, il quale 4 mesi dopo ha concentrato la sua risposta estiva (arrivata durante le ferie parlamentari, in pieno agosto) sul caso Gennaro, dimenticando le restanti anomalie dell’indagine. Orlando sostiene a difesa della Procura di Livorno che “al momento del conferimento dell’incarico nessun dato poteva far emergere un’eventuale incompatibilità dell’ingegnere Andrea Gennaro con il ruolo di consulente tecnico del pubblico ministero”, soprattutto perché il consulente firmò in sede di conferimento una dichiarazione dove certificava di “non avere cause di incompatibilità in relazione al procedimento”. Basta quindi l’autocertificazione per sancire l’assenza di un conflitto d’interesse? Comunque per il ministro non vale la pena indagare anche perché “la parte più significativa dell’indagine conoscitiva”, secondo Orlando, fu affidata a consulenti “ausiliari della Procura, diversi dall’ingegnere menzionato”.
Come per la gaffe della Cancellieri, apparentemente il ministero della Giustizia pare conoscere poco il caso Moby Prince, visto che proprio la relazione Gennaro è il riferimento con cui la Procura di Livorno nega la validità dell’ipotesi ricostruttiva operata dai due consulenti citati, Giuliano Rosati e Giuseppe Borsa, che spiegarono la “nebbia strana” di quella notte tra il 10 e 11 aprile 1991 come prodotto di un guasto tecnico della petroliera, possibile concausa della collisione. Di più: Gennaro, interpellato su altre questioni, inserì invece la nota nelle conclusioni della sua relazione, tra le risposte non richieste: “Al momento della collisione nessun impianto della M/V Agip Abruzzo, particolarmente gli impianti di produzione e distribuzione vapore, aveva avuto avaria”. Non è meritevole di attenzione questa premura su una questione non richiesta dalla Procura? Per Orlando, a quanto pare, no.
Se l’atto di sindacato ispettivo a firma Manconi e Lai conteneva una richiesta al governo di palesare il proprio sostegno all’istituzione della commissione d’inchiesta, attraverso un’azione che riconoscesse i limiti di quanto realizzato dalla Procura di Livorno, il risultato ottenuto è opposto. L’esecutivo, per voce di Orlando, ritiene non necessario “un intervento ispettivo di competenza ministeriale, stante le chiare evidenze fattuali e procedimentali rappresentate”. Per il ministro quindi, la magistratura livornese ha lavorato bene, con buona pace dei colleghi di partito Manconi e Lai, del presidente del Senato, di Sel e M5s – firmatari di analoghi provvedimenti – dei familiari delle vittime ancora in attesa di verità e giustizia e degli oltre 20mila aderenti alla petizione di sostegno alla loro lotta. Il percorso della costituzione di una commissione d’inchiesta, insomma, appare oggi tutto in salita.